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L’interrogatorio di Issac Hamdi a Regina Coeli : "Volevamo vendicarci dell’Iraq..."
Publie le domenica 31 luglio 2005 par Open-PublishingL’interrogatorio di Issac Hamdi a Regina Coeli
"Voglio restare in un carcere italiano"
"Volevamo vendicarci dell’Iraq e dell’odio contro noi islamici"
di CLAUDIA FUSANI
ROMA - "Le bombe del 7 luglio a Londra? Succede tutti i giorni in Iraq". È la frase che forse buca di più la testa degli investigatori mentre ripensano all’interrogatorio di Osman Hussain, alias Issac Hamdi, 27 anni, il terrorista islamico reo confesso arrestato venerdì a Roma. Dalle quattro e mezza di ieri mattina è in cella a Regina Coeli, ogni tanto prega, quando passa il pasto - pasta e polpette - lo mangia di gusto.
Dodici ore nelle mani della Digos di Roma e degli uomini del dirigente Lamberto Giannini, tre a tu per tu con i magistrati. Tanto ci ha messo il giovane etiope per raccontare a verbale, in perfetto italiano - è stato a scuola a Roma fino alla terza media - la sua storia di terrorista mosso - sembrerebbe - più dalla vendetta che dalla devozione per Osama bin Laden. Odio e vendetta "contro le bombe inglesi e americane in Iraq". E ritorsione contro gli inglesi perché "dopo gli attentati del 7 luglio gli islamici di Londra sono stati insultati e repressi".
Contro Issac Hamdi, etiope e non somalo, i magistrati romani Franco Ionta e Pietro Saviotti hanno firmato un arresto per estradizione, così come ha chiesto Londra, e anche una richiesta di arresto per terrorismo internazionale. "Non possiamo escludere - è stato spiegato ieri - che Issac-Osman sia venuto in Italia anche per altro, oltre che per cercare ospitalità dal fratello". Il fatto è che i magistrati non sono convinti del racconto dell’uomo che la mattina del 21 luglio ha fatto saltare uno zaino nel sottosuolo londinese tra le stazioni del metrò di Sheperd’s Bush e Westbourne park. "Ci ha raccontato che ha mollato tutta la sua vita per far esplodere un petardo...", osservano. E poi: "Lui ci dice che non c’era esplosivo negli zaini, ma Scotland Yard sostiene il contrario". Insomma, molte sono ancore le verifiche da fare su almeno 15 persone e una montagna di carte, floppy disc e computer.
La storia di questo terrorista fai-da-te comincia circa un anno fa quando conosce Said Ibrahim Muktar, l’uomo destinato a seminare il terrore nel bus numero 26. Prima di Muktar, Osman ha frequentato la moschea di Brixton, una delle più radicali della metropoli inglese. "Ci incontravamo in una palestra di Notting Hill e in un seminterrato dove c’era anche una biblioteca - racconta a verbale Osman-Isaac - Muktar ci faceva vedere dvd con immagini della guerra in Iraq, soprattutto donne e bambini uccisi da militari inglesi e americani". Così ha cominciato a prendere forma quello che Osman chiama, con apparente fierezza, "l’odio per voi occidentali".
Tutto sommato Osman-Issac non se la passava male a Londra: una fidanzata (ma non è sposato), due figli, sussidio da disoccupato e lavoretti part-time in una ditta di pulizie. Molto tempo libero, la passione per la palestra. Soprattutto, la cittadinanza inglese ottenuta dopo che nel 1996 era entrato in Inghilterra con un falso passaporto somalo che dava più chance per ottenere lo status di rifugiato. Nel verbale Osman non mostra di essere organico ad organizzazioni jihadiste. "Più che un mujaheddin strutturato", dicono gli investigatori, "sembra uno manipolato". "Nei nostri incontri - racconta - facevamo soprattutto analisi della situazione politica e del fatto che ovunque in occidente i musulmani sono oggetto di vessazioni. E che quindi devono reagire". Arriva il 7 luglio. Osman-Issac dichiara che il suo gruppo non c’entra nulla con quegli attentati, anche se "abbiamo pensato che quello che è successo quella mattina succede ogni giorno in Iraq". Poi arriva il giorno 20. Muktar, il capo che non è un imam né un predicatore, li convoca in palestra e consegna ad ognuno di loro uno zainetto. "Ci ha detto dove dovevamo andare, che dovevamo lasciare lo zainetto e far esplodere il detonatore, un congegno con una batteria e dei fili. Non c’era esplosivo là dentro". Un atto dimostrativo, quindi, "per seminare terrore ma non uccidere". Insomma, secondo la sua confessione, il 21 luglio a Londra sono esplosi quattro petardi o poco più.
Però Osman-Issac decide lo stesso che deve fuggire. Tira fuori il suo vecchio passaporto etiope, scaduto, il permesso di soggiorno italiano, scaduto, e sale su un treno alla stazione di Waterloo destinazione Francia. "Nessuno mi ha controllato e io comunque ho dormito parecchio durante il viaggio", ha precisato. Roma era solo una tappa della fuga. "Non sono a conoscenza di un progetto di attentato in Italia", ha rassicurato. Una versione tutta da verificare. Osman-Issac ha detto ai giudici per l’estradizione che vuole restare in Italia. Scotland Yard si prepara ad applicare il mandato di cattura europeo.




