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L’Irak vincerà. Ma nessuno vincerà in Irak

Publie le lunedì 19 aprile 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Wu Ming 4

Quella a cui stiamo assistendo è la più grande defaillance politico-militare
della storia dell’Occidente moderno. Metafora e concretizzazione della fine dell’Occidente
stesso.
L’idea folle e nazista che uno scontro di civiltà potesse risolvere il disastro
neo-liberista porta il mondo al suo punto di collasso. Là dove la pulsione di
morte insita nella nostra incivilità voleva arrivare. Là dove la concezione possidente,
acquirente, dell’esistenza doveva giungere: il mondo va consumato, sfruttato,
bruciato e niente più delle bombe consegue la
stessa efficacia economica.

Le oligarchie capitaliste dell’Estremo Occidente, abbandonata la maschera del
liberismo dal volto umano, hanno scommesso tutto sul piano del conflitto bellico
per affrontare la crisi. Dimenticando che quando non si ha più niente da offrire
in cambio dell’obbedienza, se non la minaccia di morte,
non è detto che all’avversario importi più granché della vita.
Il kamikaze è l’arma più micidiale ed efficace della storia. Nessun bombardiere
può competere con un tizio qualunque che si siede accanto a te al ristorante
o alla stazione della metropolitana con uno zainetto in spalla. Questo le oligarchie
petrolifere arabe lo sanno bene. La religione è soltanto la copertura ideologica
prescelta per mettere in atto la strategia in un determinato contesto culturale.
Ma soprattutto sanno che il soldato occidentale che punta il fucile sul ragazzino
con lo zainetto non ha scelta. Se lo lascia venire avanti, salta in aria e muore.
Se gli spara, uccide un
bambino. Comunque vada, la guerra dell’Occidente è persa in partenza.

In Irak l’Alleanza Occidentale paga il conto della spocchia, dell’ignoranza,
dell’ipocrisia, dimostrate nel volersi proporre come forza liberatrice mondiale.
In Vietnam sono occorsi anni prima che si giungesse a un livello analogo di stillicidio
e ingestibilità della situazione. In Irak sono bastati dodici mesi. Incredibile
che qualcuno al Pentagono non abbia tenuto conto dell’assioma di Sun Tzu: mai
chiudere le vie di fuga al nemico, chi è posto davanti alla morte combatte, chi
ha le spalle al muro è l’avversario
più temibile. Le bande armate che reagiscono all’occupazione straniera dell’Irak
non sono il Vietminh, almeno quanto non lo sono i bombaroli fanatici che si fanno
esplodere nelle stazioni. Ma tutti assieme sono l’armata all’altezza della sfida
che gli americani hanno lanciato, all’altezza dei tempi impazziti che viviamo.
L’esercito dei folli, dei
fascisti, dei disperati. Come Bush e chi lo segue.

Il risultato politico è che l’Alleanza Occidentale si sta sfasciando, i governi
bellicisti cadono o si apprestano a cadere. Due anni fa Bush metteva una taglia
sulla testa di Bin Laden e lo braccava nelle grotte afgane. Oggi Bin Laden si
concede il lusso di proporre una tregua agli alleati europei dell’America. Una
tregua che se non stesse in bocca a un petroliere
fascista, fanatico e molto "americano", suonerebbe perfino ragionevole: se voi
smettete di attaccarci, noi smettiamo di attaccarvi.

Quando un anno fa scrivevamo sulle pagine di "Carta" che Bush avrebbe perso la
guerra, qualcuno all’interno del movimento dei movimenti ci liquidò con sufficienza,
accusandoci di non voler guardare in faccia l’onnipotenza imperiale e di volerci
rifugiare in un pacifismo innocuo ed ecumenico. La storia invece sta dimostrando
il contrario: il vero struzzo è chi si nasconde dietro l’idea che i Grandi Piani
mondiali possano essere progettati e portati a compimento a tavolino, per puro
dispiego di forza, lasciandoci
solo la possibilità di un generico e testimoniale ribellismo. Non esiste un piano
che possa prevedere tutto, e quello di Bush e dei suoi alleati era davvero un
piano ben misero e negligente. Per questo, ancora più disastroso e terribile.
Per questo, per l’assoluta mancanza di conoscenza, di prospettiva, di intelligenza
(anche perversa), porta a una catastrofe di dimensioni incalcolabili. Lo scontro
di civiltà non ha in palio niente, se non forse la fine di ogni margine di convivenza
e vivibilità sul pianeta.
L’Impero era un sogno velleitario già crollato.

Contro il rinculo delle utopie senescenti novecentesche che divorano il globo,
rimane l’utopia senile di chi non ha nulla da perdere, per il semplice fatto
che il capitalismo armato non ha più niente da offrire eccetto la guerra. Contro
la pulsione di morte rimane la vita. Su cui vale
la pena scommettere tutto ciò che resta del giorno. E per cui lottare e resistere,
affrontando il peggio quanto più collettivamente possibile.
Un’ostinata impeccabilità e uno sprezzante sorriso della ragione, fossero anche
un lusso in mezzo all’apocalisse, sono la condizione necessaria per rimanere
vivi e continuare a difendere i mondi diversi e possibili che
portiamo con noi.

18.04.2004
Collettivo Bellaciao