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Onfray e la fantasia antifreudiana

Publie le venerdì 15 aprile 2011 par Open-Publishing

Onfray e la fantasia antifreudiana

Recensione apparsa su Le Monde il 16 aprile 2010.

Michel Onfray, Crepuscolo di un idolo. L’affabulazione freudiana,
Ponte alla Grazie, Milano, Aprile 2010, pp. 486. Traduzione di Gregorio De Paola. €22

Rettore di una Università Popolare a Caen, Michel Onfray si è fatto conoscere per aver inventato una “contro-storia della filosofia”, la cui metodologia si appoggia al principio della prefigurazione: ogni cosa è già insita in ogni cosa, ancor prima che un evento soggiunga. Ciò gli ha permesso di formulare visioni stravaganti: che Emmanuel Kant fu il precursore di Adolf Eichmann, perchè quest’ultimo si definiva kantiano (Le Songe d’Eichmann, Galilée, 2008), che l’evangelista Giovanni preconizzò Hitler e Gesù Hiroshima, che le tre religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islam) sono delle imprese volte al genocidio e, non da ultimo, che i musulmani sono fascisti (Trattato di ateologia, Fazi, 2007). Fondatori di un monoteismo basato sulla morte, gli ebrei sarebbero a loro volta responsabili di tutte le sventure dell’Occidente. A questa concezione mortifera, M. Onfray oppone una religione edonista, solare e pagana, mossa da una pulsione di vita.
E’ in virtù di questa stessa prospettiva che Onfray, dichiarando di aver letto in cinque mesi l’opera completa di Sigmund Freud, scrive il qui discusso il Crepuscolo di un idolo. Basato su dicerie, infarcito di errori, senza fonti bibliografiche, il libro non è altro che la proiezione delle fantasie dell’autore sul personaggio di Freud, nel quale Michel Onfray, parlando in prima persona, avanza l’idea che Freud avrebbe depravato l’Occidente, ordendo nel 1897 un complotto edipiano. In sintesi, la dottrina di Freud sarebbe un racconto autobiografico della sua stessa patologia, che fa del teorico viennese un “contrafattore”, motivato da “il denaro, la crudeltà, l’invidia e l’odio”.
LA FIGURA DEL PADRE

Di fronte alla figura di Freud, che gli serve da nemesi, e della quale annuncia il crepuscolo, l’autore rivalorizza il destino dei padri, primo fra i quali il suo. E poiché Freud era adorato da sua madre, M. Onfray descrive il fondatore della psicanalisi come un perverso che odiava suo padre e abusava psichicamente delle sue tre figlie (Mathilde, Sophie e Anna) e l’appartamento di Vienna come una lupanara. Freud stesso è presentato come un Edipo ossessionato dalla precisa volontà di consumare un atto sessuale con la madre e dal desiderio reale di uccidere il padre, con il fine di generare una progenie incestuosa della quale abusare. Per dieci anni, Freud avrebbe torturato sua figlia Anna durante la sua analisi, durata dal 1918 al 1929, nel corso della quale l’avrebbe incitata senza tregua a divenire omosessuale. La realtà, tuttavia, è completamente diversa: Freud analizzò effettivamente la figlia, ma per un periodo di soli quattro anni e, quando quest’ultima si rese conto della sua attrazione per il sesso femminile, scelse da sé la propria strada. Freud non la tirannizzò mai, facendo al contrario prova di tolleranza.
Nel libro, Michel Onfray lascia spazio a numerose, insensate dicerie: ad esempio, dando addito ad una voce creata da C. G. Jung, secondo la quale Freud ebbe una reazione con Minna Bernays, sorella di sua moglie Martha. M. Onfray, seguendo gli storici americani della corrente “revisionista”, arriva a immaginare che Freud abbia messo incinta la donna per poi costringerla ad abortire. Sprezzante tanto delle regole cronologiche quanto di quelle della procreazione, M. Onfray situa questo evento nel 1923, quando Minna aveva 58 anni e Freud 67. Onfray riporta anche che Freud, per aumentare la sua potenza sessuale e meglio godere del corpo di Minna, si sarebbe sottoposto ad una operazione alle vie spermatiche. Ancora una volta, la verità è qui falsata: quando nel 1923, Freud apprese di avere un cancro, subì effettivamente un intervento di legamento (detto di “Steinbach”), che all’epoca si credeva utile a prevenire la recidività del tumore.
Se Freud è un perverso, la sua dottrina diviene il prolungamento di una perversione ancora maggiore, “frutto di una cultura decadente di fine secolo che ha proliferato come una pianta velenosa.” Onfray riprende una tematica nota fin da Léon Daudet, secondo la quale la psicanalisi sarebbe una scienza parassitaria, concepita da una mente degenerata e nata in una città depravata.
Sullo stesso filone, rigira l’accusa di “scienza ebrea” formulata dai nazisti contro la psicanalisi per fare di quest’ultima una scienza razzista: poiché i nazisti hanno portato a complimento la pulsione di morte teorizzata da Freud, Onfray afferma che egli sarebbe un ammiratore di tutti i dittatori razzisti e fascisti. Ma Freud avrebbe fatto di peggio: pubblicando nel 1938 L’uomo Mosè e la religione monoteistica, in cui fa di Mosè un egiziano e dell’uccisione del padre un momento fondativo delle società umane, egli diverrebbe fautore dell’assassinio del Profeta della Legge e sarebbe quindi, in anticipo sui tempi, complice dello sterminio del suo stesso popolo. Freud sottolinea al contrario che la nascita della democrazia è legata all’avvento di una legge che sanzioni l’uccisione originaria e quindi la pulsione di morte: ci si rende ben conto di come un’argomentazione costruita su un Freud assassino di Mosè e degli ebrei non trova spazio.

