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Le ragioni della Rifondazione Comunista : appunti e riflessioni a sostegno della mozione del Segretario

Publie le giovedì 20 gennaio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Partiti Partito della Rifondazione Comunista Parigi


VI Congresso: il dibattito tra le mozioni

Una premessa

Il VI Congresso di Rifondazione Comunista si svolge in un momento straordinario: è all’ordine
del giorno la possibilità di cacciare dal governo del Paese Berlusconi e le destre
ma questo nuovo corso ancora non si è realizzato. Anzi, dentro il campo delle
opposizioni, pesa l’indeterminatezza delle componenti moderate e riformiste e
non va neanche sottovalutata la capacità di reazione della maggioranza di destra
che alla propria crisi reagisce inasprendo il carattere di classe del proprio
governo e accentuando le propensioni reazionarie presenti al proprio interno.
Al tempo steso, la guerra fallisce tutti gli obiettivi per i quali era stata
proclamate e la situazione in Iraq, di giorno in giorno, si fa più instabile
e drammatica. Malgrado questo, la guerra non arretra il proprio campo di azione,
al contrario si acuisce. Insomma, siamo dentro una crisi profonda, aperta ad
esiti differenti. In questo contesto si colloca il nostro Congresso: le decisioni
che prenderemo non saranno senza conseguenze nel determinare l’esito della crisi
sociale e politica del nostro Paese e dell’Europa.

I documenti congressuali

Questo congresso ha una diversità rispetto al passato nella dislocazione delle forze interne. Sono stati presentati e ammessi al dibattito 5 documenti. E’ una grande prova di democrazia che dimostra quanto vivo e vitale sia il dibattito dentro al Partito. Dal punto di vista degli schieramenti interni, va sottolineata questa novità: accanto alla distinzione strategica, che si ripropone come nello scorso congresso, tra la maggioranza del Partito e la minoranza di Progetto Comunista, si è determinata una distinzione anche dentro la maggioranza uscita dalla scorso Congresso: i compagni che si riferiscono alla Rivista l’Ernesto e i compagni che si riconoscono nella Rivista Erre hanno presentato due diversi documenti congressuali alternativi alle 15 tesi presentate dal segretario nazionale e che hanno raccolto la maggioranza assoluta dei voti del Comitato Politico Nazionale.

Naturalmente, nessuno mette in discussione la legittimità di questi compagni di presentare documenti alternativi a quelli di maggioranza. Ma non si può legittimare l’ipocrisia di chi, come i compagni del documento "Essere Comunisti", sostengono nel loro documento che avrebbero preferito un congresso a tesi emendabili. Come è stato affermato nel regolamento congressuale, tutti i documenti sono emendabili a qualsiasi livello (dal congresso di circolo, a quello di federazione, a quello nazionale). Il CPN ha adottato come testo base le 15 tesi predisposte dal segretario: ognuno, volendo, avrebbe potuto presentare emendamenti a quelle tesi e riproporre quegli emendamenti nei circoli e nelle altre istanze congressuali. Il punto è che si emenda un testo che si condivide nelle parti essenziali, non si utilizza il sotterfugio di emendamenti per prospettare un’altra linea politica alternativa. Non si può tenere il piede in due scarpe per godere della rendita di posizione di stare in maggioranza e, poi, agire come si fosse opposizione, così si permette solo il trasformismo dei gruppi dirigenti.

Per questo si è affermato, come è ovvio, che la rappresentatività è dei documenti, non degli emendamenti. A questo punto, i compagni dell’Ernesto hanno presentato un loro documento alternativo. Nessun problema: era un loro diritto. Ma, ripetiamo, è ipocrita affermare che si sarebbe preferito un documento emendabile. Le 15 tesi non sono un prendere o un lasciare, sono emendabili, anzi la loro stessa snellezza favorisce un percorso congressuale che le arricchisca, al termine del dibattito, con i contributi che giungeranno dai circoli e dalle federazioni .

In questo documento cercheremo di analizzare i punti fondamentali del dibattito congressuali e come questi sono affrontati nei documenti, a partire dalle 15 tesi proposte dalla maggioranza del partito. Cercheremo, inoltre, di far emergere le differenze fondamentali con i documenti presentati dall’area dell’Ernesto e da quella di Erre che, nel precedente Congresso, non erano presenti.

Le differenze strategiche con i documenti di Progetto Comunista e dei compagni che fanno riferimento alla Rivista Falce Martello, invece, sono più note, riproponendosi in maniera pressoché analoga a quella dello scorso Congresso. Rispetto alle posizioni che legittimamente questi compagni esprimono, ribadiamo una differenza di fondo: la loro impostazione porterebbe a una emarginazione politica del PRC e della sua stessa capacità di incidere nei movimenti e nel quadro politico ed istituzionale. Il PRC sarebbe ridotto in un recinto autorefernziale fuori dalla capacità di esprimere un qualsiasi progetto reale di trasformazione.

