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Progetto comunicazione : le mani e il cervello

Publie le lunedì 29 novembre 2004 par Open-Publishing
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Dazibao Movimenti Partito della Rifondazione Comunista Parigi


Il giornalino dei/delle Giovani Comunisti/e di Varese e non solo!
Quello che segue è un’idea aperta ad altre idee, un’idea mutante che aspira ad
essere contaminata, perchè aspetta il tuo contributo e la tua voglia di infrangere
la superficie lucida dello stagno puoi gracidare, in quest’idea, e danzare sulle
ninfee imparare a nuotare è cosa naturale


di Gianluca Zoni

Lo sfruttamento di classe ha sempre nutrito il pregiudizio della necessità di
divisione dei compiti e delle mansioni produttive nell’ambito dell’agire sociale
umano.

Un pregiudizio che troviamo radicato in forme diverse anche in varie teorie “scientifiche” (basti pensare alle teorie eugenetiche), tendenti a giustificare lo status quo come ciò che è - “per natura”, per “predisposizioni naturali” dei soggetti - e dunque non può non essere. Aristotele, dispiegando un attento esame dell’essere a partire dalle sue articolazioni sensibili fino alla definizione di una metafisica complessa, giungeva a concludere che la condizione degli schiavi e quella servile delle donne era uno stato di fatto e la loro stessa condizione d’esistenza: “ci sono” schiavi e donne, così “sono” per loro stessa evidente formazione.

La scienza aristotelica, muovendosi sul piano di distinzione nell’essere di differenti stati qualitativi, esponeva le sue teorie a partire dall’esperienza degli enti esistenti al presente, così come apparivano. Anche la condizione umana era studiata nella sua presenza, rinunciando a rintracciarne la dinamica storica o la condizione sociale come diversamente possibili. Un sistema d’indagine senz’altro utile alla sterilizzazione dell’analisi da pregiudizi ideologici e fuorvianti dall’interpretazione nuda della realtà...? O forse, al contrario, un’impostazione pregiudiziale, che dava
per scontato ed acquisito un concetto particolare di “esperienza”!

Machiavelli, Spinoza, Marx... Gramsci... hanno posto in essere una dimensione diversa del “ruolo” sociale e storico. La realtà “effettuale” si attua per tutti/e ed è compiuta da tutti/e: “passività” ed “attività” sono ugualmente “responsabili” degli eventi. “Passività” e “attività” hanno quindi un senso psicologico e descrittivo ma non si distinguono in quell’unica realtà che è quella possibile e necessaria, se non nella loro determinazione storica. Sul piano assoluto del reale, infatti, grava l’esistenza di ognuno di noi, che compie scelte assolute anche quando sceglie di non scegliere.

La domanda che si apre così al compiersi della storia e del nostro “partecipare” obbligato “nel-mondo” si scontra con la visione generale che abbiamo di noi stessi, incatenati ai ruoli sociali ed alla catena di montaggio dell’essere in cui siamo sempre in situazione ed in cui - così situati - dobbiamo e possiamo fare scelte: che fare delle nostre mani e dei nostri cervelli? Il cervello immediatamente risponde che è - e deve essere - lui a porsi il primato sulle mani: il cervello decide ciò che le mani dovranno eseguire incondizionatamente. Ma cos’è il cervello? Cosa sono le mani?

La situazione storica può convincere, tornando al principio di questo scritto, che il “corpo” sociale è un organismo che necessita di ferree distinzioni di ruolo, perché ne va dell’efficienza stessa delle scelte collettive che vanno sempre pensate, decise, realizzate e verificate con capacità, esperienza e competenza che non sono di tutti/e indistintamente ma sono sempre specifiche: A è più abile di B a usare il cervello e B è più indicato di A ad usare le mani, per condizione naturale o storica.

La scuola italiana, uno dei più chiari fenomeni sociali circa l’attualità del rapporto cervello-mani, è tuttora distinta in due diversi modelli di formazione: i licei per il cervello sociale da una parte, dall’altra gli istituti tecnici per le mani (e cervelli automatizzati) del corpo della nazione. La fabbrica ha una gerarchia fin troppo evidente nella divisione dei ruoli.

Una “società come milizia” colloca al “giusto posto” mani e cervello, riservando loro lo specifico ambito di realizzazione. Naturalmente, il cervello detiene il primato: delegare al cervello permette l’ordinato muoversi delle mani, così libere dalla necessità di pensare ostacolandosi...

