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Nella notte di Santoro spunta la parola "rivoluzione".

Publie le venerdì 26 marzo 2010 par Open-Publishing
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"Rai per una notte", la trasmissione che ha sostituito Annozero fuori dagli schermi Rai è stata un successo pieno. Migliaia e migliaia le persone in piazza, in streeming, davanti alle radio e alle tv che hanno rilanciato l’evento. Tra antiberlusconismo e spettacolo, anche le voci del lavoro. E pure un appello molto applaudito: "ci vorrebbe una rivoluzione"

Ripreso da: ilmegafonoquotidiano

La rivincita è stata piena e intensamente goduta. Trasudava gioia da tutti i pori Michele Santoro nel trasmettere il suo programma fuori dagli schermi della Rai, dalle regole, dai bilancini chissà quante volte trattati. Fuori dalle mediazioni con il Belpietro o il pidiellino di turno, fuori anche dalle liturgie noiose del Pd. E’ stata una manifestazione-spettacolo che nulla aveva a che vedere con Annozero conclusasi con un giuramento ironico al grido di "la faremo ancora fuori dal vaso". L’unica concessione al giornalismo, la trascrizione, con recitazione, delle intercettazioni di Berlusconi, ri-raccontate per chi le avesse perse da Sandro Ruotolo. Per il resto è stata una chiamata di solidarietà generale per affermare il diritto a esserci, il diritto a trasmettere in nome di un pubblico che chiede di essere rappresentato. E che si è manifestato con migliaia e migliaia di persone. Nel PalaDozza ne sono state contate 5700, diverse migliaia erano fuori ad ascoltare su un maxischermo. E poi le venti piazze, tra cui piazza Navona, le 40 emittenti locali, le decine di radio locali e infine i siti - tra cui, modestamente, anche il nostro. Si sono sommati 120 mila contatti unici in contemporanea che sembra sia il più grande risultato mai avuto sul web. Insomma, un successo. Ritmato dagli articoli letti da Marco Travaglio, accolti da veri boati, dal ritorno di Daniele Luttazzi - «l’uso che della Rai fa il Direttore generale Masi è criminoso» ha detto senza però rinunciare alle tradizionali battute al limite del maschilismo - dall’omaggio prestigioso di Roberto Benigni - «sono qui con un milione di persone (piazzetta vuota, ndr) per la Questura, 12 per Verdini» - dalle parodie monarchiche di Elio e le Storie tese. E poi i giornalisti invitati: Gad Lerner, Riccardo Iacona, Norma Rangeri, Floris - imbarazzante, lui che ha istituzionalizzato la "compagnia di giro" fatta sempre delle stesse facce a prescindere dagli argomenti - Milena Gabanelli, intervenuta da fuori e, ancora, Morgan un po’ spaesato a parlare di poesia e Dante (dopo essersi fatto conoscere con la poco poetica XFactor).
Insomma, il mondo di Santoro e della sua redazione che, come si ricordavano nelle intercettazioni trasmesse Diego Masi e il commissario dell’Agcom agli ordini di Berlusconi, Innocenzi, è in Rai da venticinque anni (forse un po’ meno, ma siamo lì). Un mondo che è fatto di cose mescolate, a volte esaltanti altre irritanti. E’ fatto di giornalismo, innanzitutto: i servizi di Annozero, e prima ancora del Raggio Verde o di Samarcanda, sono sempre stati molto belli. Lo stesso Riccardo Iacona, che oggi forse offre il meglio dal punto di vista del reportage giornalistico - ma anche Report non scherza - viene da quella scuola. E’ quella cifra giornalistica che permette di trovare nelle seguitissime trasmissioni anche la voce del lavoro, il racconto di una vertenza, una lotta, una fabbrica in agitazione. Ieri sera c’erano le operaie dell’Omsa o i precari dell’Ispra in grado di poter esprimere a un pubblico più ampio la loro lotta. E anche di ascoltare l’invito fatto da Gad Lerner a organizzare trasmissioni di questo tipo con al centro il lavoro e la condizione di chi non ce la fa.
Ma Santoro è soprattutto l’antenato, e quindi il miglior interprete, dell’ormai non più nuova "vague" che attraversa la sinistra, quella che chiede innanzitutto regole, onestà, rispetto della Costituzione. Rispetto di una convivenza democratica di base che in fondo viene continuamente stressata dagli assalti berlusconiani. Un’onda, una corrente molto forte che aveva già costituito la base del movimento dei Girotondi nel 2002, che poi ha trovato in Grillo un interprete efficace, e poi si è riversata nel Popolo viola o ha votato in massa l’Italia dei Valori. Ieri sera si è messa davanti a uno schermo internet oppure ha acceso una radio, una tv satellitare o digitale, ha cercato di esserci approfittando dell’occasione di essere protagonista e non solo spettatore-spettatrice del giovedì sera. Non è un caso se a Bologna si è allestita una sorta di assemblea in piazza. Insomma un’onda indistinta, fatta di molti anonimi, individui o collettivi locali e che si riconosce in nomi noti, soprattutto dell’informazione, come Santoro o Travaglio.
Una corrente che è disposta a raccogliere anche il concetto di "rivoluzione". "Ci vorrebbe una rivoluzione" ha infatti declamato alla telecamera il regista Mario Monicelli, mostro sacro del cinema italiano. E alla "rivoluzione" si sono poi rifatti sul palco Riccardo Iacona e lo stesso Michele Santoro, raccogliendo un applauso convinto, quasi un boato. E in effetti la situazione italiana è riassumbile in questa sintesi e nel suo paradosso. "Ci vorrebbe una rivoluzione" per finirla con la cialtroneria della destra e l’ignavia del centrosinistra; una rivoluzione per restituire dignità a chi lavora, per finirla con l’arroganza dei padroni, con le prebende, i privilegi, le ingiustizie; ci vorrebbe una rivoluzione per riuscire a non soccombere all’intreccio mortale di crisi economica e sociale e crisi democratica. Una rivoluzione, il cui suono rischia di essere ascoltato molto più delle voci disposte a emetterlo.

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