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Morti che camminano

Publie le giovedì 11 agosto 2005 par Open-Publishing

autore: un passeggero della metropolitana milanese

Ora sappiamo di che morte moriremo. E chi ringrazieremo, quando il prossimo kamikaze si farà scoppiare le budella in qualche vagone della metropolitana - qui a Milano, la "metro" - mettendo fine - che grazia! - alle nostre giornate da invertebrati, ufficio-casa-ufficio, trascinamenti quotidiani che del resto ci avevano già resi molto simili a quei pazienti terminali ("già morti") con cui "Una mano per la vita onlus", associazione d’assistenza domiciliare gratuita ai malati terminali di cancro, ha tappezzato in questi giorni le stazioni sotterranee. Il suo slogan ("In Italia un malato terminale è già un uomo morto"), sotto la fotografia del paziente nella fossa, non suona più lugubre di quello pubblicato dall’Associazione amici del Policlinico: "Se hai sangue nelle vene, dimostralo. In agosto donare il sangue nel Policlinico di Milano".

Ci si sente un po’ tutti morti che camminano... o strisciano - quasi un segno premonitore - stipati nei convogli che l’ATM in agosto ha pensato bene d’accorciare per la ripavimentazione delle banchine di piazza Duomo e Cadorna. Tutta quella gomma - con le sostanze che può rilasciare in caso di combustione - non era molto igienica e poi dal bianco grés porcellanato il sangue - quel poco che ci resta, e pure malato - e i nostri pezzi di carne pallida e grassoccia - già in decomposizione - si laveranno via che è una bellezza.

In fondo, anche se col contagocce, a qualche piccola strage ci siamo abituati - un suicidio ogni... due, tre mesi? - stragi silenziose, se non fosse per il temporaneo black out e il disservizio che creano ("c... zzo, doveva proprio ammazzarsi ora?!"). Il mio edicolante dice che i passeggeri della metropolitana milanese sono fatalisti. Se lo siamo nei confronti della nostra vita, figuriamoci per tutto il resto.
In fondo, ce lo meritiamo. E ci meritiamo tutti i Bush, Blair, Bin Laden e al-Zawahiri del mondo (e, in Italia, i Berlusconi e Fini - ma anche certa "sinistra di governo" che di fronte a questa chiamata alle armi tentenna).

Se mai qualcosa succederà, oltre alla nostra inerzia (il silenzio con cui abbiamo accolto il rifinanziamento della missione, ma all’epoca - si sa - dovevamo programmare il prossimo pacchetto per Sharm...), ringrazieremo gli appelli muscolari e ipocriti rilanciati dai nostri governanti: a "completare il lavoro", ad "assumerci le nostre responsabilità in Afghanistan e in Iraq, per aiutare le popolazioni a liberarsi dal terrorismo".

Parole che suonano né più né meno come un "armiamoci e partite" (l’orbace il nostro ministro degli Esteri dove l’ha lasciato?), solo che in questo pantano di merda, il fronte della guerra globale che sembra piacergli tanto, ora ci siamo dentro proprio tutti, non solo i suoi "bravi ragazzi" di Nassiriya.
E noi, che in questo mese d’agosto (ma da settembre sarà peggio) riempiamo metropolitane, stazioni, treni e autobus, certamente più di lorsignori.
L’ultimatum è scaduto. Anzi, era scaduto da un pezzo, anche se non ce n’eravamo accorti o avevamo finto di non accorgercene, di non accorgerci che siamo in guerra, da quattro anni e mezzo, anzi, da più di quattordici - "operazioni umanitarie", "bombardamenti chirurgici", "bombe intelligenti"... Do you remember Cocciolone? Nessuno gli ha mai chiesto quante ne ha sganciate sugli iracheni?

Ce ne ha messo di tempo, la guerra, ad arrivarci in casa! Non sono bastate le immagini delle torture di Abu Ghraib, delle stragi quotidiane di cittadini iracheni, dei carabinieri - occupanti - di Nassiriya (quegli angeli della democrazia modello esportazione con lo stendardo della Repubblica Sociale appeso in camerata) e degli italiani ostaggi - mercenari o liberi giornalisti, non importa...
Solo dopo le bombe a Madrid e a Londra e a Sharm el Sheik abbiamo cominciato a sentirlo, l’odore della guerra. Che si sta avvicinando, sta arrivando. Già l’annusiamo, in una via di Gerusalemme e di Gaza come in una piazza di Baghdad o in una stazione sotterranea di Londra. O di Milano.

Pensavamo di restarne fuori. Che riguardasse gli altri. Magari solo americani e inglesi che la guerra l’hanno fatta sul serio. Mica come noi, che in Iraq ci siamo arrivati dopo, dopo l’inva... la liberazione, sì, a guerra finita (finita, già), con le crocerossine e magari il servizio civile a costruire scuole e ospedali e Babbo Natale a portare giocattoli ai poveri bambini iracheni e panettoni per tutti. Come se vicino a Nassiriya non ci fosse quel giacimento di petrolio che all’Eni faceva gola... Noi - italiani brava gente - arriviamo sempre secondi. L’altra volta fu in Francia, dietro le armate della Wehrmacht, una passeggiata, sicuri - furbi, eh? - che con la guerra lampo dei nostri forti alleati sarebbe finito tutto in pochi mesi e noi avremmo avuto la nostra parte di bottino: italiani bravi sciacalli!

