Home > MA CHE BELLA PROVINCIA !
Ma che bella gente e che bella provincia! Così cantava Giorgio Gaber nel lontano 1971, in una canzone davvero emblematica che metteva a nudo il moralismo peloso, il perbenismo purulento, il panciafichismo suppurato della provincia, di qualsiasi provincia, di tutte quelle oneste e rispettabili comunità dove i peggiori sono i migliori, dove gli speculatori, le canaglie, i lestofanti costituiscono l’autorità più alta in grado, riverita e adulata da un manipolo di benpensanti. Una provincia dove gli imbroglioni, gli arraffatori, i baciafondai, i baciapile, gli usurai e gli speculatori sono la brava gente: tutti casa, chiesa, famiglia, in pubblica piazza. Bordello, bisca, consorteria, depravazione, in privata situazione. Persone che non pensano ma pregano, che non pregano ma fregano, sempre parafrasando il grande cantautore milanese.

(Nella foto: Elisa Claps)
Dopo il caso della povera e sfortunata Elisa Claps la collettività potentina può guardare in faccia sé stessa, le connivenze, le collusioni, l’omertà, la manchevolezza, l’orripilante compiacenza che ha permesso di occultare, per 17 anni, il corpo di una sedicenne nel sottotetto di una Chiesa, sopra le testa dei suoi concittadini in un distratto “struscio in via pretoria” o in genuflessa contemplazione nella medesima casa del Signore ridotta a sepolcro imbiancato per gli occhi abbassati delle anime belle.
Ci si dirà che non si può accusare un’intera città per un episodio isolato: Potenza è sgomenta, soffre e in molti cittadini c’è il desiderio di conoscere la verità in ogni dettaglio, come ricorda il Sindaco in una sua recente lettera aperta. Ogni anno la Città ha ricordato Elisa, la sua scomparsa, la volontà di non dimenticare. È vero. Ma la malvagità misantropa di qualche malfattore o la crudeltà spaiata di una mente malata non sgravano la collettività dalla sua noncuranza, inverosimilmente spacciata per riservatezza e discrezione.
Se il delitto è stato concepito e realizzato in solitaria criminalità, il suo obnubilamento dietro una fuliggine di reticenze pesa sulla groppa di una moltitudine di individui, evidentemente sapienti e mal praticanti. Lo presumiamo anche se non lo possiamo provare ma questo è compito della magistratura che intanto indaga (si spera oggi con maggiore perizia di ieri). La città è divorata dall’angoscia, un’angoscia di cui non sappiamo quasi nulla.
Nel film “L’uomo senza sonno” la figura scavata e magrissima di Trevor Reznik è l’immagine stessa di qualcosa che Trevor si è imposto di dimenticare, ma che il suo corpo rende ben visibile a tutti come segno del suo dolore. È una città magra la nostra. Emaciata. Trevor si ritrova da un anno senza dormire, Potenza da 17 anni. Trevor cerca di andare avanti, di dimenticare, poi inizia a tormentarlo una domanda: chi sei tu? Tutto il film è attraversato da una costante sensazione di deja vu. Quello che la memoria ha cercato di cancellare torna prepotentemente nella sua vita e lo obbliga a porsi delle continue domande. Un film, quindi, sul dolore e la colpa, sul bisogno di dimenticare, sulla necessità di una redenzione. Trevor nelle sue notti di insonnia legge l’Idiota di Dostoevskij. Nel senso di una pazzia che lo sconvolge e lo porta in un mondo allucinato. Una buona città calmiera i suoi conflitti, li dirime, li sintetizza proficuamente, li supera nel nome del bene comune, una cattiva società li seppellisce dentro un tempio e li esorcizza con i riti del pettegolezzo infamante.
La comunità non è dunque solo un’idea, un archetipo, una visione, una teoria da esprimere e da non praticare, essa è innanzitutto tangibilità, scorza, polpa, e poi ancora carne, sangue nervi, è tutto ciò che pulsa e che vive in una identità condivisa.
