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Dazibao Guerre-Conflitti Internazionale
di Cinzia Nachira
La morte di Yasser Arafat apre il baratro in cui il popolo palestinese precipiterà? La morte di Yasser Arafat metterà fine alla resistenza dei palestinesi gettandoli nel caos e nella guerra civile?
In molti sperano che a queste due domande le risposte siano positive. Ma se si guarda con onestà intellettuale alla storia del popolo palestinese ed anche a quella di Arafat le risposte sono negative.
Per capire perché oggi chi si illude che, con la “chiusura dell’èra Arafat”, da un lato la resistenza palestinese non si imporrà più alla nostra attenzione e dall’altro si apri-ranno “nuove vie di pace” (meglio sarebbe dire pacificazione), si sbaglia di grosso.
Occorre ripercorrere, seppure rapidamente, gli ultimi quattro decenni di storia medio-rientale.
L’ascesa alla leadership palestinese di Yasser Arafat agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso non era scontata. L’impatto dell’espulsione di massa del 1947-49 (la Nakba, la catastrofe) sul popolo palestinese e su quelli dell’area fu immenso.
Essa segnò per un lungo periodo la reazione dei Paesi arabi e dei palestinesi stessi al-la creazione dello Stato d’Israele.
Negli anni cinquanta, però, anche il mondo arabo era stato investito dall’ondata deco-lonizzatrice. Ed in quel contesto, la sconfitta del 1948 restava una pagina nerissima, alla quale i regimi nazionali avevano la necessità di dare soluzione. Non era solo una semplice sete di vendetta, ma una necessità dettata dal fatto che le masse arabe che avevano determinato l’indipendenza non potevano accettare la sconfitta più grande: la colonizzazione della Palestina. In questo senso, fin da quegli anni i regimi arabi giocarono in modo ambivalente la “carta palestinese”. Verso l’interno, con roboanti dichiarazioni contro il “nemico sionista”; verso l’esterno, cercando di imbrigliare i palestinesi subordinandoli ai propri interessi: così, la creazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), nel 1964, con a capo Ahmad Shuqairi, do-veva servire da anestetico e come strumento di contrattazione con le potenze imperia-liste e con Israele stesso.
Ma gli Stati arabi non avevano fatto i conti con i palestinesi. I molti giovani sparsi nel mondo arabo non potevano accontentarsi di questo.
In definitiva, si può dire che se i Paesi arabi hanno continuato a non accettare la riso-luzione 181 dell’Onu del 1947 con cui si divideva la Palestina, ciò è stato grazie al fatto che i palestinesi iniziarono da subito ad organizzarsi parallelamente all’Olp di-retta da Shuqairi.
La nascita di al-Fatah, nel 1959 (aderirà all’Olp nel 1965), segna un punto insieme di partenza e di non ritorno. Animata da Yasser Arafat, Abu Jihad, Abu Iyad e Farouq Kaddoumi, in Kuwait, questa organizzazione da subito lancia una parola d’ordine semplice ed efficace: lotta di liberazione su tutto il territorio occupato. Quando, nel 1967, anche la Cisgiordania (sotto giurisdizione giordana) e Gaza (sotto giurisdizione egiziana) vengono occupate dall’esercito israeliano, insieme a Gerusalemme Est e al-le alture siriane del Golan, la direzione dell’Olp di Shuqairi è pronta ad accettare la sconfitta, la nuova ondata di espulsioni.
E’ in questo frangente che Arafat, alla direzione di al-Fatah, comprende fino in fondo che i palestinesi “possono contare solo su se stessi per liberare la Palestina”.
E’ in quel momento che viene presa la decisione di assumere la lotta armata come u-nico modo per liberare la patria occupata. Negli ultimi mesi del 1967 vengono lancia-te una serie di azioni di guerriglia sul territorio israeliano attraverso il confine giorda-no. In Giordania ci sono i campi profughi più densamente popolati, la gran parte degli espulsi tra il 1947 ed il 1967 vi ha trovato rifugio. In quel paese, confinante con Israe-le, era naturale che facesse base la resistenza.
Le azioni di resistenza culminano nella battaglia di Karameh, nel marzo del 1968. Es-sa, pur provocando 128 morti fra i palestinesi, lascia sul terreno 38 soldati israeliani, ma soprattutto costringe Israele a ritirare le truppe dalla città.