LA VITTIMA E IL CARNEFICE

Rifiutando il principio fondatore della storia delle scienze, secondo il quale i fenomeni patologici sono irrimediabilmente variazioni quantitative di quelli normali, M. Onfray essenzializza l’opposizione tra la norma e la patologia per sostenere che Freud non è capace di distinguere il malato dall’uomo sano, il pedofilo dal buon padre e, sopratutto, il carnefice dalla vittima. Di conseguenza, parlando dello sterminio delle quattro sorelle di Freud, Onfray conclude che alla luce della teoria psicanalitica, è impossibile “comprendere intellettualmente ciò che distingue psichicamente Adolfine, morta di fame a Theresienstadt, dalle tre altre sorelle cremate nei forni di Auschwitz nel 1942 e da Rudolf Hoss (il comandante del campo di sterminio), poiché niente, se non qualche grado appena visibile, li differenzia psichicamente”. In questo passaggio, M. Onfray sbaglia nel citare i campi di sterminio: Rosa fu uccisa a Treblinka, Mitzi e Paula a Maly Trostinec. Se la “soluzione finale” ha colpito la famiglia Freud, non è di certo in siffatto un faccia a faccia completamente inventato.
Nonostante dichiari di rifarsi alla tradizione freudo-marxista, Onfray si lascia andare in realtà a una riabilitazione di tesi paganiste dell’estrema destra francese. Questo è l’elemento di sorpresa del suo libro. L’autore elogia La Scolastica Freudiana (Parigi, Fayard, 1972 – Roma, Astrolabio Ubaldini, 1978), opera di Pierre Debray-Ritzen, pediatra e membro della Nouvelle Droite, che non ha mai cessato di fustigare il divorzio, l’aborto e la cultura giudaico-cristiana. Ma tesse anche le lodi di un’altra opera, frutto della stessa tradizione (Jacques Bénesteau, Mensonges freudiens. Histoire d’une désinformation séculaire, Mardaga, 2002), prefatta da un prossimo agli ambienti del Front National e sostenuto dal Club de l’Horloge: “Bénesteau - scrive - critica l’uso che Freud fa dell’antisemitismo per giustificare la sua messa in disparte da parte dei suoi pari, l’assenza di riconoscimento universitario, la lentezza del suo successo. A dimostrazione di ciò, spiega come nella Vienna dell’epoca gli ebrei occupavano posti importanti sia nella giustizia che nella politica”. Alla fine della sua requisitoria, Onfray arriva a sottoscrivere la tesi secondo la quale non vi fu persecuzione degli ebrei a Vienna perchè questi erano numerosi e occupavano saldamente posizioni eminenti.
Siamo lontani qui da un semplice dibattito che oppone sostenitori adetti della psicanalisi, ed è lecito chiedersi se le ragioni del mercato non abbiano ormai un peso editoriale tale da abolire un qualsiasi giudizio critico: la questione merita di essere posta.

Elisabeth Roudinesco

Storica
Direttrice di ricerche al dipartimento di Storia dell’Università di Paris VII – Diderot
Presidente della Société Internationale d’Histoire de la Psychiatrie et de la Psychanalyse