Home > L’Aquila: quei venticinque chilometri
A volte mi dico che son diventata insensibile. E’ dal 7 aprile 2009 che, in spregio ad ogni divieto, io guardo le mie macerie. E la distruzione della mia città. Le ho accostate pian piano, le ho abbracciate, accarezzate, me ne sono cibata. Le ho metabolizzate.

(casa mia)
Ora le guardo con l’occhio di chi è abituato a vedere il congiunto gravemente ammalato e si ostina a cercare strade per nuove cure. Non si sofferma sull’eccessiva magrezza, sullo sguardo spento, sulle membra che si abbandonano. Guarda avanti. E spera. Ma, quando accompagno le persone che arrivano qui per la prima volta, e le costringo, alcune riottose, ad infrangere le transenne dei divieti, e ad inoltrarci nei vicoli del centro che conosco come le mie tasche,vedo in loro uno sgomento che mi spaventa. Vedo in loro quella che dovrebbe essere la mia reazione. Improvvisamente smettono di parlare ed i loro occhi si velano. Vedere tanta bellezza devastata dal sisma, e poi dall’incuria dell’abbandono, è esperienza dura per gli animi sensibili. E allora leggo nei loro occhi la domanda non detta "come puoi non piangere?" Non piango perché le lacrime non vogliono uscire. Non sono io che le butto dentro. Semplicemente non escono. Ma il dolore è lancinante. Allora ho indossato la corazza. Per sopravvivere.
Ha pianto il nuovo Prefetto, proprio quella signora Iurato, della quale vi ho parlato.
Persino Francesco Totti è stato profondamente colpito dallo stato del centro storico. Lo ha detto ai giornalisti, mentre le autorità lo conducevano, insieme con i suoi compagni di squadra, in quel tour fra le macerie che a noi Aquilani è assolutamente inibito "E’ impressionante. Non mi aspettavo fosse questa la situazione. In televisione si è visto solo un centesimo di quello che è in realtà".E lo ha detto con le mani giunte sul viso,come a pregare.
Poi Bertolaso lo ha immediatamente condotto a vedere l’acronimo c.a.s.e. Ma di quella visita non si hanno commenti.
Il tendone del presidio dell’assemblea dei cittadini di piazza Duomo è a cinquanta metri da casa mia. Se pongo, all’interno, la sedia in una certa angolazione, mentre lavoro ai tavoli, o partecipo all’assemblea, vedo la facciata. Devo, per forza di cose, armarmi di corazza. Soprattutto quando vedo le transenne che impediscono a me ed a tutti gli Aquilani di avvicinarci alle nostre pietre.E le camionette dei militari. Attente a che non ci si avvicini alla nostra vita. E poi, quando al tendone le attività son terminate, tornare all’automobile. E dirigermi verso la mia casa di ora. Quella che dista venticinque chilometri dalla mia vita di prima.
Miss Kappa