Questa battaglia determina la reazione: il nemico non appare più invincibile. Grazie a ciò, Yasser Arafat riesce a prendere il controllo dell’Olp.
Ma al-Fatah non è l’unica organizzazione palestinese: sull’onda del rinnovamento dell’Olp, fra il 1968 ed il 1970, nascono il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp) ed il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (Fdlp), dirette rispettivamente da George Habbash e da Nayaf Awatameh. Questa articola-zione sarà ciò che, in definitiva, garantirà la democrazia e la dialettica all’interno dell’Olp.
Tra il 1968 e il 1974, la politica dell’Olp avrà un solo obiettivo: liberare tutta la Pale-stina. Ma, contemporaneamente, Arafat, grazie alla prevalenza della sua organizza-zione all’interno dell’Olp, inizia a delineare la politica dei “due piani”. Nonostante tutto, egli cerca in ogni caso di mantenere buoni rapporti con i Paesi arabi, compresi quelli in cui non ci sono rifugiati, lasciando di fatto nelle loro mani la scena interna-zionale.
La prima svolta è data dal settembre 1970. La Giordania ha da sempre l’obiettivo di annientare la resistenza palestinese; Re Hussein preferisce buoni accordi, sottobanco, con Israele. Nel settembre del 1970, Re Hussein lancia l’ordine di bombardare la pro-pria capitale, Amman. In alcune settimane di furiosi combattimenti, oltre 3.000 pale-stinesi e giordani muoiono per mano araba. Molti palestinesi trovano rifugio in Liba-no. La loro organizzazione, politica e sociale, seppur gravemente colpita, non è distrutta.
Nel Libano, paese multietnico e multireligioso, l’Olp fra il 1974 e il 1982, crea una Stato nello Stato. Nelle principali città libanesi, Beirut, Tripoli e Sidone, l’Olp si or-ganizza politicamente, socialmente, economicamente e militarmente.
In questo contesto, Arafat impone il Piano in 10 punti che, di fatto, rompe con lo schema precedente. Fin dal 1974 l’Olp, pur non riconoscendo Israele, accetta, di fat-to, che il futuro Stato palestinese venga edificato su una parte della Palestina: Ci-sgiordania e Gaza. Non viene abbandonata la lotta armata, ma non viene più indicata come l’unico mezzo per il raggiungimento della liberazione. Infine, si dichiara che i palestinesi non effettueranno più alcuna ingerenza negli affari dei Paesi arabi che li ospitano. Con queste credenziali Arafat riesce, primo ed ultimo leader di un movi-mento di liberazione nazionale, a salire sulla tribuna dell’Onu.
Quel giorno, storico, in cui egli si presenta al consesso internazionale con la pistola in una mano e nell’altra un ramoscello d’olivo, chiedendo a gran voce di aiutarlo a non lasciar cade-re quest’ultimo, segna un’altra svolta. La carta diplomatica d’ora in poi sarà quella prevalente nella politica dell’Olp. Questa svolta provoca aspri dibattiti interni: tempo-raneamente il Fplp l’abbandona, il Fdpl critica aspramente Arafat pur restando nell’organizzazione.
A quel punto, Yasser Arafat e l’Olp non sono più aggirabili. Le credenziali palestine-si a livello internazionale crescono.
Israele, pur con tutto l’appoggio internazionale, decide in quel momento che l’eliminazione dell’Olp è la sua politica estera. In questo senso, l’accordo con l’Egitto di Sadat diventa un passo decisivo. Stipulato in varie ondate tra il 1978 ed il 1980, questo consente a Israele di “liberare il proprio fianco Sud per agire su quello Nord”, ossia verso il Libano.
L’invasione del Libano è una delle pagine più nere della storia recente. 15.000 morti tra il giugno ed il settembre del 1982, restano sulla coscienza non solo di Sharon, ma anche di Europa e Stati Uniti, che quella carneficina hanno reso possibile.
In quel caso Arafat accetta, anche se non era inevitabile, l’uscita da Beirut dei guerri-glieri palestinesi, affidando i civili dei campi ad una forza multinazionale di “pace” (Stati Uniti, Francia ed Italia), che tempestivamente si ritira quattro giorni prima delle stragi di Sabra e Chatila.