1. La questione del governo

E’ possibile oggi aprire una nuova fase politica? E’ possibile la sconfitta delle destre e l’apertura di un nuovo corso politico? Come sconfiggere l’ipotesi neocentrista che punta a sostituire Berlusconi mantenendo il cuore delle politiche neoliberiste? Come consentire una incisione dei movimenti nelle scelte politiche per consentirne una ulteriore crescita? Queste sono le domande cui le 15 tesi cercano di fornire una risposta. Per Rifondazione Comunista il governo non è lo sbocco, ruolo di governo o di opposizione non sono ordinabili secondo una gerarchia per la quale il governo è bene e l’opposizione è male. La questione del governo è, quindi, decisione politica che deriva dal giudizio di fase che si da. La nostra valutazione è la seguente.

Il Paese chiede la cacciata del governo delle destre e chiede che questo avvenga realizzando una nuova politica. La stessa possibilità per i movimenti di crescere ulteriormente è legata, non solo alla loro capacità di lotta, ma anche alla possibilità di incidere concretamente nelle scelte di fondo. Se non si agisce in tutte e due le direzioni, il rischio è il ripiegamento dei movimenti e l’erosione della loro capacità di espansione.

E’ possibile oggi proporsi questo progetto?

Pensiamo di si per due ragioni: la crisi devastante delle politiche neoliberiste da un lato e la crescita dei movimenti dall’altro. La combinazione di questi due fattori ha rotto l’unitarietà del centro sinistra che non esiste più come soggetto unitario e, su tutti i temi fondamentali, si disarticola e ha spostato l’orientamento di grandi organizzazioni di massa (si pensi alla CGIL e all’ARCI, per fare l’esempio della più grande organizzazione dei lavoratori e della società civile).

E’ un esito scontato?

Assolutamente no. Il suo esito dipende dal profilo riformatore della coalizione democratica che si propone come alternativa alle destre e dalle discriminanti programmatiche (a partire dal ritiro di militari dall’Iraq e dall’abrogazione delle leggi del governo impedenti ogni processo riformatore). Per questo abbiamo detto che il tema della democrazia deve essere il primo impegno del programma: perché l’autonomia e lo sviluppo dei movimenti deve rappresentare il carattere fondante del nuovo corso politico. Noi pensiamo che questo obiettivo vada dichiarato apertamente e vada perseguito senza tentennamenti.

2. La desistenza

In questo senso, troviamo una differenza sostanziale con le posizione espresse dagli altri documenti che, con varie gradazioni, ripropongono la scorciatoia della desistenza.

Questa posizione è sbagliata e subalterna. In sostanza, ripropone il vecchio schema già uscito sconfitto dall’esperienza successiva alla vittoria elettorale del 1996. Inoltre, in nome della difesa di Rifondazione, giunge a proporre una subalternità politica e culturale del partito. Insomma, Rifondazione sarebbe buona solo per la prima parte della partita: quella della cacciata di Berlusconi e tornerebbe in panchina nel secondo tempo, quello decisivo, per vincere la sfida di un nuovo corso politico. Una partita difficile certamente, ma, non giocarla, significa averla già persa.

Il partito dovrebbe ridursi come i riformisti pensano dei movimenti: buoni quando si è all’opposizione per sconfiggere il governo e da rimandare a casa quando si tratta di governare. Non è un caso che la desistenza è l’idea che piace a Letta della Margherita e, certamente non dispiace a D’Alema.

Il partito, poi, dovrebbe attrezzarsi a una campagna elettorale assolutamente inefficace: se prende tanti voti e i suoi parlamentari sono indispensabili per governare, cosa bisognerà fare? Rifare le elezioni (ma questo significherebbe il suicidio politico) o trattare con il centro sinistra un programma di governo (ma, a quel punto, a giochi già fatti)? A meno che qualcuno non pensi a una campagna elettorale in sordina in cui dire di non votare troppo il Partito per non essere determinanti dopo...Insomma, la desistenza, oggi ripropone una subalternità al quadro politico, da noi accettato come immodificabile.

3. Il programma

I compagni del documento "essere Comunisti" pongono il problema di una trattativa sul programma. Essi dicono: al governo ma a precise condizioni e affermano che sia stato "un errore essere entrati nella Grande Alleanza Democratica" senza discuterne nel partito e prima ancora di aver definito e concordato un programma condiviso".

Se si intende che Rifondazione è disponibile solo a un governo che rompa con il ciclo neoliberista e avvii un nuovo corso, si afferma una cosa ovvia. E’ del tutto evidente che Rifondazione non è disponibile a un governo purchessia. Ma il punto qui è un altro. E’ la riproposizione del "tira e molla" in cui Rifondazione sta da una parte e gli altri dall’altra e si "tratta, tratta..." fino al giorno prima delle elezioni in una estenuante discussione nel chiuso del rapporto tra i partiti. Come non vedere che è stata proprio la decisione di Rifondazione di lanciare la sfida apertamente del governo che ha contribuito a mettere in movimento la situazione? Questo ha spalancato le porte e le finestre del dibattito politico, ha aperto al rapporto con le organizzazioni dei lavoratori, i movimenti, i conflitti. Una discussione a tutto campo e non divisa nel vecchio schema in cui movimenti propongono e i partiti decidono. Una discussione aperta al popolo delle opposizioni attraverso quello che abbiamo definito "le primarie sul programma". Se, invece di pensare alla vecchia maniera, ci si impegnasse veramente a realizzare il coinvolgimento delle associazioni, dei movimenti, del popolo delle opposizioni, nella costruzione del programma, avremmo realizzato uno spostamento a sinistra che neanche la più determinata trattativa tra i partiti potrebbe neanche immaginare di ottenere.

