Home > Per chi vota la società civile
di Giuliano Giuliani
Primarie: chi, come e perché. L’articolo di Flores d’Arcais ha aperto un dibattito che sarebbe ingeneroso definire di fine estate, anche se i tempi non sono ancora stretti e forse ci sarà l’occasione per qualche coniglio dal cilindro. Ma se così fosse, allora potrebbe giustificarsi la pretesa di fare qualche considerazione aggiuntiva. Poi non concludi le considerazioni, passa un giorno e i commenti si accrescono, ultimo ieri quello di Dalla Chiesa.
Anch’io mi sono chiesto: perché un candidato della società civile? Per rappresentare istanze di movimento, si dice. Quali? Quelle di San Giovanni, si è cercato di chiarire. E perché non quelle del 15 febbraio o, prima ancora, quelle del novembre fiorentino o del luglio genovese. E perché no tutte queste insieme, scontato che non si possono contare i doppioni? È proprio necessario distinguere? E sottovalutare che c’è stata una crescita di quantità e di qualità elaborativa, che il successivo vistoso calo di partecipazione non deve fare ignorare? Il problema, come si diceva una volta, mi pare un altro.
Chi sono, chi erano, quelli di San Giovanni, di Firenze, di Genova, delle grandi manifestazioni contro la guerra? Si dice: società civile. Cioè persone. Cioè, per la maggior parte, elettori. Cioè persone, io sono convinto in grande maggioranza, che hanno avvertito una sfasatura tra la propria appartenenza politica e i comportamenti concreti e quotidiani dei partiti, cioè delle loro leadership. E questa sfasatura è diventata tanto più lacerante in una fase di crisi accentuata della militanza, perché l’appartenenza si riduce all’acquisto di un giornale, a qualche presa di posizione sull’autobus o al bar, al voto. D’altro canto, in molti casi, i valori che la costituivano ritrovano un impegno partecipativo nel lavoro concreto delle associazioni, che riempie e soddisfa ma spesso mette a nudo altri errori e ulteriori ritardi della politica. Sono persone che hanno fatto discendere da questo non sentirsi più rappresentate la voglia di pretendere cambiamenti di rotta e di modalità. Va anche detto, quasi con un ulteriore senso di colpa, che la stragrande maggioranza di queste persone, se non proprio tutte, non appartengono alla parte povera e indifesa della società, dove è assai diffuso, per giustificata e disperante sfiducia, l’astensionismo.
Questa «società civile» (che venti o trenta anni fa avremmo chiamato tout court società politica proprio per quelle tradizioni di militanza e di appartenenza), in buona parte colta perché nonostante tutto informata, rivolge un’attenzione prioritaria alla concretezza delle proposte e dei programmi, e nel valutare le une e gli altri pretende, proprio per recuperare qualche elemento di quella sfasatura, alcuni contenuti che troppo frettolosamente sono stati indicati come «radicali». Gli esempi non mancano. Difesa assoluta della Costituzione e di quell’articolo 11, tradito e beffato. Diritto alla non-precarietà per ogni giovane che si affaccia al mondo del lavoro. Ritorno a una scuola che non distingua in base al censo. Una politica della sicurezza che proceda di pari passo con socialità e accoglienza e superi la vergogna dei Cpt. La ricostruzione di uno stato sociale efficace ed efficiente. Una politica fiscale che faccia pagare gli evasori, i ricchi, le rendite finanziarie (si troverà un finanziere che chieda a qualche immobiliarista di poter consultare i suoi 740 degli ultimi dieci anni?), perché le risorse vanno cercate e trovate lì. Personalmente aggiungo sempre un’altra istanza: una Commissione parlamentare di indagine sui misfatti di Genova.
Insomma, un programma che qualche anno fa avremmo considerato liberale e che oggi si taccia di radicalismo. La vera questione è che a queste richieste non sono ancora state date risposte chiare e decise, tradotte ed esplicitate in un programma. Pur di non farlo, si scatena persino un putiferio sulla questione morale, ma sempre parlando d’altro e mai nel merito.
Può essere un esempio banale, ma a proposito della scalata di Unipol alla Bnl potrebbe essere interessante sapere se saranno ridotti o no gli esosi costi di tenuta conto che il sistema bancario pratica. Eppure di questo non si parla. Ha perfettamente ragione Prodi quando dice che la vera questione morale è cacciare la destra dal governo, ma la garanzia che molti della cosiddetta società civile continuano a chiedere è che, contemporaneamente, si cacci dal paese il berlusconismo. E quindi che si affrontino le questioni reali e programmatiche, il che fare e il come farlo.
Quelle richieste sono comuni a tutti coloro che partecipano alle inziative dei movimenti e della società civile, ma sono rivolte alle leadership politiche perché non è mai stata presa sul serio in considerazione la possibilità di costruire attorno ad esse una nuova rappresentanza politica. Qui sta il punto delle primarie. Utilizzarle non solo come un momento di ripresa partecipativa, ma anche come contributo alla definizione di un programma. Personalmente sono assolutamente convinto che l’unico candidato in grado di battere la destra sia Romano Prodi e l’apprezzamento per la persona e per la capacità di mediazione non si riduce affatto a questa constatazione.
Ma l’Unione deve ancora definire un suo equilibrio proprio sulle scelte di indirizzo e programmatiche. E allora votare alle primarie per un candidato che, all’interno dell’Unione, rappresenti quelle motivazioni «radicali» può essere un contributo utile. Per questa ragione, alle primare del 16 ottobre darò la mia preferenza a Fausto Bertinotti. Vorrei aggiungere che mi sembrerebbero del tutto velleitarie e dispersive altre candidature cosiddette «di movimento» apparse in questi giorni (il riferimento è alle voci su don Gallo e don Vitaliano). I passamontagna sono necessari se devi proteggerti dai lacrimogeni al CS e dall’acqua urticante o sulle montagne del Chiapas. Alle primarie non servono e per i colori dell’arcobaleno, basta e avanza la bandiera della pace.