Gli anni fra il 1982 e il 1987 sono gli anni della disperazione. Ancora una volta l’Olp viene data per liquidata. Con la direzione in esilio a Tunisi, assai lontana dalla Pale-stina, si dice, non potranno che arrendersi. Ma questo non avviene.
Si parla di armenizzazione della Palestina, perché fra il 1983 ed il 1986 alcuni attac-chi della guerriglia palestinese in Europa continuano a far parlare dei palestinesi co-me negli anni Venti ogni tanto un armeno vendicava i suoi cari assassinati, ma senza alcuna prospettiva politica.
Nei Territori Occupati, intanto, cresce l’autorganizzazione sociale e politica. Le orga-nizzazioni che all’estero, in esilio, discutono, all’interno devono quotidianamente far fronte all’occupazione.
Il 9 dicembre del 1987 scoppia la prima Intifada. Fin dai primi giorni è chiaro che non è una rivolta di breve durata; fin dall’inizio è chiaro che l’Olp a Tunisi viene sor-presa da questo nuovo slancio, evidentemente inaspettato. Di più: la prima Intifada lascia intravedere che il Comando Nazionale Unificato (Cnu) si delinea come una nuova leadership, anche se non alternativa all’Olp. In poche parole, se a Tunisi la priorità è una conferenza internazionale, a Ramallah, Nablus, Jenin, Gaza City la priorità è il ritiro dei soldati dalle città, dai quartieri. La lotta, nonviolenta per necessi-tà più che per scelta, è lunga e pagata a caro prezzo. Iniziano le espulsioni mirate di leader riconosciuti, carcerazioni preventive che colpiscono centinaia di palestinesi.
Allo scoppio della prima guerra del Golfo (1991) Arafat, pur condannando l’invasione irachena del Kuwait, si chiede: perché il Kuwait vale una guerra mentre Israele, che occupa oltre alla Palestina, Siria, Egitto e Libano, non ha avuto neanche una simbolica sanzione economica da parte dell’Onu? Questa frase di buonsenso gli costerà cara: verrà indicato come alleato di Saddam Hussein, il nemico internazionale di turno.
Nonostante questo, tuttavia, Clinton, per non ammettere il proprio fallimento in Iraq, convoca una conferenza internazionale per dirimere il conflitto palestinese-israeliano. Il governo israeliano pone il veto, accettato da tutti, alla presenza dell’Olp. La dele-gazione palestinese viene associata a quella giordana. Ma c’è in serbo una sorpresa. I portavoce della delegazione Haidar Abdel Shafi, Hanan Ashrawi e Feisal Husseini tolgono la scena e la parola a tutti indirizzando il proprio discorso alla popolazione israeliana. E’ il frutto dell’Intifada e a Madrid Shimon Peres e Abu Mazen ad Oslo avviano colloqui “segreti”, di cui tutti sono a conoscenza.
Nel settembre 1992, sul prato della Casa Bianca a Washington, Arafat, Peres e Rabin siglano degli accordi di pace, che impegnano su tutto i palestinesi e su quasi nulla I-sraele. Circa un anno dopo, Arafat rientra a Gaza. L’intenzione di Israele è quella di fargli fare il poliziotto. Quando oggi dicono che fino al 2000 egli si è impegnato “fino in fondo” nel processo di pace significa che edifica, con i fedelissimi, un’autorità po-co democratica e molto corrotta. In questo quadro vengono a più riprese (1995-1996-1998) firmati altri accordi, comunque in un contesto negoziale al ribasso.
La colonizzazione continua, come la rapina dell’acqua, la presenza militare israeliana si mitiga ma non scompare. I momenti di tensione sociale interna, in Cisgiordania e Gaza, si moltiplicano fino a che nel maggio del 2000 la guerriglia degli Hezbollah costringe Barak a “fuggire” in tre giorni dal Libano meridionale, che Israele occupa dal 1978. Nei Territori “autonomi” le masse si galvanizzano: facciamo come in Liba-no! E’ lo slogan più diffuso. Ovviamente di questa situazione Hamas e Jihad al-Islami, le due organizzazioni islamiche, sono le massime beneficiarie. Anche perché esse non hanno abbandonato, dopo Oslo, la lotta armata.