La città non è una categoria astratta di deresponsabilizzazione: quando essa s’indigna, deplora, depreca troppo facilmente, al fine confinare le sue presunte mele marce (che ancora in questa vicenda non si conoscono), finisce per dimenticare troppo in fretta. La città è quello che le accade, quello che realizza e costruisce con le sue azioni. E’ anche quello che mortifica, distrugge, umilia con le sue malefatte. Si prenda atto di tutto e ci si rimbocchi le maniche per accrescere le une e ridurre le altre. Alla fine del film davanti a Trevor, in macchina, c’è un ennesimo bivio. Da una parte la fuga, dall’altra la salvezza. E nel mezzo la ricerca di una pace che può arrivare solo quando l’uomo riconosce i propri errori (per quanto orribili possano essere) e trova il coraggio di scontare le proprie colpe senza più fuggire davanti a se stesso. Bernanos, nel suo “Diario di un curato di campagna” dice: “Nostro Signore non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ma il sale.
Ora il sale su una pelle a vivo è una cosa che brucia, ma che le impedisce di marcire”. Le scorciatoie e le giustificazioni, per superficiali ed estemporanee redenzioni, non rifondano il comune ma lo relegano ad accessorio di comodo dei discorsi politicanteschi e pilateschi. Ecco perché dobbiamo lasciare da parte i bei ragionamenti consolatori ed evitare di raccontarci ancora delle storie. A noi la cruda e dura verità in tutta la sua violenza, in tutto il suo sconcerto.
Pasquino Potenza
9.04.2010
Messaggi
1. MA CHE BELLA PROVINCIA !, 10 aprile 2010, 14:40
Caso Claps. Nuovi retroscena sul ritrovamento
09/04/2010
di Fabio Amendolara
POTENZA - Lo aveva saputo a gennaio. E alla polizia lo ha detto subito. O quasi. Lo ha detto il giorno del ritrovamento ufficiale: il 17 marzo. Quando dice di aver appreso che quelli nel sottotetto della Trinità erano i resti di Elisa Claps. Il vescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo, vicepresidente della Cei, ha confermato agli investigatori della Squadra mobile di aver saputo dal viceparroco di origini brasiliane don Vagno del ritrovamento del corpo di Elisa. Ma di non aver capito. Alla base ci sarebbe un equivoco.
Il viceparroco ha difficoltà ad esprimersi in italiano. Quel giorno di fine gennaio, dopo il ritrovamento, aveva provato a dirlo al vescovo. «In chiesa trovato un cranio» detto da don Vagno sarebbe diventato «in chiesa trovato ucraino». Il vescovo, che era a Roma e in quel momento era molto impegnato, avrebbe liquidato don Vagno dicendogli che ne avrebbero riparlato al suo ritorno.
Sono particolari che alla polizia interessano marginalmente. Gli investigatori sono impegnati nel difficile studio della scena del crimine, quindi la ricostruzione delle fasi di ritrovamento dei resti gli è utile esclusivamente per stabilire cosa è stato toccato o spostato nel sottotetto della Trinità.
I fatti, comunque, stando alle testimonianze dei protagonisti, sono andati più o meno così.
Don Vagno a fine gennaio entra nel sottotetto e trova un cadavere scarnificato e mummificato. Lui non sa nulla del caso Claps. Non ne ha mai sentito parlare. Telefona al vescovo, ma i due non si capiscono.
Nel sottotetto, intanto, sono entrate anche le donne delle pulizie. Secondo don Vagno una delle due ha anche raccolto gli occhiali di Elisa con una paletta. Loro negano con la stampa. Negano con i magistrati. E negano anche in fase di confronto con don Vagno.
In realtà fu don Vagno a prendere gli occhiali, a chiuderne le aste e a riporli accanto al cadavere.
Ci sono stati poi almeno tre tentativi di far ritrovare il corpo di Elisa Claps ad altri. Prima le donne delle pulizie. Poi, con la scusa del sopralluogo per l’infiltrazione d’acqua, il titolare di un’impresa di costruzioni. E infine l’operaio rumeno. Lui è stato l’ultimo a salire nel sottotetto. Le ragioni che hanno spinto qualcuno a mettere in scena il ritrovamento non sono ancora chiare.