4. La rottura del 1998

I compagni del documento "Un’altra rifondazione è possibile" avanzano una critica di fondo: con il progetto di costruzione dell’alternativa programmatica di governo tradiamo la vera svolta del Partito, quella realizzata con la rottura del governo Prodi nel 1998.

Verrebbe da dire a questi compagni una battuta: se il dito indica la luna, non guardare il dito, guarda la luna! La rottura con il governo Prodi è il fatto ma la vera svolta è ciò che ha determinato quel fatto. Il punto vero, quindi, è la conquista dell’autonomia dal quadro politico. L’atto rifondativo, quindi, non è la rottura ma l’autonomia. In nome della medesima autonomia, per un giudizio sulla fase, è possibile oggi proporsi l’obiettivo della costruzione dell’alternativa programmatica di governo.

5. Il rapporto con i movimenti

Le 15 tesi sono nette: il rapporto di internità con i movimenti individua il carattere di fondo dell’iniziativa di Rifondazione Comunista. La capacità del partito è stata quella di aver capito la grande novità del movimento altermondialista al suo affacciarsi, anche quando molti, a sinistra, lo guardavano con aristocratico distacco.

Anche dentro al partito ci fu una discussione forte. Sono state molte le resistenze a un rapporto nuovo con i movimenti. Anche in quel caso si è tirata in ballo "la tradizione" secondo la quale il partito deve essere alla testa dei movimenti secondo un impostazione gerarchica per la quale al partito spetta il ruolo guida. Fino al giorno prima delle giornate di Genova, le pagine dei giornali ospitavano le voci critiche di quanti nel Partito si erigevano a custodi dell’ortodossia. Se quelle posizioni avessero prevalso, Rifondazione Comunista sarebbe stata spazzata via dalla possibilità di partecipare come protagonista al "movimento dei movimenti" e avrebbe perso la grande occasione di cogliere l’onda lunga del movimento.

Quei compagni, oggi presentatori della mozione "Essere comunisti", non possono più negare la grande importanza del movimento e quanto questo ha inciso nel cambiare l’opinione di massa sulla globalizzazione neoliberista e sulla guerra ma non hanno cambiato la propria impostazione politica e culturale. Per loro, la questione del governo si ripresenta sostanzialmente come trattativa tra i partiti e ritorna una idea "campista" in cui uno schieramento di partiti e di Paesi è preso a riferimento a prescindere dalle concrete scelte che questi partiti e questi Paesi vanno facendo rispetto alle discriminanti poste dal movimento del no alla guerra e alle politiche neoliberiste. In tal modo, al di là di generiche e ovvie dichiarazioni di plauso, si contraddice lo spirito di fondo del nuovo movimento per la pace che, proprio sul rifiuto di qualsiasi "campismo", fonda il proprio no radicale alla guerra e al terrorismo.

6. i movimenti e il governo

Una questione differente viene proposta dai compagni del documento "Un’altra Rifondazione è possibile". La loro critica è la seguente: con l’obiettivo della costruzione di una alternativa programmatica di governo, Rifondazione Comunista ha indebolito il proprio rapporto con i movimenti e "lo spostamento del nostro asse politico ha letteralmente tagliato loro l’erba sotto i piedi".

In realtà, questo è ciò che sta dentro la testa di questi compagni non è quello che dicono i movimenti né corrisponde minimamente alla nostra politica. Nel momento in cui si determina una contraddizione tra la crescita dei movimenti e il ruolo istituzionale del Partito, la nostra scelta è sempre chiara: dalla parte dei movimenti. Rifondazione lo ha dimostrato in passaggi durissima, sfidando tutto il quadro politico e rischiando l’emarginazione politica, come fu con la rottura con il centro sinistra nel 1998. Tale coerenza è rimasta inalterata, come dimostra anche l’ultimo caso della nostra uscita dalla giunta Bassolino in Campania per la vicenda di Acerra.

C’è un rischio di ripiegamento dei movimenti? Si tale rischio c’è e interroga tutti noi, partiti, sindacati, associazioni, comitati delle mille vertenze di lavoro e territoriali che guardano a una vera alternativa. Il punto è quello che, oggi, è necessario proporre un progetto complessivo, uscire da risposte settoriali o per singoli pezzi. Per questo motivo, abbiamo prospettato l’idea di un incontro dei movimenti, di unificare percorsi e progetti. Senza un’idea e un percorso per una alternativa di società, il rischio per tutti è quello del ripiegamento.

La lotta dal basso è fondamentale e l’autonomia dei movimenti dal quadro politico è la condizione medesima per la loro crescita e per lo spostamento in avanti della stessa politica. Ma senza connettere le lotte dal basso con la capacità di incidere e ottenere risultati, la medesima capacità di lotta e di espansione può subire una difficoltà seria e le spire della recessione possono soffocare i movimenti.