Barak e Clinton sanno bene che questo non gioca a favore di Arafat che, per uscire dall’impasse, ha bisogno di un accordo finale onorevole. Anche Barak, per coprire la fuga dal Libano e la crisi interna che dura ormai da molti anni (movimenti contro la guerra in Libano, contro la colonizzazione, il fenomeno dei refuseniks in crescita), ha bisogno di uno scoop, che sia, però, nella sostanza, una resa dell’avversario. Quando a luglio del 2000 Arafat giunge a Camp David, nessuno sa nulla delle proposte che Israele intende fare, ma che il leader palestinese sia ben disposto alla firma è comun-que chiaro. Quando le carte vengono scoperte, si vede che ciò che Cilnton e Barak chiedono ad Arafat è la resa incondizionata. Prima di rifiutare la firma Arafat (cosa che mai prima aveva fatto) si consulta con le altre organizzazioni dell’Olp. L’opinione pubblica mondiale si risveglia con un’altra sorpresa: Arafat, l’uomo dei tanti sì, per una volta ha detto no. Se avesse accettato i diktat israeliani non avrebbe più potuto tornare né a Gaza, né in Cisgiordania.
Del resto, con l’alibi di non avere partner, Ariel Sharon (con l’avallo di Barak) sce-glie la provocazione di una passeggiata mediatica sulla Spianata delle Moschee, il 28 settembre 2000. Il giorno successivo scoppia la seconda Intifada. Arafat, grazie al suo fiuto politico, capisce che non può fermarla in nessun modo. Barak rioccupa Gaza e Cisgiordania, la repressione è tremenda. Questa rivolta fa emergere ancora una volta una leadership, di fatto, alternativa a quella dell’Autorità Nazionale Palestinese, ma cresciuta nel suo alveo. Il personaggio di spicco è Marwan Barghouti, Segretario di al-Fatah in Cisgiordania, ma anche direttore dei servizi di sicurezza interni, che fin dal 1997 ha creato i Tanzim (“L’organizzazione”). Questa è la spina dorsale della ri-volta che fronteggia, di fatto a mani nude, l’esercito più tecnologico del Medioriente.
Oggi, quando si pensa al dopo-Arafat si deve tenere conto di questo complesso scena-rio. La società, il popolo palestinese non si è arreso, e non lo farà. E quanto alla nuo-va leadership palestinese, dovrà fare i conti con quella folla oceanica che si è riappro-priata del proprio simbolo il 12 novembre a Ramallah, strappando il feretro di Yasser Arafat al cerimoniale previsto. Quelle decine di migliaia di persone non torneranno rassegnate nelle loro case assediate dal Muro a piangere; sono loro che hanno fatto e continueranno a fare la storia della Palestina.
Oggi il ritiro unilaterale da Gaza è più difficile da realizzare per Sharon, e non il con-trario. Egli anela a mollare Gaza, che non è gestibile; ma come ha detto lo stesso Arafat, poche settimane prima di morire perché per lasciare Gaza hanno chiesto 20 mesi, mentre dal Libano se sono andati in tre giorni?
E’ sicuramente vero che la morte di Arafat segna una svolta, ma sicuramente non nel senso auspicato dai più. Il vero ostacolo non era certamente lui: il vero ostacolo erano e restano il Muro, l’occupazione e, non da ultimo, un contesto internazionale che vuole lo scontro anche a costo di prezzi altissimi per tutti.
Appendice
Cenni biografici su Yasser Arafat
1929-Yasser Arafat, nasce al Cairo da un ramo della famiglia degli Husseini. Il suo nome completo è Muhammad abd al-Rahman Abd al-Rauf Arafat al-Qoudwa al-Husseini. Sesto di sette figli
1933- Muore la madre. Yasser (soprannome che significa “persona di gradevole compagnia”, assunto successivamente come nome seguito dal cognome scelto nel ramo Arafat) e il fratello Fathi vengono affidati ad uno zio che vive a Gerusalemme.
1937- I due fratelli rientrano al Cairo a causa del radicalizzarsi della rivolta del 1936-1939.
1948- Nasce lo Stato d’Israele. Arafat aderisce al gruppo fondato da Abd al-Khader al-Husseini, Jihad. Studia ingegneria civile all’università del Cairo.
1952-1956 Diventa dirigente dell’Associazione degli studenti del Cairo. Si unisce all’esercito egiziano nella guerra del Canale di Suez.
1957- Si trasferisce in Kuwait. Viene raggiunto da Khalil al-Wazir, Salah Khalaf e Khaled al-Hassan, insieme ai quali crea al-Fatah.
