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Il 16 ottobre ci indica la strada.

Publie le venerdì 15 ottobre 2010 par Open-Publishing

Ed ora sciopero Generale !

Molti nostri lettori leggeranno queste righe durante la manifestazione del 16 ottobre a Roma o nei giorni immediatamente successivi con il ricordo ancora vivo di quel corteo. Una giornata di mobilitazione che ha ottenuto fin dal momento della sua convocazione un risultato: ha spinto tutti a schierarsi.

Non solo per aderire o meno alla manifestazione, ma anche a decidere se lavorare con tutte le proprie forze per la piena riuscita del corteo o se boicottare con tutti i propri mezzi l’evento e l’organizzazione che lo promuove, la Fiom.

Davanti al 16 ottobre e quindi davanti all’attacco portato avanti a Pomigliano verso i diritti di tutti i lavoratori non è permesso stare a guardare, si sta da una parte o dall’altra. E gli schieramenti, mano a mano che il giorno della manifestazione si avvicina, diventano sempre più netti.

Dalla loro parte

Dall’altra parte della barricata ci sono naturalmente Marchionne, la Fiat e Confindustria tutta. Il padronato ha lanciato un’offensiva a tutto campo, dapprima con il referendum a Pomigliano, passando attraverso il licenziamento dei delegati e degli attivisti Fiom a Melfi e a Mirafiori, fino a stracciare con Federmeccanica l’ultimo contratto nazionale del settore firmato con la Fiom. L’Ad della Fiat vuole espellere ogni opposizione dai propri stabilimenti e l’unico sindacato che tollera è quello che assomigli a un cagnolino obbediente che asseconda ogni desiderio del padrone. Bonanni e Angeletti sono ben felici di collocarsi in questo ruolo.

Epifani vorrebbe unirsi a questa allegra brigata. La maggioranza del gruppo dirigente della Cgil pensa ancora di poter tornare alla cara vecchia concertazione, dove il sindacato alla fine si piegava alla volontà padronale, ma poteva trattare su questioni secondarie, e qualche briciola la strappava.

Di fronte a una crisi economica sempre più devastante e alla perdita di credibilità del governo, ci potrebbe essere di nuovo bisogno dei dirigenti della Cgil per portare avanti le controriforme e la Marcegaglia si sta adoperando per far rientrare Epifani in società. Deve però dimostrare di essere affidabile e prendere le distanze da quegli irresponsabili della Fiom, cosa che sta accettando di fare di buon grado.

Anche il governo Berlusconi, uno degli esecutivi più antioperai del dopoguerra, è ben felice di andare all’attacco dei metalmeccanici. Deve però confrontarsi con un calo di popolarità evidente, che limita i suoi margini di manovra. L’esito del voto di fiducia del 29 settembre scorso è chiarissimo. Berlusconi non ha la maggioranza senza i finiani e l’Mpa, che procedono di buon accordo verso la costituzione di un terzo polo. Il declino del cavaliere è inarrestabile e nuove elezioni potrebbero essere alle porte; allo stesso tempo, solo la Lega non le teme mentre Berlusconi è terrorizzato dai sondaggi avversi. Fini necessita di tempo per fare nascere il suo partito e anche il Pd non ha fretta. Una situazione di paralisi prolungata, dove nessuno tenta un passo troppo azzardato per paura che crolli il castello di carte così faticosamente costruito, non può durare a lungo. Un governo di transizione che conformi la legge elettorale a un panorama politico in grande evoluzione (e ai voleri dei poteri forti) è un’altra delle possibilità in campo, ma appare improbabile.

Che nessuno si faccia illusioni. Un Berlusconi in crisi non sarà più tenero con i lavoratori. Il suo attuale antagonista, Fini, persegue una politica ancor più liberista. Il ciclo economico sfavorevole imporrà ancora più sacrifici di quelli degli ultimi anni, dove i lavoratori, secondo un recente studio della Cgil, hanno perso nell’ultimo decennio oltre 5.400 euro in termini di potere d’acquisto.

Una politica di sacrifici che il Pd è ben disponibile a condividere. Bersani ha appoggiato la linea Marchionne su Pomigliano e si guarda bene dall’aderire alla manifestazione del 16 ottobre. Su tutte le questioni decisive di politica interna ed estera, Pd e Pdl non si differenziano più di tanto. L’ultimo esempio è la missione in Afghanistan. Davanti all’ultimo attacco della resistenza, costato la vita a quattro alpini, La Russa propone di dotare gli aerei italiani di bombe e Fassino si dice disponibile a discuterne. E poi la chiamano missione di pace…

Nella palude che domina l’attuale politica italiana, c’è una cosa che trova il consenso unanime, o quasi: l’attacco alla Fiom e a chiunque contesti l’ordine costituito. Solo così si possono spiegare le decine di studenti fermati dalla polizia da Firenze a Palermo, dopo cortei pacifici di protesta. E in questo contesto si comprende l’offensiva mediatica di questi ultimi giorni. Ogni contestazione, ogni volantino, ogni scritta sui muri, che contesta Marchionne o Bonanni è ripresa e descritta alla stregua di atto terroristico della peggior specie da parte di tv e giornali. L’uovo marcio non fa in tempo a imbrattare la finestra della locale sede della Cisl, che subito parte la raffica di condanne verso i gesti dei facinorosi. C’è chi ha paragonato placide cittadine di provincia come Treviglio o Jesi a Islamabad (Cislamabad, secondo il Riformista)

.… e dalla nostra

La criminalizzazione di ogni protesta, critica o dissenso è il segnale di un timore che pervade la classe dominante. La preoccupazione che attorno alla classe operaia che ritorna in prima linea, da Pomigliano e Melfi fino a Fincantieri, dopo tre decenni, si possa saldare un vero e proprio “blocco sociale”.