La classe dirigente “esprime”, così, il percorso storico di un intero popolo ed il consenso (anche silenzioso o in astensione) delle mani dà legittimità alle scelte compiute per tutti/e su tutti/e.

Ogni organizzazione strutturata per ruoli tende alla specifica distinzione e specializzazione di ciò che primariamente è “pratico” (e corporeo) da ciò che è essenzialmente “teorico” (la testa).

Così è perché ne siamo abituati.

PRO-durre pensiero.

La liberazione dal condizionamento alla delega, cioè dall’abitudine al comportamento passivo, non può che muoversi specularmente verso un’abitudine inversa.

Realtà è abitudine: per cambiare la realtà serve una nuova abitudine. Perché le persone pensino diversamente bisogna riuscire ad abituarle a pensare in modo diverso, creare nuove abitudini. Bisogna dar nuova forma alle pratiche abituali. La televisione e tutto l’universo della tecnica e dei consumi ci abituano a vedere il mondo attraverso le nostre stesse abitudini. Il capitalismo fa propaganda di sé attraverso le nostre stesse pratiche ed i nostri stessi desideri nei ruoli che ci siamo ritagliati.

«Se l’unico strumento che sai usare è il martello, tutti i problemi ti sembreranno dei chiodi.»

La pratica della teoria, il lavoro del concetto, richiede uno sforzo individuale che può essere dischiuso anche da una spinta estranea ed oggettiva, più forte di quella della milizia quotidiana: così come imposta ed aliena all’individuo è l’abitudine alla passività, imposta come necessità e “UNIverso” di possibilità, spirito di gravità che fa parlare tutti/e in quel gergo collettivo e passivizzante entro cui nascondersi, il linguaggio del “SI”, che ci fa dire e fare come “SI DICE e SI FA”, criticare e opporci come “SI CRITICA” e “CI SI OPPONE”, così, altrettanto oggettiva, necessaria e possibile, deve autoproporsi anche la spinta inversa e differente, “MULTIversale”.

La possibilità come utopia (NON l’irrealizzabile MA il non ancora realizzato) richiede che questa nostra storia assoluta ed “effettuale” sia percorsa con sforzo di immaginazione da parte di tutti/e. Per questo il MULTIverso ha bisogno di una scossa per vivere, un piano reinventato e vissuto dall’immaginazione che differisce dal SI e che increspa la superficie già rugosa e mobile dell’essere.

Articolare il pensiero.

Il pensiero ha un’esperienza multiforme. Il DIA-logo, l’articolazione di più pensieri convergenti nel discorso, nel parlare e nello scrivere, è il materiale su cui possiamo scommettere. La scienza ha bisogno di articolare il pensiero e di muoversi nell’esposizione della realtà. Mutare l’esistenza richiede scienza, la chiara percezione della verità e la lucida analisi che aderisce al reale per ridisegnarlo, e necessita dell’elaborazione continua di nuovi quadri teorici. La teoria si esprime soltanto respirando nel suo elemento, che è quello dello sforzo dell’indagine e dell’acquisizione di nuovi linguaggi dalla prassi.

Superare la scissione fra cervello e mani significa partecipare tutti/e attivamente alla narrazione dell’oggi per il domani.

Lo spazio per il pensiero.

È necessario uno spazio per l’articolazione del pensiero, un luogo di apertura, diffusione e confronto che permetta il sorgere di una svolta verso la rifondazione comunista. La nascita di una sinistra d’alternativa necessita di un pensiero forte e durevole, meticcio e nomade, prodotto da contaminazione, ma anche contaminante e saldo nelle sue radici storiche, capace di vedere il passato con intelligenza e speranza.

Il giornalino

L’articolazione del pensiero d’Alternativa non può che “spaziare” sulla carta stampata.

Un giornalino periodico è il veicolo che più di ogni altro può rivelarsi come forza del pensiero. È insieme di identità e rinnovamento e soprattutto si misura con la scommessa del mutamento di realtà. Uno spazio di carta stampata diventa il primario metro di misurazione di ciò che possiamo chiamare “scienza della trasformazione”. Tocca il reale mutare in quanto si rapporta ai soggetti della trasformazione stessa ed insieme espande il laboratorio in atto, veicola idee e permette ogni rinascita e origine della liberazione. La “differenza” può diventare valore se trova pratiche comuni da percorrere, domande da cui può emergere un’immaginazione produttiva che non si preoccupa di infrangere gli schemi ideologici. La stessa ideologia può essere ripercorsa nelle sue categorie se la materialità storica viene riconosciuta come prevalente nel mutamento. Dare alla luce una nuova ideologia è un vero atto storico e maieutica dell’immaginazione: un pensiero sorge dalle ceneri di oltrepassate categorie intellettuali e respira nuova materia per volare più in alto. L’ascesa, ecologia della mente, è faticosa quanto può esserlo ogni tentativo di interrompere l’inquinamento. Quello che serve è sempre lo sforzo di creazione, attraverso lo studio e l’elaborazione di nuovi “frames” interpretanti.