E perché don Vagno, il viceparroco brasiliano che ha difficoltà a parlare in italiano, ha cercato di smarcarsi con gli investigatori dichiarando di aver saputo di quei resti nel sottotetto dalle donne delle pulizie?
L’impressione è che in quel sottotetto, nel corso degli anni, siano entrati in tanti. E’ un particolare che gli investigatori confermano.
Un testimone ha dichiarato di essere entrato tempo fa per alcuni lavori di ristrutturazione e di non aver visto nulla. Nulla di strano. Il sottotetto è molto grande e buio e il corpo di Elisa era in un angolo, coperto da tegole e calcinacci.
Le contraddizioni che rendono misterioso il ritrovamento riguardano altre persone. I protagonisti sono don Ambrogio Atapka, parroco amministratore della Trinità, don Vagno, viceparroco, il vescovo Agostino Superbo, le due signore delle pulizie, il titolare dell’impresa di costruzioni e l’operaio rumeno.
Ognuno di loro - come anticipato nei giorni scorsi dal Quotidiano - ha detto agli investigatori una verità.
Ecco la ricostruzione aggiornata. Don Ambrogio dice di non essere mai salito nel sottotetto, di non aver raccolto confidenze dal viceparroco, di non conoscere le donne delle pulizie e di aver appreso del ritrovamento solo il 17 marzo. Ha però telefonato al titolare dell’impresa di costruzioni più volte. Ed era presente sul terrazzo della chiesa della Trinità durante il sopralluogo.
Don Vagno dichiara di essere entrato a gennaio nel sottotetto e di aver trovato un «cranio», di aver parlato in modo sommario con il vescovo a telefono e, dopo aver appreso che era Roma, di aver deciso di aspettare il suo ritorno per riprendere il discorso. Ammette anche di aver toccato gli occhiali di Elisa e di averli riposti al suo fianco.
Ma dice anche di aver saputo dalle donne delle pulizie che c’erano dei resti nel sottotetto.
Il vescovo, vicepresidente della Cei, monsignor Agostino Superbo, sostiene di aver ricevuto la telefonata di don Vagno, di non aver capito di cosa si trattasse e di aver appreso del ritrovamento il 17 marzo. Inoltre, sostiene di non essere mai entrato nel sottotetto. Di aver sollecitato l’intervento dell’imprenditore. Di aver partecipato al sopralluogo in un giorno precedente al ritrovamento. E sostiene anche di aver suggerito alla polizia di sentire don Vagno perché dava l’impressione di aver qualcosa da dire. L’imprenditore edile ha confermato di aver ricevuto le chiamate da don Ambrogio, di aver rinviato l’intervento causa maltempo, di aver poi comunicato il giorno per il sopralluogo e di aver effettuato i primi lavori sul terrazzo. Quel 5 marzo, infatti, il terrazzo era coperto di acqua e fango ed era impossibile accedere al sottotetto.
L’operaio rumeno che ha ritrovato ufficialmente i resti di Elisa sostiene di aver effettuato un primo sopralluogo senza entrare nel sottotetto. Di aver smontato la porta che chiudeva il solaio il 17 marzo. Di essere entrato nel sottotetto per riparare l’infiltrazione. Di essersi fatto luce con il telefono cellulare. Di essersi trovato di fronte uno scheletro sdraiato a terra alla destra della porta d’ingresso. Di essersi spaventato ed essere corso a chiedere aiuto. Le due donne delle pulizie, infine, negano di aver trovato i resti. Confermano di essere state sul terrazzo e di non aver mai messo piede nel sottotetto.
Ma chi ha deciso di inscenare il ritrovamento il 17 marzo? E perché? E’ un aspetto che ancora non è chiaro.
http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/basilicata/potenza_elisa_claps_ritrovamento_corpo_vescovo_superbo_1234.html
2. MA CHE BELLA PROVINCIA !, 10 aprile 2010, 15:22
Provincia o non provincia in qualunque paese del mondo una persona che avesse da mesi un cadavere in casa e non avesse avvertito la polizia sarebbe sospettato di omicidio e starebbe nelle patrie galere a cercare di ricordare tutti i particolari utili alle indagini....in Vaticanistan no!michele