I segnali non mancano. Le lotte degli studenti, che sono scesi in piazza in centinaia di migliaia l’8 ottobre contro la distruzione della scuola pubblica. Al loro fianco, i ricercatori dell’università che mettono in discussione il potere di rettori e baroni. La lotta degli immigrati che hanno manifestato a Brescia e si sono ribellati a Castelvolturno non solo per un sacrosanto permesso di soggiorno ma anche per migliori condizioni di lavoro, con lo slogan “non lavoro per meno di cinquanta euro al giorno”. La resistenza del popolo No tav e No ponte, che hanno ribadito con le recenti manifestazioni di massa che non consentiranno devastazioni del proprio territorio sull’altare del profitto.

Il 16 ottobre molte di queste vertenze confluiranno all’interno della manifestazione della Fiom. Questa unità non può avere un carattere episodico ma deve essere permanente, con lo sviluppo di una piattaforma che unifichi delle mobilitazioni che hanno nemici comuni: la Confindustria e il governo. Per tale ragione lo slogan dello sciopero generale riveste una grande importanza. A questo appuntamento bisogna lavorare da subito, senza accontentarsi delle promesse dei vertici che lo rinviano a chissà quando, rifilandoci al suo posto una bella passeggiata nella capitale, come quella proposta da Epifani per il 27 novembre.

Allo sciopero generale bisogna lavorare ora, perché il momento è propizio e perché si inserisce nel contesto delle lotte che stanno scuotendo tutta l’Europa. Alla Grecia che ha aperto la strada si aggiunge la Spagna, dove uno sciopero generale ha bloccato il paese il 29 settembre e la Francia dove milioni di lavoratori sono scesi in piazza a più riprese e dove dopo il 12 ottobre potrebbero partire scioperi a oltranza in diversi settori. I lavoratori italiani si possono e si devono inserire in un processo di mobilitazioni a livello continentale contro i piani di austerità.

La necessità di un’alternativa politica complessiva

La giornata del 16 ottobre evidenzia inoltre un problema prettamente politico. Non esiste oggi una chiara alternativa politica e sociale a quel blocco che pur seduto alle estremità opposte del parlamento, difende le stesse politiche. Tutta la sinistra fa riferimento alla Fiom ma quest’ultima non è un soggetto politico. Dal referendum del 22 giugno in poi abbiamo visto l’emergere di un settore di attivisti nei luoghi di lavoro, delegati e non, estremamente combattivi: la lotta di Pomigliano fa entrare una ventata d’aria fresca in tutti i dibattiti che spesso erano diventati piuttosto deprimenti in Rifondazione, ma non solo.

Non possiamo però permettere che le decine di migliaia di persone che guardano con grandi speranze a questa nuova stagione di lotte siano lasciate solo a tifare passivamente per la Fiom o, nella migliore delle ipotesi, a contestare il burocrate della Cisl di turno.

C’è chi pensa a sinistra che la manifestazione del16 ottobre sia un passaggio di un progetto già visto, quello di un accordo con il centrosinistra (pardon, “un’alleanza democratica”) che imprigionerebbe il movimento operaio alla subalternità rispetto al Partito democratico. Questi gruppi dirigenti, responsabili di aver portato i comunisti fuori dal parlamento e di aver relegato la sinistra in uno stato comatoso, vorrebbero darle il colpo di grazia per qualche poltrone al Senato e alla Camera.

Tutte le proposte messe in campo dagli attuali gruppi dirigenti della sinistra si muovono su questa falsariga. Il movimento che si sta sviluppando è molto più avanti dei suoi gruppi dirigenti e non ne può più di operazioni politiciste, di liste unitarie e “unità comuniste” riproposte ciclicamente come un mantra, totalmente separate dall’unità che vogliamo veramente: quella che si sta realizzando nel conflitto di classe. È stridente l’entusiasmo che abbiamo registrato nei dibattiti organizzati verso il 16 ottobre, dallo squallore che troviamo in ogni riunione preparatoria del congresso della Federazione della sinistra.

Si deve invece lavorare a costruire una sponda politica da affiancare alle lotte nelle fabbriche e nel paese portate avanti dalla Fiom. I militanti di Rifondazione comunista possono giocare un ruolo prezioso a riguardo. Dobbiamo essere i promotori della riunificazione di tutte quelle avanguardie, dalla Fiom al sindacalismo di base ed ai movimenti, che si oppongono ai due poli del Pdl e del Pd e del terzo polo centrista che probabilmente nascerà.

La classe operaia torna ad essere nella coscienza collettiva quel soggetto della trasformazione sociale, come dalla sconfitta dei 35 giorni a Torino nel 1980 non era più stata. Lo fa parzialmente priva dello strumento per attuare il cambiamento, quel partito di classe che sviluppa un’alternativa rivoluzionaria al capitalismo senza la quale ogni lotta sarà prima o poi sconfitta.

Costruire questo strumento è il compito che attende ogni comunista dal 17 ottobre in poi.

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