Il rinnovamento è possibile solo attraverso il circolo di studio, elaborazione, ricerca scientifica e narrazione storica, quindi trova il proprio spazio primariamente nello sforzo di scrittura.

quindi:

 La nuova visione del mondo che stiamo costruendo nella pratica può emergere solo se viene espressa attraverso un medium accessibile, come quello della carta stampata, che non ha bisogno di ulteriori supporti materiali;

 I/le GC della provincia hanno ostacoli logistici di comunicazione che impediscono un confronto “faccia a faccia”, un’elaborazione di idee più approfondita di un’accettazione acritica della tradizione, per questo necessitano di un elemento nuovo, un substrato di trasmissione creativa che intercetti l’intero universo della federazione GC: città e località differenti possono “interferire-insieme” nel nuovo giornalino provinciale, innescando nuove energie e pratiche.

 Anche i circoli dell’intera Federazione di Varese del Partito della Rifondazione Comunista possono essere investiti dall’onda della creazione: il giornalino scommette sulla sua capacità di innovazione e trasmissione, sulla contaminazione che può articolare sui territori, in tutte le iniziative;

 L’innovazione non può chiudersi e proteggersi nella culla degli/delle iscritti/e al partito, si apre invece all’interlocuzione produttiva con gli/le autentici/che attivisti/e. La testata regionale “Liberamente”, per esempio, ha dimostrato una capacità di apertura verso la costruzione dell’alternativa, aprendo alla partecipazione di soggetti non integrati alla struttura partito. Un’esperienza che si è rivelata unificante nell’elaborazione teorica e insieme pratica e soprattutto ha trasmesso strumenti utili alla produzione di politica d’alternativa. La stampa periodica per l’innovazione promossa dai/dalle GC di questa nostra provincia non può non essere uno strumento di espressione comune e partecipazione politica da parte anche di nuovi soggetti giovanili emergenti locali, a partire dal “Kollettivo studentesco”;

 Il “Kollettivo studentesco” stesso troverebbe una possibilità di crescita teorica e pratica attraverso la partecipazione al nostro laboratorio di “ricerca narrata”: un’intellettualità collettiva trasmissibile, integrazione a reti più ampie (rete nazionale “sempre ribelli” - collettivi studenteschi) ed una confluenza politica meno pregiudiziale e più intelligente e produttiva (quindi critica), con conseguenti miglioramenti nella capacità di immersione nei processi reali della scuola varesina e maggiore efficacia nel conflitto e nella progettazione;

Un pensiero “finito”: gli argomenti

Gli argomenti da trattare non possono preventivamente essere definiti per sempre: è necessaria una continua aderenza alle necessità ed alle capacità di intervento.

Un primo approccio all’elaborazione del numero ZERO deve consistere nella ricerca individuale di orientamenti di ricerca e di intervento.

All’ultima Conferenza Nazionale GC abbiamo approvato un documento che parlava della nostra necessità di un superamento inevitabile del “militante totale”: superare la scissione fra cervello e mani non equivale alla definizione generica di un/una “uomo-donna” ideale, capace di onniscienza e quindi abile ad ogni interazione. L’esperienza umana è comunque limitata e limitante e DEVE sempre confrontarsi in un ambito sempre più collettivo e per una durata consistente se vuole trovare adeguata oggettività e verità nelle proprie risposte pratiche di trasformazione.

Diventa sempre più indispensabile una ricerca orientata, anche e soprattutto individuale e insieme socializzante, che possa da un lato approfondire i fenomeni con più ricerca e scienza e dall’altro relazionarsi comunicando ed esponendo risultati pubblici e falsificabili. La crescita della trasformazione dipende dalla capacità di idee ed elaborazione che insieme siamo in grado di orientare in un verso. Ma anche dal contributo di novità che individualmente siamo in grado di apportare alla ricerca collettiva.