Le moltitudini di Genova, tutta quella confusione, quel ragazzino morto - come si chiamava? - e Agnoletto e Casarini - cos’aveva da urlare tanto? - e quegli strani social... e tutte quelle bandiere colorate appese ai balconi per qualche attimo ci avevano distratti dal noioso spettacolo della nostra vita. Perché non abbiamo tempo da perdere, noi. Eppoi, chissenefrega del debito del Terzo mondo ("si rimboccassero le mani e imparassero a lavorare e anche a scegliersi governanti meno corrotti, quelli"... magari come i nostri) e degli africani che muoiono di Aids ("così imparano a moltiplicarsi come conigli"). L’effetto serra? "Una balla degli ambientalisti". Il trattato di Kyoto? "Chissenefrega, tanto l’Humvee - per andare al lavoro - me lo compro lo stesso. Vedi un po’, ora salvo il Pianeta perché vado in utilitaria...!".

Certo, non tutti la pensano così. Molti non la pensano e basta: il grande botto mondiale di questi anni probabilmente non ha sfiorato neppure i loro timpani, figuriamoci il cervello o il cuore. Hanno solo una paura bestia. O forse neppure quella. Qualcuno - ma solo i più sensibili! - ha fatto un’offertina a Emergency, a Natale, ha comprato un bel cesto di infusi equosolidali per la nonna e pure il braccialetto colorato del Live8 - ché in spiaggia è trendy...

Ormai non serve nascondere la testa sotto le pagine dello stesso free press e tenere i vuoti occhi incollati al video con la pubblicità gentilmente offerta dall’ATM in attesa del prossimo treno - un modo per allentare la tensione?
E’ la nuova guerra permanente, baby! Siamo tutti "morti che camminano", sopra o sotto la città, sopra o sotto la sua linea di galleggiamento tracciata, senza pietà, dai soliti vecchi padroni, tra caro-vita e vita bella.

Tutti sulla stessa carrozza, impegnati e disimpegnati, coscienti e incoscienti, equosolidali ed egoisti, angosciati preoccupati stressati e annoiati frivoli gaudenti beoti strafatti - di coca iperlavoro o alcool, fa lo stesso. Rampanti e sfigati, modelle e cassintegrati, "tonificati" da saune & fitness center, fanatici del salutismo, schiavi del junk food, anime in pena in cerca del senso della vita dal guru, mago o psicanalista di turno, anime belle pronte a bussare a questo o a quel gruppo di volontariato (Milano ne è la capitale) pur di togliersi qualche senso di colpa - e riempire il tempo libero - e vecchi fricchettoni che sognano una vita diversa, in fuga verso latitudini più calde e "affanculo tutto e tutti!", o solo turisti in vacanza, in qualche villaggio riparato dallo tsunami...

Tutti sulla stessa carrozza, nevrotici che somatizzano le cose più insignificanti e igieniste in guanti bianchi, paranoici, psicotici, maniaco-depressivi, ansiose, anoressiche, compulsivi/e (chi più, chi meno) con la mania dello shopping, ossessionati dal sesso e dalla carriera, depressi e sfigati...
Tutti sulla stessa carrozza, precari in attesa d’un corso che non arriva mai, interinali di megastore sempre aperti - altro bel botto, quello! - e stranieri braccati come animali, anche se col biglietto timbrato e il permesso di soggiorno in regola. Per loro, la stagione della caccia si è aperta coi cinque colpi sparati - per sbaglio - alla testa all’elettricista brasiliano dai poliziotti della metropolitana londinese: basta un giubbotto un po’ troppo pesante, uno zainetto sospetto. E soprattutto la pelle più scura. Occhio a non abbronzarvi troppo, milanesi in ferie!

Tutti, proprio tutti, sulla stessa stramaledettissima carrozza, risparmiatori che non arrivano a fine mese e habitué dell’happy hour, pensionati al minimo e nipotini coatti dello sballo by night e dello struscio più o meno firmato, orde che il fine settimana la grande periferia urbana coi suoi dormitori catodici riversa nelle vie del centro, dietro la stessa illusione consumistica, prima che si tramuti in rabbia.
Tutta carne da macello, pronta a farsi shakerare coi suoi abbonamenti vidimati, cartellini da timbrare, ticket restaurant, taillerini, gessati, bandane, cappellini, infradito carine, piercing da punkabbestia e tatuaggi alla moda, nike puzzolenti e mocassini impeccabili, canotte sudate, camicie stirate, cravatte sfatte, fazzoletti bagnati, ventiquattr’ore da manager e da travet, zainetti e tracolle, agendine cartacee ed elettoniche (e mentali), telefonini con/senza auricolari, i-pod e lettori Cd e libri e gabbie coi gattini... Una bella poltiglia, non c’è che dire.

E allora, che facciamo? Meglio morire di paura aspettando il botto? Abbiamo bisogno della bomba per svegliarci? Chi ci ha arruolati in questa guerra? L’abbiamo scelta noi? No? E non possiamo farci proprio niente? Cos’è, una calamità del destino?
Per quanto tempo resteremo a guardare, a guardare le stragi degli altri sperando sempre che non tocchi a noi, per quanto saremo ostaggi di questa logica di guerra - il terrorismo della guerra, la guerra del terrorismo - perdendo, con i nostri diritti civili e con quel poco che ci resta della nostra democrazia, anche il rispetto di noi stessi?
Con che coraggio - rassegnati a vivere così, ammesso sia una vita, questa - guarderemo in faccia i nostri figli e nipoti, se ne avremo?

Siamo vivi o morti che camminano?

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