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OSTAGGI

Publie le martedì 19 ottobre 2010 par Open-Publishing

CANTO DELLA VITTORIA FINALE


Che cosa possiamo darti in più ancora di quello che già ci hai preso in tutto questo tempo tuo?

Abbiamo ancora , secondo te, qualche residuo che ti possa interessare?

Magari ti interessa prendere quel libro che non dobbiamo leggere, passarlo ai tuoi amici verdi che con il lanciafiamme lo volatizzeranno insieme agli altri.

O preferisci quel pezzo di carta di laurea, tanto a noi non serve più, puoi grattare via il nome, metterci quello di un fidata tuo e dargliela honoris.

Hai bisogno di sangue fresco? Tessuti nostri? Desideri scalpi, denti.

O meglio ancora: le iridi. Quelle che tanto volevi da piccolo e che non hai del colore che tanto ti piace.

Prendi ancora, prendi tutto.

Come in un luna park di Ceausescu arriverai pure a prendere i nostri bambini.

Come nomenclature orride ti servirai delle staminali loro per cancellare i tuoi anni.

I maschi poi non ti serviranno più.

Le bambine le coltiverai nelle gabbie intensive, che crescano presto, dell’età che ti aggrada e le porterai a letto, perché è proprio quello che ti rende vivo.

Gioventù fresca e bella che ti illuda di non avere vermi che ti solcano intero.

Tanto ci hai preso tutto.

Anche le speranze.

Che vuoi che sia se ti diamo pure pezzi di cuore, o il miocardio intero.

Non ti farà specie di sicuro affondare le mani nella cassa e strapparlo via.

Ormai ci aspettiamo di tutto.

Anche i blindati in fila sotto casa domattina.

Il cinescopio fisso al TV coi proclami tuoi.

Rastrellamenti, file, plotoni.

Carcere duro per chi si oppone/osa solo dire parola contro.

Poi lì, in cella, botte e tortura pure, fino alle "complicazioni cardiaco respiratorie".

Potete davvero farci di tutto. Nessuno vi punirà. Lo sapete e ne siete sicuri.

Più ci fate fuori, maggiori i meriti che vi promuoveranno.

Noi in ginocchio pure, davanti i cordoni antisommossa, passivi alla carica che arriverà certa.

Siamo noi quelli da calpestare.

Noi i disoccupati.

Noi erosi dalla Damocle precaria, dritta infilata già nel cranio

Noi che non andiamo neppure più a cercare impiego: non ce n’è.

Noi senza soldi.

Noi con la fame.

Noi che non si può sorridere.

Noi dagli occhi secchi per già troppa lacrimazione.

Noi arrabbiati come noi mai.

Noi i terremotati manganellati.

Noi i clandestini buttati a mare.

Noi che siamo gli squadristi che urlano fuori la mafia dallo Stato.

Noi gli antidemocratici che non fanno parlare Bonanni.

E sempre noi che graffiamo con le poche unghie rimaste piccoli spazi che diventano rivolta.

Non sentiamo neppure più dolore.

Atarassici per dovere all’ideale.

Siamo nell’abbandono totale. Senza alcuno che ci abbracci per condivisione.

Soli.

E proprio come Soli si risplende in questa mancanza, nella privazione.

Abbiamo pure rimosso desideri, noi dell’Occidente da questa parte.

Non vogliamo avere, solo essere.

Questo esistere. Esattamente come siamo adesso.

Immobilizzati alle catene. Ostaggi di mostri inguardabili.

Prede si scatole craniche vuote.

Noi davvero si è.

Tu lassù no. Non lo sei mai stato.

Mai nato come umano tra noi.

Con te, simili, i tuoi.

Ma davvero beati gli ultimi.

Lucio Galluzzi
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