La finitudine: esempi

 Narrazione della precarietà, le sue lotte di liberazione, i risultati pratici: insieme si può, la lotta paga, è questo il messaggio positivo che possiamo lanciare, in riferimento alle ultime mobilitazioni e a quelle che verranno, ma soprattutto, narrando quelle che non sono ancora state raccontate da nessuno, cercandole... La verità è sempre rivoluzionaria, sia quando ci parla di una vittoria credibile, sia quando ci inorridisce per il suo essere, per il fondo ormai raggiunto dello stato di cose, soltanto superabile perché non è vero che “al peggio non c’è mai fine”. Il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels termina dicendo: “I proletari non ci han da perdere che le loro catene. Hanno da guadagnarci tutto un mondo”, questo è il messaggio che possiamo dare attraverso il nostro giornalino!

 La scuola, i suoi percorsi vissuti, la repressione e lo sfruttamento di classe: l’organizzazione di una rete nazionale dei collettivi studenteschi, seppure a maglia larga, coinvolgendo soprattutto le principali città italiane, è il primo e più grande tentativo di costruzione di una radicale e strutturata contestazione studentesca ad opera dei/delle GC. Dar forza alla costruzione della rete, coinvolgendo in essa ogni istituzione di movimento studentesco che sia autenticamente (per pratica compiuta e per prospettiva in progetto) orientata all’Alternativa di società è l’azione di base dei/delle GC nelle scuole. Radicalizzare il movimento studentesco apportando in esso una coscienza di classe ed una stimolazione costante alla produzione di nuovi saperi è il passo successivo dei/delle GC nella rete nazionale e locale. “Pensare globalmente - agire localmente!” è il motto principale di un movimento studentesco globale che non può cambiare la scuola limitando la propria osservazione e specializzandosi ad essa: “non è possibile una scuola d’oro in una società di merda!”, si diceva nel ’68. Gli studenti manifestano contro la guerra così come contro la distruzione della scuola pubblica, così come contrastano ogni tentativo di controllo sociale che dalla formazione diventa normalità quotidiana.
Il Kollettivo studentesco diventa un preciso riferimento dei/delle GC di Varese, dando spazio di espressione ed un continuo contributo d’azione ed elaborazione.

 Gli spazi: il rapporto di costante collaborazione con il collettivo Ernesto e le formiche rosse esprime una naturale predisposizione dell’agire dei/delle GC. Stesse domande e risposte in una ricerca che ci vede uniti, non solo in dichiarazioni d’intenti ma nella concretezza dell’azione. Offrire spazi di espressione al collettivo lavenese diventa naturale prosecuzione di un’azione comune. La partecipazione ai progetti reali sugli spazi a Laveno come a Varese significa contaminazione produttiva capace di apertura a nuovi soggetti del territorio.

 Fantasia, arte... scienze, laboratori... la ricerca della verità: ciò che appare come non integrato, nella cultura omologata sia dalle istituzioni o dal mercato che dalle organizzazioni e dall’egemonia tradizionali anche della classe operaia possono trovare un luogo di espressione e confronto nel nostro “pensiero finito”, stampato su carta nella sua forma periodica. Il contributo alla scienza non può trovare limiti che non siano quelli di una ragione dialogante mai soddisfatta di se stessa: è giusto che ricercare, camminare domandando, non sia mai semplificato e ridotto all’immagine mediocre di un futuro già metabolizzato e predisposto in categorie.
I problemi della nostra modernità trovano spesso una lucida espressione proprio in tematiche che solo gli specialisti conoscono o affrontano: divulgare e diffondere la comprensione dei fenomeni è costruzione di cittadinanza e democrazia.
Un contributo alla realizzazione del giornalino può anche essere compiuto da ricercatori del territorio, dal mondo dell’arte a quello delle scienze: sta a noi il compito di coinvolgimento nell’Alternativa.

 La guerra è permanente: uno spazio permanente sulla guerra globale in atto diventa un “argomento” di ricerca fisso dal quale poter trarre una costante azione pacifista “permanente” da dispiegare sul territorio. Il tema della pace non è transitorio, poiché è la politica attuale ad essere “prosecuzione della guerra” e non viceversa. Serve una ricerca costante in questa direzione, capace di costruire senso e lucidità e contrastare l’assuefazione quotidiana alla guerra ad opera dei media e delle sue falsificazioni, nonché dell’abitudine alla sua lontananza.

La finitudine del tempo: periodicità.

