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La vita nei call center tra soprusi e produttività

Publie le martedì 24 giugno 2008 par Open-Publishing

La vita nei call center tra soprusi e produttività. Manuale di sopravvivenza per precari cronici

di Marco Maffei, precario call center

Disperazione, carriera fallita, bollette, affitto e tasse universitarie: chi lavora nei call center può avere molte motivazioni. E’ il solo lavoro dove vieni assunto quasi sempre, anche senza curriculum. Un settore perennemente in cerca di personale. Gli operatori outbound, prevalentemente donne, hanno un’età che varia dai venti ai cinquant’anni, la maggior parte ha un’istruzione media superiore. Molti sono alla prima esperienza lavorativa, altri hanno già fatto gavetta nel campo, lavorando mesi o anni in altri call center. Pensare a una sala con tante postazioni occupate da laureati, con lunghi curriculum e grandi capacità, può essere sconfortante. Ma solo se non si ha idea di cosa sia in Sardegna il mercato del lavoro.

Nella maggior parte dei call center outbound, non c’è possibilità di crescita, né immediata, né a lungo termine, anche se nel colloquio ti viene garantita una grande opportunità di progredire. Magari potrebbero capitare determinate forme di nepotismo o favoritismo, ma sono situazioni assai rare.

Gli operatori sono l’ultima ruota del carro. Vengono affiancati dai team leader,che hanno il compito di coadiuvare e facilitare gli operatori nello svolgimento del loro lavoro. A capo del coordinamento dei team leader, c’è un supervisor, mentre al vertice aziendale c’è il call center manager, una figura che determina le linee guida della gestione aziendale. Il committente, titolare dell’azienda, acquisisce le commesse direttamente dalle grandi imprese fornitrici, oppure da call center terzi. Nella maggior parte dei casi i team leader e i supervisor sono ex operatori che dopo anni di telefonate e gavetta sono cresciuti, soprattutto all’interno della stessa azienda.

Dopo il fardello del contratto a progetto, il rapporto con queste figure lavorative rappresenta spesso per gli operatori un conflitto costante. Pretendono il massimo per ciò che riguarda professionalità, serietà, impegno, ma soprattutto produzione. Negli anni di esperienza nei call centers outbound, ho avuto la possibilità di conoscere molti team leader e ho notato che spesso non sanno come motivare l’operatore, allora pensano di riuscirci urlandoci contro, facendoci stare ancora peggio. In alcune aziende la strategia più utilizzata è quella di ignorarci, smettere di parlarci, finché non riacquistiamo la produttività perduta. In assenza di tutele nel settore outbound, la dimensione del lavoratore del call center è concentrata in forme di approccio individualistiche ed egoistiche: da un lato gli operatori altamente produttivi, dall’altro quelli scarsi. C’è chi in silenzio difende lo stato di cose, ma quelli che alzano la voce, lo fanno creando un dialogo individuale con il datore di lavoro, quasi mai coinvolgendo il sindacato.

Chi si ribella, non solo può essere visto in maniera negativa dai coordinatori di sala, ma anche dagli operatori stessi. Il futuro delle migliaia di lavoratori e lavoratrici dei call center outbound cagliaritani, deve necessariamente passare per il superamento dei contratti a progetto e la stabilizzazione. Solo estendendo i diritti con l’applicazione dei contratti nazionali potremmo riacquistare un’identità collettiva e una coscienza sociale.

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