Per questo pensiamo che, in questa fase, quella caratterizzata dalla crisi del berlusconismo e del suo blocco sociale, sia necessario proporsi una alternativa programmatica di governo. Il fine, quindi, della alternativa programmatica di governo è favorire una ulteriore crescita dei movimenti. Per questo, pensiamo che questa prospettiva si costruisca assieme ai movimenti.

7. La nonviolenza

Le 15 tesi sono chiare: la nonviolenza come scelta politica rappresenta una acquisizione politico culturale di grande rilievo per attuare la rifondazione di un pensiero e di una pratica comunisti nel nuovo millennio.

La nonviolenza come scelta politica, qui e ora, non è semplicemente e banalmente rifiuto di comportamenti di sopraffazione o intolleranti. La nonviolenza ha una carica attiva, è un altro modo di concepire e praticare la politica. La nonviolenza è quella praticata dal movimento a Genova, allorché alla repressione astratta e generalizzata messa in atto da un potere sopranazionale, ha saputo reagire sfuggendo alla spirale repressione/violenza/nuova repressione. Il movimento, così, ha messo in scacco il potere e ha conquistato un consenso di massa che gli sarebbe venuto meno se avesse reagito sullo stesso piano del potere.

La nonviolenza non va confusa con la legalità. Violenza e nonviolenza non sono sinonimi di illegalità e legalità. La guerra, la massima espressione della violenza, veste la divisa della legalità, la nonviolenza può portare, anzi spesso porta nella società capitalistica dominata dalla violenza dello sfruttamento, a disobbedire a decisioni del potere e leggi ingiuste. Lo abbiamo fatto nello "stopping train", lo abbiamo fatto in altre mille espressioni delle vertenze di lavoro e territoriali. La nonviolenza come scelta politica, sfugge alla idea del "campismo", quella per la quale "il nemico del mio nemico, è mio amico", mortifera per la possibilità di espansione del movimento.

La nonviolenza è l’unica modalità dell’agire politico che consente una reale generalizzazione e pratica di massa, permettendo a chiunque di praticarla, collettivamente e individualmente. La nonviolenza porta con sé una critica del potere e della sua neutralità, sia nella versione dell’"entrata nella stanza dei bottoni", sia in quella "della presa del Palazzo". Il potere, come la scienza, non è neutrale, non è il volante di una macchina che diviene buono o cattivo a seconda di chi lo tiene in mano. Il potere va indagato criticamente. La nonviolenza aiuta questa indagine perché mette l’accento non solo sul risultato ma sul processo per ottenerlo. Anzi, afferma che lo stesso risultato che si vuole ottenere, il fine, deve essere incorporato nel processo, i mezzi, altrimenti, in tempi più lunghi, il medesimo fine viene compromesso.

La nonviolenza permette una reale contaminazione con i pensieri critici della società capitalistica sviluppatisi i questi ultimi decenni e che hanno arricchito il pensiero e la pratica di una trasformazione sociale. Il femminismo, l’ecologismo critico, il pacifismo, le mille forme delle esperienze della solidarietà internazionale e per la cittadinanza universale, portano con loro nuove acquisizioni di idee e pratiche rivoluzionarie e la nonviolenza ne rappresenta un caposaldo. Non si può neanche pensare a una reale contaminazione/condivisione con i pensieri, i percorsi, le azioni di questi nuovi movimenti al di fuori della scelta della nonviolenza come guida dell’agire politico. Fuori da quella scelta, non c’è contaminazione/condivisione con i movimenti, ma vuote giaculatorie che nascondono una sostanziale indifferenza. Non si capirebbero neanche le rivoluzioni odierne, pure quelle armate come difesa come la zapatista, fuori dalla scelta della nonviolenza e di una nuova pratica di critica del potere separato.

Nella mozione dei compagni del documento "Un’altra Rifondazione è possibile" si dice testualmente: "Siamo per il pacifismo radicale ma non condividiamo la metafisica della nonviolenza". Cosa significa questa espressione? Chi ha mai parlato della "metafisica" della nonviolenza? Per noi la nonviolenza è una categoria dell’agire politico valida in questo periodo storico e in questo contesto, non una religione. Questi compagni, che si dicono aperti al movimento, mantengono, quindi, un’ambiguità su un punto di fondo dell’innovazione politica e culturale del Partito che li fa stare in mezzo al guado.

Come sul governo, in cui tra il progetto dell’alternativa programmatica di governo e l’opposizione scelgono di stare in mezzo riproponendo la desistenza e poi il navigare a vista, così sull’innovazione di cultura politica e sulla contaminazione con il movimento, danno un colpo al cerchio e una alla botte: pacifisti integrali (?) ma senza la nonviolenza come scelta dell’agire politico.

