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LA SINISTRA, IL PD E LA DIFFICILE FASE DELLA TRANSIZIONE ITALIANA
par Sandro Valentini
Publie le giovedì 17 novembre 2011 par Sandro Valentini - Open-PublishingLa crisi finanziaria ed economica che sta attraversando tutto l’Occidente capitalistico, crisi di civiltà, di una visione del mondo, conferma e ripropone con drammaticità la tesi di Engels che il capitalismo per garantire il suo iniquo sviluppo, per auto-riprodursi tramite forme sempre più sofisticate di oppressione e di sfruttamento, ha bisogno di negare e distruggere, con il controllo pervasivo dei mezzi di comunicazione, ogni forma di libertà e di democrazia in nome delle quali ha preso il potere politico con la Rivoluzione francese e che sarà compito del mondo del lavoro raccogliere quelle idee e valori dal capitalismo messi oggi drammaticamente in discussione.
Tutto ciò non è nuovo in Europa. Già con l’avvento del fascismo e del nazismo abbiamo assistito alla negazione delle libertà che sono costati agli europei un prezzo enorme in termini di morti, di devastazione e di orrori sociali e civili. L’Europa è percorsa oggi da nuove spinte autoritarie e una deriva illiberale, che pur presentando tratti e metodi di controllo e di dominio profondamente diversi dal nazi-fascismo, hanno messo fuori gioco la sovranità degli Stati, le istituzioni democratiche e messo in discussione le conquiste sociali del movimento dei lavoratori. L’imposizione di politiche neoliberiste e monetariste volute con grande determinazione da centri di potere ademocratici, come la Bce e le tecnocrazie, dai due fondamentali poli dell’imperialismo europeo, quello francese e quello tedesco, dalle oligarchie finanziarie, stanno nei fatti smantellando tutte quelle forme di democrazie che faticosamente erano state costruite all’indomani del secondo conflitto mondiale in Europa.
La difficile transizione italiana con le dimissioni di Berlusconi va letta non prescindendo da questo contesto.
La caduta di Berlusconi è indubbiamente un successo per la democrazia. Il suo governo ha rappresentato una pericolosa anomalia, un fattore inquietante in più rispetto alla deriva autoritaria dell’Europa, in quanto era espressione di un capitalismo che presenta elementi gravi di arretratezza nonostante i diversi tentativi di modernizzarlo. Vorrà significare pure qualcosa che l’Italia è agli ultimi posti nella lotta all’evasione fiscale? O che a differenza della Germania e della Francia la sua grande industria è stata liquidata? O, infine, che è il fanalino di coda dell’Unione europea in termini di investimento per la ricerca e per l’innovazione tecnologica? Le leggi a persona per garantire una posizione di forza all’immenso impero economico e finanziario di Berlusconi e il perverso intreccio tra politica e malaffare del suo governo sono aspetti di un sistema di potere mal sopportato anche dalle elite conservatrici europee e ultimamente dalla stessa Confindustria.
Ma Berlusconi non è caduto a seguito di un sussulto democratico, anche se in questi ultimi anni è cresciuto un movimento di lotta di massa che chiedeva le sue dimissioni, ma su iniziativa del Capo dello Stato e di “manovre di palazzo” che hanno utilizzato la cosiddetta “sfiducia dei mercati” al governo italiano, con la conseguente preoccupazione di milioni di famiglie per le continue speculazioni finanziarie, per imporre la soluzione Monti.
Ecco il punto. D’altronde anche Mussolini cadde su una “manovra di palazzo” voluta dal Re, dall’esercito, da Badoglio e da una parte, maggioritaria, del Gran consiglio del fascismo. Solo dopo la sua caduta si innescò un processo democratico che portò alla Resistenza, alla Liberazione del Paese, alla Repubblica.
Il primo vero interrogativo quindi è quello di domandarsi se la sinistra italiana sarà in grado di costruire un movimento popolare e democratico affinché la difficile transizione si indirizzi nella giusta direzione, con la consapevolezza che in Europa spira un vento che non ci aiuta.
Intanto partiamo da un dato: la cosiddetta seconda repubblica è finita e credo che nessuno potrà sperare o illudersi che si possa tornare alla prima.
La formazione di un governo di larghe intese, guidato da Monti, fino al 2013, con il sostegno sia pur sofferto, per ragioni opposte, dal Pdl e dal Pd (oltre quello convinto del Polo di centro) cambia completamente lo scenario politico.
In primo luogo per i partiti della sinistra che sono chiamati, da Sel alla Fds passando per Idv, a riscrivere totalmente la propria linea. Adesso, al di là delle prime uscite di Vendola, mi pare evidente che il Pd, sostenendo il governo Monti, abbia seppellito le primarie e il Nuovo ulivo e che Sel è chiamata a prendere una difficile decisione: aggregarsi in modo del tutto subalterno alle politiche centiste e neoliberiste temperate (e vedremo fino a che punto saranno temperate) del governo del Presidente della Repubblica o puntare a un dialogo a sinistra, con la Fds e Idv.