Ricercare la periodicità del giornalino significa interrogare i protagonisti della fondazione sulla propria capacità di intervento sul reale. Per questo la periodicità potrà essere ritrovata solo attraverso la sperimentazione pratica. Proprio per questo motivo è necessario da subito il porsi di obiettivi e scadenze provvisorie da interrogare e da cui ricevere risposte per il futuro.

Scommettere sul tempo, scandirlo in precisi riferimenti, è il primo passo per la sua conquista effettuale. “Cogli l’attimo” può essere il motto della trasformazione, se siamo in grado di stabilire i limiti dell’attimo che stiamo consumando.

Il centro sociale: cos’è lo spazio.

Il CENTRO è il “luogo” (contro il “non-luogo” del consumo, delle nuove cattedrali post-moderne, dei centri commerciali), carico di storia e socialità diveniente, ricco di creatività non asservita e convergente nella storia.

SOCIALE è il convergere inevitabile dell’essere umano, privo in verità di distinzione fra ciò che si chiama “individuale” e ciò che è estraniato come “collettivo”.

Lo SPAZIO è dunque l’elemento in cui si manifesta la possibilità, il progetto umano, la realtà che si attua.

Anche la carta stampata diventa spazio e centro sociale, un momento della convergenza creatrice per la trasformazione.

Il progetto per la realizzazione di una Casa delle Alternative a Varese, come Centro Sociale di nuova generazione, non può non passare attraverso l’elaborazione collettiva di un progetto che mira alla ricerca dei responsabili - tutti/e, i singoli - verso la realizzazione della storia unica che li attraversa. La differenza non dovrà essere l’ostacolo ma il motivo fondativo, il contesto dal quale è possibile l’alternativa stessa.

Cosa si esprime meglio, nella differenza, del rapportarsi articolato per iscritto? Lo scavo delle fondamenta di un centro sociale autogestito trova nella scrittura e nella sua elaborazione il materiale di costruzione primario, insieme alla pratica del conflitto possibile, già sperimentato, in verità, nell’azione.

I canali, il medium.

La ricerca dei canali di comunicazione fa parte della nostra esistenza, dell’attività stessa della nostra trasformazione. Dunque niente nuovo. O forse sì: scrivere e sforzarsi nella propria ricerca e nella volontà di trasformare implica il bisogno di far luce, di illuminare il percorso di vita. È un tentativo provvisorio al quale è conseguente la massima serietà di ricerca, senza la quale si vanificherebbero i primi passi compiuti nell’oscurità. Trovare i canali di comunicazione significa dar luce al pensiero per arricchirlo e scoprire la via. Non trovarli significa pendersi nella notte ed annullare la stessa esistenza del rinnovamento.

Per questo possiamo parlare di scommessa: “carta canta”, non c’è giustificazione al fallimento. Che è anche abbandonando la scommessa, non tentando l’apertura.

La necessità di trovare sempre nuovi canali è uno stimolo per crescere.

Il medium è multiforme:

 La carta stampata e diffusa per lettera ad un indirizzario in formazione (iscritti/e ed ex-iscritti/e GC, simpatizzanti, i circoli del partito e le associazioni del movimento, i centri sociali...) oppure durante le attività di contestazione (manifestazioni, presidi, sit-in, banchetti informativi... nelle scuole...). La carta stampata è il mezzo più efficace all’azione che possiamo sprigionare, perché non richiede l’aggiunta di alcuna specifica apparecchiatura oltre a quella già distribuita ed immediatamente fruibile nella sua completezza (la carta stampata, appunto).

 e-mail: una newsletter periodica, raggiungibile dagli/dalle iscritti/e alla lista attraverso un indirizzo di posta elettronica della redazione, che inoltra i principali contenuti del numero cartaceo e converge al sito internet

 sito web: il periodico è da subito un valido motivo alla partecipazione della generazione di saperi e materiali d’intervento da pubblicare nel sito web dei/delle GC. Lo stesso materiale elaborato per il giornalino stampato arricchirebbe il sito e verrebbe reso noto attraverso la newsletter, in una sinergia globale di strumenti che può ritrovarsi - in senso grafico e quindi anche ideale - attraverso l’elaborazione di una identità d’azione.

...in realtà la sola cosa che ci siamo veramente preposti è di cambiare il mondo, tutto il resto lo improvvisiamo...

Varese, 23 novembre 2004

Gianluca Zoni

zoninoz@email.it

http://www.inventati.org/zoninoz

http://zoninoz.altervista.org

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