Nella mozione "Essere Comunisti" si dimostra una vera e propria incomprensione, che è qualcosa di peggio di un travisamento: è l’incapacità, con il bagaglio dell’ortodossia mummificata, di capire. Essi affermano: "Le forme di lotta dipendono dal contesto in cui si praticano: oggi in Italia è possibile praticare la lotta pacifica perché ieri i partigiani, con le armi in pugno, hanno sconfitto il fascismo; per contro in Iraq - dopo una guerra e una occupazione illegittime - il popolo iracheno è costretto a dare vita a una resistenza anche armata per sconfiggere gli invasori". E’ l’espressione di un vecchio continuismo per il quale si confonde nonviolenza con legalitarismo, come se la nonviolenza si riduce a un tratto di garbo nella lotta politica, per usare un termine di moda, a "buonismo". E’ esattamente il contrario, come, anche i più recenti movimenti di massa nel Paese dimostrano. La nonviolenza non è solo marciare o fare petizioni o mobilitarsi al momento del voto: la nonviolenza è una pratica attiva di disubbidienza che determina una generalizzazione del conflitto e, attraverso, una condivisione e una pratica di massa, si propone di superarlo alla radice. Scanzano e Melfi vorranno pure insegnare qualcosa.

Questi compagni, infine, compiono un altro fraintendimento grave che la dice lunga sulla loro inadeguatezza a capire le novità dell’elaborazione politica e culturale del movimento. Essi affermano testualmente: "Anche il concetto per il quale i comunisti non lottano per conquistare il potere ci pare non solo estraneo alla nostra storia, ma incomprensibile.. perdere di vista questo terreno, per rimanere puri e incontaminati significherebbe rinunciare alla lotta politica". Quindi, "critica del potere" e "rinuncia al potere" divengono sinonimi, dimostrando così che, nella loro impostazione dogmatica, esiste solo posto per una visione tradizionale del potere e del rapporto tra governo, società e movimenti.

8 Nonviolenza e Resistenza

E’ politicamente insensato mettere in relazione la scelta della nonviolenza come scelta politica qui e ora con altri tempi e altri contesti. Il riferimento alla Resistenza italiana è pertanto del tutto fuori luogo. Ma c’è di peggio.

Separare nella Resistenza la lotta armata dal progetto di società, vivisezionare al suo interno l’aspetto d resistenza al nemico occupante dal processo di liberazione, vuol dire operare su un corpo vivo e ucciderlo. In questo modo, non si difende la Resistenza, non solo si rinsecchisce la sua vitalità ancora attuale, se ne tradisce l’aspetto più profondo. Ma, è proprio quello che questi compagni fanno mettendo direttamente in relazione la Resistenza al nazifascismo con quella irachena. E non si tratta di un infortunio: in un altro passaggio, la resistenza irachena è messa in relazione a quella del Vietnam. E’ l’idea del "campismo" che torna a prevalere.

Si badi bene, qui non è in questione il diritto di un popolo a resistere in armi a una occupazione militare o a una aggressione o che ogni parte, anche quella in armi, deve avere il diritto a partecipare a una trattativa di pace. Su questo, non c’è tra di noi alcun dissenso. Il punto di contrasto è un altro. Al contrario di quanto fanno i compagni di "Essere Comunisti", per passare alla solidarietà militante, per noi ci deve essere la condivisione del progetto di società, ci deve essere un processo di liberazione.

Insomma, i Talebani in Afghanistan non sono i Vietcong e la resistenza irachena non può essere messa in rapporto con la Resistenza in Italia. Facendo, così, non solo non si comprendono quei fenomeni ma si arriva tradire lo spirito e il messaggio di quelle altre esperienze in Italia come in Vietnam (al di là, naturalmente, dagli esiti e dalle contraddizioni di ogni esperienza, che pure vanno indagate).

Per quanto ci riguarda, crediamo che sia possibile e necessario sfuggire a questa logica "campista" e che si possa essere contro l’invasione dell’Afghanistan senza schierarsi con i Talebani ed essere contro l’occupazione dell’Iraq e per il ritiro immediato dei soldati stranieri, primo fra tutti il contingente italiano, senza appiattirsi sulla resistenza irachena, anzi vedendone le contraddizioni e l’elemento politicamente corruttivo del nuovo terrorismo.

9. La spirale guerra/terrorismo

I compagni della mozione "Essere Comunisti" affermano: "dissentiamo da chi - con la complicità dei media - evoca una presunta spirale guerra-terrorismo. Non solo questa formula cancella dalla scena la Resistenza irachena, ma per di più suggerisce una inammissibile equivalenza delle responsabilità. Ferma restando la più netta condanna del terrorismo..." Anche qui, si guarda al fenomeno del terrorismo con le lenti del passato, come si fosse di fronte alla guerra di Algeria in cui mezzi discutibili vengono utilizzati per un fine condiviso di liberazione. Non si comprende il nuovo fenomeno del terrorismo e la sua capacità di pervadere ed egemonizzare la lotta armata.

Il terrorismo nasce come progetto politico, utilizza le contraddizioni del mondo e, anche la guerra, piegandole al suo progetto. Il terrorismo, quindi, nella dimensione globale che la sfida di Al Kaida ha lanciato, non si presenta più come un mezzo per combattere una guerra giusta ma come un fine in sé, è portatore, cioè, di una idea di società e dei rapporti tra le culture e le diversità. Per questo motivo, nelle 15 tesi si dice che è "figlio e fratello della guerra". Con il termine "spirale", non si identifica una gerarchia del tipo "la guerra genera il terrorismo", oppure, al contrario "il terrorismo causa la guerra". Attraverso quell’espressione si afferma che tra guerra e terrorismo esiste oggi una relazione, per la quale, nel mentre si combattono, quel loro stesso combattersi è la condizione del loro riprodursi e tanto è più acuto questo scontro, maggiore è la forza con cui si alimentano. D’altra parte, la grande forza espansiva del movimento della pace e la sua capacità di essere interprete di un bisogno di umanità diffuso, nasce proprio dall’essersi sottratto alla scelta di campo e aver proposto una critica radicale alla guerra e al terrorismo.