1959-1963 Dopo la creazione di al-Fatah, Arafat con il gruppo dei fondatori, so-stiene, pur restando in minoranza, la necessità della lotta armata.
1964- Nasce l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), diretta da Ahmad Shuqairi.
1965 al-Fatah aderisce all’Olp
1967 - Dopo la sconfitta degli eserciti arabi che vede l’occupazione israeliana di Ga-za, Cisgiordania, alture siriane del Golan e Gerusalemme Est, al-Fatah lancia una se-rie di operazioni su territorio israeliano.
1968- Dopo la battaglia di Kharameh il 14 aprile viene nominato portavoce ufficiale di al-Fatah.
1969 Viene nominato, in occasione del quinto Consiglio nazionale palestinese, pre-sidente del Comitato Esecutivo dell’Olp.
1970 La guerriglia palestinese stanziatasi nei campi profughi in Giordania e nella periferia di Amman viene attaccata dall’aviazione giordana, su ordine diretto di Re Hussein. Dopo un massacro di oltre 3.000 persone (palestinesi e giordani) la direzio-ne di al-Fatah e dell’Olp trova rifugio in Libano.
1970-1972 Dopo il massacro di Amman nasce il gruppo “Settembre nero” che met-te a segno una serie di attacchi, culminati con il rapimento degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco.
1974 Dopo l’assassinio di una decina di leaders palestinesi in Europa e nei Paesi a-rabi messi a segno dal Mossad, Arafat fa approvare dall’Olp il “Piano in 10 punti”, con cui di fatto, si accetta la costituzione di uno Stato palestinese su una parte della Palestina. Arafat Parla all’Onu.
1978- Accordo Israelo-egiziano.
1980- Israele dichiara Gerusalemme capitale dello Stato. Sadat parla alla Knesset (parlamento israeliano).
1982 (giugno)- Invasione israeliana del Libano.
1982 (agosto) Dopo un assedio durato oltre due mesi Arafat, il 19 agosto, firma un accordo che decreta l’uscita dei guerriglieri palestinesi da Beirut. Inizia l’esilio tuni-sino.
1982 (settembre) Tra il 16 e il 18 settembre i campi profughi di Sabra e Chatila so-no teatro di un pogrom di enormi proporzioni (5-6.000 morti, tutti civili disarmati) perpetrato dai falangisti libanesi con la regia di Ariel Sharon.
1983-1987 Dopo lo shock di Beirut una serie di attacchi palestinesi in Europa. Ara-fat inizia ad avere contatti con i pacifisti israeliani che si sono opposti alla guerra del Libano.
1987 Scoppia la prima Intifada. Nasce il Comando Nazionale Unificato (Cnu) in Cisgiordania e Gaza. Viene distribuito il primo volantino di Hamas.
1988- Abu Jihad ( Khalil al-Wazir) viene assassinato da un commando del Mossad a Tunisi.
1991- Prima guerra contro l’Iraq. Conferenza di Madrid. Assassinio di Abu Iyad (Sa-lah Khalaf) a Tunisi.
1993 Firma degli accordi di Oslo I fra Arafat, Rabin e Peres.
1994- Arafat rientra a Gaza. Nasce l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp).
1995-1998 Arafat firma diversi altri protocolli di intesa con Israele.
2000 (maggio-luglio) Israele viene costretto al ritiro dal Libano del Sud. Clinton tenta un’altra mediazione. Arafat rifiuta di firmare gli accordi di Camp David.
2000 (settembre) Sharon si reca sulla Spianata delle Moschee di Omar e al-Aqsa il 28 settembre. Scoppia la seconda Intifada.
2001-2004 (settembre) Barak prima e Sharon poi rioccupano militarmente Cisgior-dania e Gaza. Dal 2002 Israele costringe Arafat agli arresti domiciliari alla Muqata (quartier generale palestinese a Ramallah). Israele costruisce il “Muro di separazione” all’interno del territorio della Cisgiordania.
2004 (ottobre-novembre) La Knesset vota il piano unilaterale di ritiro dei coloni da Gaza e di quattro colonie dal nord della Cisgiordania. Arafat si oppone. Il 29 ottobre le sue condizioni di salute precipitano viene trasferito all’ospedale militare di Percy a Parigi dove muore l’11 novembre 2004.