Stesso ragionamento vale anche per la Fds, colta del tutto impreparata da questa nuova situazione. Del resto, basta leggere i documenti congressuali, invecchiati molto rapidamente, del Prc e del Pdci per avere un’idea di quanto siano del tutto fuori fase. Ma paradossalmente il governo di larghe intese di Monti ha risuscitato la Fds come soggetto politico dopo che era stata ridotta un po’ da tutte le componenti che ne fanno parte a un cartello elettorale, per giunta poco credibile. Ora potrebbe essere di nuovo in campo.
I vertici del Pdci e del Prc avevano puntato tutto sull’accordo elettorale con il Pd, illudendosi di avere in saccoccia l’intesa con Bersani. Per “non disturbare il manovratore” si era rinunciato a condurre un’offensiva programmatica sul centro-sinistra e tentare di dare così un po’ di contenuto al cosiddetto “fronte democratico”. Pur di garantirsi un “diritto di tribuna” nel nuovo Parlamento si è rinunciato a svolgere una battaglia per l’egemonia, a misurarsi insomma in un confronto programmatico vero, alla pari con le altre forze del centro-sinistra. Si è preferito arroccarsi nel “fortino minoritario” del “secondo cerchio” credendo di aver portato a casa in questo modo “la pelle”. Nelle ultime settimane Diliberto ha avvertito il pericolo di essere tagliati fuori. La sterzata a destra che ha imposto al congresso del Pdci concludendolo è stato però un tentativo tardivo e confuso di introdurre una correzione di linea. Infatti non si può stare fuori dall’accordo politico di governo, cioè solo in un’alleanza elettorale, e nel contempo impegnarsi di garantire la tenuta parlamentare della maggioranza stessa, senza per altro aver concordato un solo punto del programma.
La subalternità della Fds al Pd, come la subalternità di Sel, anch’essa chiusa nel suo “fortino” delle primarie prescindendo dai programmi, hanno ulteriormente indebolito la sinistra, uscita già duramente battuta e divisa nelle elezioni politiche ed europee. È evidente che per il Pd è stato relativamente “facile”, in mancanza di una sinistra che seriamente lo incalzasse, prendere la grave decisione di sostenere un governo di larghe intese guidato dal moderato Monti.
Dunque, errori esiziali si sono commessi a sinistra, ma sono errori che non attenuano le pesanti responsabilità del Pd. Non so quale resistenza si sia prodotta negli organismi dirigenti del partito nel momento in cui ha imboccato con tanta sicurezza tale strada, al termine della quale potrebbe subire un ulteriore snaturamento dopo quello del Pci-Pds-Ds-Pd, trasformandosi definitivamente in un partito liberal-democratico “che guarda a sinistra”. Vedremo nei prossimi giorni quali saranno le reazioni e i punti di resistenza, e se la sinistra del partito e le associazioni collaterali come l’Arci e l’Anpi saranno in grado a contrastare tale processo svolgendo almeno un ruolo di freno .
La terza repubblica nasce pertanto sotto gli auspici più neri: una sinistra divisa e nuovamente battuta in tutte le sue diverse articolazioni e un Pd che intraprende invece un’avventura centrista senza pagare a sinistra dazio. Ma nonostante una disamina al quanto pessimista della situazione la partita non è chiusa. Non è infatti poi così facile lasciare fuori dalla terza repubblica le istanze del mondo del lavoro perché lo scontro nazionale e internazionale in atto è in primo luogo un duro conflitto di classe. E la lotta di classe non può essere abrogata da un voto quasi unanime del Parlamento o dalle istituzioni europee. È una contraddizione insanabile della società capitalistica destinata, con l’acutizzarsi della crisi economica, ad inasprirsi e a crescere e vi sono ancora forze, come la Cgil, in grado di rappresentare la lotta dei lavoratori.
Occorre però che nelle prossime settimane si determino da subito due condizioni: a) la ripresa, partendo dalla costruzione di una forte opposizione al governo Monti, di processi unitari a sinistra, fino a configurare una vera e propria coalizione aperta al contributo dei democratici, capace di rappresentare un’alternativa al neoliberismo, sia a quello aggressivo delle destre sia a quello più temperato delle forze centriste; b) la capacità di tenuta della Cgil alla quale la sinistra deve dare, proprio per contribuire a garantirne la tenuta, il suo pieno e convinto sostegno politico. A riguardo, già la manifestazione del 3 dicembre prossimo, espressione dell’autonomia dei lavoratori dal governo Monti, deve vedere una grandissima partecipazione popolare per ribadire che si può affrontare la crisi con le misure indicate dalla Cgil nello sciopero generale scorso e per mantenere alta l’opposizione contro le misure socialmente inique.
Di fronte al duro scontro di classe in atto la rinascita della sinistra, possibilmente di un soggetto unitario, plurale e di massa, non può prescindere dalla centralità del tema dal lavoro che deve divenire, in questa nuova fase, la bussola di orientamento dell’iniziativa politica e sociale. La sinistra può ancora farcela a contrastare il disegno di espellere dalla terza repubblica le istanze del mondo del lavoro se sarà in grado da oggi, abbandonando minoritarismi e opportunismi, di costruire dall’opposizione un alternativa democratica che governi la difficile transizione italiana.