10. La storia dei comunisti

Non pensiamo affatto che la storia del movimento operaio sia un cumulo di macerie. Nelle 15 tesi si dice: "il grande e terribile 900 ha visto realizzarsi attraverso la lotta di classe l’ingresso delle masse nella politica e, in questo corso, si sono prodotte grandi esperienze di emancipazione, le più grandi fino ad ora conosciute.. Il movimento operaio è stato il grande protagonista del secolo ma è stato sconfitto in primo luogo per il fallimento laddove si è costituito in stato nelle società post-rivoluzionarie....La critica allo stalinismo non è, quindi, semplicemente la critica alle degenerazioni di quei sistemi ma al nucleo duro che ha determinato quell’esito ed è per questo motivo il punto irrinunciabile per la costruzione di una nuova idea del comunismo e del modo per costruirlo".

Un’impostazione rovesciata è quella dei compagni della mozione "Essere Comunisti", al di là dell’ennesimo stravolgimento della posizione di maggioranza, come se ci fosse una furia devastatrice che vuole azzerare tuta la storia del movimento operaio e cancellare indifferentemente tutti i protagonisti e i contributi presenti in quella storia. Il vero punto di differenza è il continuismo. Nella posizione che questi compagni esprimono il bilancio critico della storia del movimento operaio si riduce alla "critica netta degli errori e dei processi degenerativi", che nonpossonogenerareun dubbio "sull’aspetto prevalente dell’esperienza rivoluzionaria del movimento comunista". In pratica, si torna indietro di oltre 30 anni, anche di quello che fu il dibattito all’interno del PCI. Non è un caso che, addirittura, riemerge la critica che Cossutta faceva a Berlinguer quando questi prese le distanze in maniera netta dal modello sovietico, parlando dell’"esaurimento della spinta propulsiva" di quella società. Nel documento di "essere Comunisti", al Capitolo 18, riemerge il rimpianto per i Paesi del socialismo reale e si mette il dito sulle "conseguenze mondiali della scomparsa dell’Unione Sovietica". La "nuova" critica di questi compagni corre all’indietro e ritorna alla teoria del "contrappeso", ovvero del campo sovietico, criticabile quanto si vuole, ma fondamentale per competere con gli USA e mantenere l’equilibrio del mondo.

E’ un impianto dottrinario dogmatico e conservatore che viene riproposto. Così, si ripete la vecchia diatriba sull’attualità della nozione classica di imperialismo, e della connessa teoria dei conflitti interimperialistici, e, a dispetto di una analisi delle reali forze in campo, si ripropone l’idea di imperialismi europei e giapponese in lotta con quello USA, come se, quanto accaduto in questi anni non avesse insegnato nulla. Come se non fosse emerso con chiarezza il ruolo assolutamente egemone degli USA e del carattere subalterno a quel dominio dell’Europa, del Giappone e così via. L’analisi proposta è così datata che si parla dell’"India non allineata", dimenticando che il movimento dei Paesi non allineati appartiene ad un altro periodo storico, come se le parole usate uscissero fuori da qualche polveroso archivio.

C’è qui un punto di differenza sostanziale con l’impostazione delle 15 tesi: noi proponiamo di attualizzare il comunismo come processo di trasformazione. Per questo pratichiamo l’innovazione politica e culturale come i comunisti, nei momenti più alti della loro storia, hanno tentato di fare, in alcuni casi riuscendoci. E’ un’uscita da sinistra dalla crisi del movimento operaio quella che proponiamo non una fuoriuscita da quella storia. Chi ha parlato di cambiare il nome del Partito o di togliere dal simbolo la falce e il martello ha ingannato i nostri compagni e avvelenato il dibattito interno.

11. La Sinistra Europea

La nascita del Partito della Sinistra Europea è il fatto nuovo della politica europea e Rifondazione ne è tra i fondatori e i protagonisti. L’Europa per noi è, infatti, il banco di prova della costruzione dell’alternativa e il Partito della Sinistra Europea è la soggettività politica che può costituire il nucleo fondante della sinistra di alternativa in Europa. Si tratta di un processo in corso, non escludente qualcuno ma includente attraverso un processo aperto. Il Partito della Sinistra Europea comincia a fare i suoi primi passi e ad affermarsi come l’interlocutore che è in grado di cogliere la sfida che il movimento per la pace e quello del conflitto sociale propongono alla politica. La stessa possibilità di pensare alla costruzione dell’altra Europa passa per l’affermazione di questa nuova soggettività politica. Basti pensare ai principali temi dello scontro sociale e politico: il Partito della Sinistra Europea è l’unica forza politica europea che esprime compattamente una posizione alternativa al trattato costituzionale europeo, senza alcuna divisione al suo interno, non in nome di un rinchiudersi dentro la difesa dello Stato nazionale o di interessi corporativi ma in nome di un altro processo costituente, veramente democratico e partecipativo. Senza questa soggettività, la politica europea sarebbe il monopolio delle due formazioni principali, quella socialista e quella popolare. Ma la scelta della Sinistra Europea non è stata indolore e la partecipazione del PRC a questo progetto ha portato a un acceso dibattito interno, Anche nelle mozioni congressuali questo dibattito viene riproposto.

I compagni della mozione "Essere Comunisti", ripropongono la critica di stampo conservatore: la Sinistra Europea non si configura come una formazione politica dei partiti comunisti, anticapitalistici e antiimperialistici europei e molti partiti comunisti europei non hanno aderito al suo atto di nascita. Questa critica rileva il carattere dell’impostazione politica di questi compagni. L’unità si ritrova per loro sull’identità e non sulle scelte politiche discriminanti del movimento (il no alla guerra e alle politiche neoliberiste). Ma queste sono le discriminanti vere su cui è possibile far crescere una soggettività politica all’altezza della situazione. Fuori da questa impostazione, c’è il solito balletto dei "coordinamenti" tra forze politiche che, unite forse dai nomi, ma divise sulla politica, alla fine non decidono mai nulla. E’ questo, il "pannicello caldo" che questi compagni propongono: una modalità tanto vecchia quanto inefficace a prospettare una vera politica unitaria della sinistra di alternativa.

Anche i compagni del documento "Un’altra Rifondazione è possibile" propongono una critica. Essi affermano che il progetto della Sinistra Europea nasce sulla base di un rapporto con le sinistre liberali e socialdemocratiche, quindi, in una prospettiva di governo e che, quindi, in Europa si sono scelti partner sulla base della comune disponibilità ad alleanze di governo escludendo, quelle, non a caso più impegnate nella costruzione di movimenti. Anche questa critica ci appare del tutto infondata.

La Sinistra Europea vede al suo interno un nucleo di forze promotrici che si sono riconosciute tra loro non sulla base della collocazione rispetto al governo ma sulla base della loro posizione rispetto alle discriminanti del movimento. Questa è la realtà dei fatti. Essa non nasce affatto sulla base di un rapporto privilegiato con la sinistra moderata, anzi, al contrario, offre ai movimenti una interlocuzione politica alternativa a quella del Partito Socialista Europeo. Come già detto, il trattato costituzionale europeo ne è il primo banco di prova.

Rispetto alla questione che la Sinistra Europea comprenda partiti "governisti" ed escluda partiti d’opposizione, siamo alla confusione totale e alla negazione della realtà effettiva della collocazione dei singoli Partiti che ne fanno parte. La costruzione di una soggettività politica si compie su discriminanti di fondo, non sulla collocazione al governo o all’opposizione che dipende dalla fase politica e può cambiare. Come già detto, governo e opposizione, non sono organizzabili secondo una scala di valori per cui uno è bene è l’altra è male o viceversa. Far discendere da quella collocazione, l’aggregazione o disaggregazione della Sinistra Europea vuol dire fare, una operazione puramente ideologica e velleitaria, una soggettività "ad organetto", in cui i partiti entrano o escono a seconda delle singole vicende.

La Sinistra Europea è una costruzione includente. Al contrario di quanto gli oppositori dicevano, non si è determinata alcuna contraddizione tra il Partito della Sinistra Europea e la collaborazione più larga dentro il GUE al Parlamento Europeo. Altre forze politiche di alternativa in Europa sono interessate al progetto e guardano con attenzione a questa nuova soggettività; nuove forze rianno deciso di aderirvi, oltre quelle che l’hanno promossa. La Sinistra Europea cresce in adesioni e consensi.

Rifondazione Comunista, che fin dall’inizio si è battuta per il massimo possibile di inclusione, ne è tra i protagonisti e il suo ruolo ha avuto il massimo riconoscimento con la Presidenza del Partito. Il suo ruolo e il suo prestigio in Europa e nel mondo sono cresciuti.

Con la Sinistra Europea, anche in Italia, molte forze, realtà, singole personalità interessate al progetto della sinistra di alternativa, hanno riconosciuto in quel progetto un salto di qualità nella giusta direzione. Con la loro adesione alla Sinistra Europea, queste soggettività esterne al Partito, hanno avuto la possibilità di essere coinvolte in un processo che è, allo stesso tempo, espressione di una progettualità forte. Cosa sarebbe successo se avessero prevalso le opposizioni che i compagni dei documenti alternativi a quello di maggioranza ripropongono e che sostanzialmente, in nome di opposte valutazioni, volevano frenare il progetto? Non sarebbe accaduto alcun fatto nuovo e si sarebbe ancora avvitati in una discussione tanto ostile quanto inconcludente.

Invece, oggi possiamo partire da qualcosa di importante che è stato costruito e che, tutti assieme, dovremmo cercare di far crescere in un progetto che non deve escludere nessuno ma, progressivamente, includere tutte le forze che vogliono costruire un’altra Europa della pace e dell’alternativa al neoliberismo. La dimensione dell’Europa è il nostro riferimento: per questo noi, che non volgiamo togliere nulla dal nostro simbolo, vogliamo aggiungerci la dizione Sinistra Europea per indicare il senso e la direzione di un cammino che vuole andare oltre la propria nazione e guarda a un processo di trasformazione su scala continentale.

12. Il Partito

Il partito, al suo interno, soffre, è avvitato spesso in contrapposizioni laceranti che impediscono, molte volte, di far esprimere tutte le energie e le ricchezze al suo interno e, al tempo stesso, di tramutare in consenso attivo l’interesse e la simpatia suscitati dalla sua politica. Eppure, una nuova generazione, non solo in senso anagrafico, di quadri e militanti si affacciata e si è imposta, guadagnando, anche se con molta fatica, ruoli di direzione politica importanti. Questo processo, però, è ancora lontano dal potersi dire compiuto.

Il partito ha subito una lenta, limitata ma costante perdita di iscritti che è in contraddizione con il consenso cresciuto e la grande capacità di mobilitazione nelle manifestazioni, nelle lotte, nelle vertenze locali. Una discussione non è più rinviabile, una discussione seria, approfondita, senza plebeismi o lisciare il pelo a un "basismo" che da solo non può rappresentare alcuna uscita da questa crisi. Una crisi che sta dentro il ciclo lungo della crisi della politica ma che va indagato anche nella specifiche modalità in cui il Partito vive ed è organizzato.

Insomma, il problema, non può essere affrontato come fanno i compagni nel documento "Essere Comunisti" solo con la rituale affermazione che si dice sempre a ogni congresso: occorre ridare centralità ai circoli, alle Federazioni e alle espressioni di base del Partito. Occorre, invece, dire cosa fare per andare in quella direzione.

Non può neanche essere affrontato nel modo altrettanto rituale come fanno i compagni del documento "Un’altra rifondazione è possibile", che dicono: occorre evitare che il circolo si trasformi in semplice comitato elettorale, rivitalizzi la sua azione sociale e la federazione non può essere semplicemente una struttura gerarchica. Occorre dire cosa fare per andare in quella direzione.

Insomma, va affrontato il tema della organizzazione del Partito e della sua vita interna. Di più, va affrontato il tema di come far esprimere, come soggettività interna al Partito, la ricchezza sociale che il Partito complessivamente esprime sia nelle sue forme tradizionali che in quelle sperimentazioni effettuate (si pensi, per esempio, ad alcune esperienze esemplari dei giovani comunisti) che nelle soggettività ad esso che si connettono al suo progetto complessivo (si pensi all’esperienza del Forum delle donne, al Forum ambientalista, alla Sinistra Europea, le Riviste, le Fondazioni e così via).

Se si vuole effettivamente prendere il toro per le corna, occorre proporsi di avviare, subito dopo il Congresso Nazionale, che si deve soffermare e decidere sull’impostazione politico culturale, sull’innovazione e sulla linea politica, una Conferenza di organizzazione con valenza strategica della medesima importanza dell’assise congressuale. Questa è la nostra proposta.

Una conclusione

Il partito ha una sua solidità. Ha passato e vinto sfide che avrebbero disgregato forze assai più consolidate e organizzate. Ha saputo sfidare la fissità del quadro politico e superato prove durissime. Rifondazione Comunista non è una forza politica marginale ed ininfluente. E’ una forza viva, presente fin dall’inizio nel movimento di contestazione della globalizzazione neoliberista (anche quando molti a sinistra e fin dentro al Partito, guardavano con aristocratico distacco il "movimento dei movimenti"), presente in tutti i movimenti di lotta, nei posti di lavoro, nelle vertenze territoriali, con una forza elettorale consolidata e in crescita, con la capacità di essere tra i protagonisti principali della costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra radicale in Europa, il Partito della Sinistra Europea. Non si può neanche pensare di sconfiggere le destre in Italia, nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni, senza un rapporto di alleanza con Rifondazione Comunista.

Al tempo stesso, Rifondazione Comunista è la forza politica essenziale per la costruzione della sinistra di alternativa. Erano esiti scontati? Tutto il contrario. Chi non ricorda che in Italia si è tentato di marginalizzare, cioè di mettere fuori gioco, Rifondazione Comunista e di rendere la sua forza inessenziale? Come non vedere anche nelle recenti dichiarazioni di D’Alema sull’estensione del maggioritario, da un lato che questo desiderio non è sopito in settori della sinistra moderata e, dall’altro, l’amarezza di essere stati sconfitti su quel punto essenziale?

Non si può separare questo dato incontrovertibile riconosciuto da compagni, amici e avversari (e ammesso pure nelle altre mozioni congressuali), dalla linea politica praticata. Questa linea politica non può essere spezzata a seconda delle convenienze di questa o quella posizione dentro il Partito: rapporto di internità con i movimenti, proposta politica di apertura sia al campo complessivo delle opposizioni politiche e sociali sia come costruzione della sinistra di alternativa, innovazione della politica e del soggetto della politica, innovazione di cultura e teoria politica del movimento operaio (tesi 2), stanno assieme a rappresentare il complesso di questa linea. Questa linea politica non va compromessa. Per questo chiediamo al Congresso del Partito di confermarla e di darle più forza.