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Quel che resta di Fini.

Publie le venerdì 23 aprile 2010 par Open-Publishing
3 commenti

Uno scontro memorabile alla Direzione del Pdl. Berlusconi per la prima volta in vita sua deve fronteggiare un oppositore interno ma, davanti ai suoi plaudenti, lo massacra. Basterà a salvarlo? Il Pdl è finito, An si è liquefatta, Fini si accontenta di essere minoranza interna ma di fatto è cacciato da quel partito. E le riforme sono accantonate (a meno che il Pd non decida ancora di dare una mano al caimano)

di:Salvatore Cannavò www. ilmegafonoquotidiano

Non se l’aspettava Fini quel balzo di Berlusconi, dalla presidenza della grande sala dell’Auditorium di Roma, fin su, verso il podio dal quale lui si è appena allontanato. Il presidente della Camera non ha ancora finito di scendere le scalette per sedere al suo posto in prima fila, dopo aver parlato per circa un’ora senza risparmio né ipocrisia, rivolgendosi al premier direttamente, che quello lo infilza allo spiedo, in un modo che solo Berlusconi sa fare. E Fini capisce che quel partito, quella sala, quel gruppo dirigente, ha deciso di fare a meno di lui.
Berlusconi è spietato. Lascia da parte tutte le obiezioni di merito che il presidente della Camera ha mosso nel suo intervento, diretto ma politico, pieno di contenuti: non possiamo rincorrere la Lega sull’immigrazione, noi siamo un po’ più umani; il Giornale di Feltri mi attacca in un modo indecente; il processo breve era una boiata pazzesca; il governo ha fatto tanto ma fra tre anni, quando andremo al voto, cosa avremo fatto contro la crisi? E così via. Soprattutto, noi siamo una minoranza nel partito, non una corrente ché quelle «sono metastatasi» ma un’area politico-culturale sì e quindi esigiamo rispetto. Gli ricorda, quasi gli rinfaccia, anche quella spaccatura di cui si parla troppo poco in Sicilia - terra di appalti e di mafia - che ha prodotto un Pdl-Sicilia accanto al Pdl nazionale. «Ne vogliamo parlare?» dice il presidente della Camera «oppure pensiamo che anche lì ci sia il ruolo di Fini e della minoranza?».
Ma l’ex leader di An non finisce nemmeno di parlare che Silvio Berlusconi agguanta il microfono e decide che la sua replica va fatta subito, non si può attendere la fine del dibattito. «Sono stato chiamato in causa e quindi devo rispondere» dice alla platea. E una cosa così solo lui può farla, lui che del partito non è solo il presidente ma il dominus assoluto, il vero capo-azienda. E Berlusconi si alza come in una qualunque convention aziendale, guarda la sala con gli occhi di un pescecane famelico e puntando lo sguardo sullo stesso Fini gli scava attorno una voragine. «Nessuno mi aveva mai riportato certi problemi» esordisce, quasi cadendo dalle nuvole. Poi le rasoiate: «La Lega? Ma se non fa che ereditare gli orientamenti della tua An..». E ancora: «Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl», con Fini che si alza in piedi, punta il dito contro Berlusconi e cerca di dire qualcosa, «il Pdl in Sicilia...» e poi si risiede. E ancora: «Davanti a Gianni Letta mi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl e di voler fare gruppi parlamentari autonomi», con Fini che si agita ancora sulla sedia. E ancora: «Il Giornale? Ho chiesto a un mio familiare di venderlo, magari a un amico tuo...ma ad attaccarti di più è Libero di proprietà di un deputato del Pdl, Angelucci, che mi dicono che è tuo amico». E ancora: «Per esercitare un ruolo super partes non hai fatto campagna elettorale, non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni perché chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche e allora vieni a fare politica nel partito, ti accogliamo a braccia aperte, ma lascia la presidenza della Camera!». Basta, lo squalo è sazio, l’assalto finisce e l’intervento anche, Fini è sballotato a destra e sinistra, la sala applaude la mattanza e in particolare quell’unica richiesta che conta, quella che Berlusconi aveva fatto fare già in mattinata, via intervista al Corriere della Sera, dal presidente-ventriloquo del Senato: lascia la presidenza della Camera, cioè ridacci i regali che ti abbiamo fatto, prendi le tue cose, mettile nello scatolone e sloggia. Come un qualunque dipendente licenziato, come in qualunque azienda. E Fini, che capisce bene, si rialza dalla sedia, sorride nervoso, protesta e poi dice, la mano accanto alla bocca, il dito puntato: «Se non lascio che fai, mi cacci?». Guarda che ti ho già cacciato avrà senz’altro pensato Berlusconi.
La Direzione finisce senza altri colpi di scena, che la metà di questi basterebbero a chiunque. Il gruppo finiano, 22 gli iscritti a parlare, decide di cancellarsi dal dibattito e alla fine si dichiara soddisfatto perché la giornata ha sancito la nascita di una minoranza più o meno organizzata. Il documento finale viene votato con soli 11 voti contrari e 1 astenuto e quando la sala si svuota si intravedono le seguenti cose.
Berlusconi per la prima volta in vita sua ha dovuto fronteggiare un oppositore interno, un uomo autorevole che, con il dito alzato e puntato contro di lui, gli ha detto chiaro e tondo che non ne riconosce la supremazia. Per lui è stato un colpo e non è detto che non lo pagherà sul piano del consenso. Il berlusconismo si regge nell’assoluto vuoto pneumatico, se l’aria, cioè il dibattito, si addensa, perde forza e fascino.
Il Pdl è finito. Ci metteranno del tempo a trovare le forme organizzate ma, proprio perché un partito berlusconiano non può essere un partito "normale", la stessa forma della minoranza organizzzata mette in discussione la natura del progetto.
Anche An non c’è più. Fini lascia sul campo la maggioranza dei suoi ex colonnelli che però, a loro volta, perdono dignità politica e diventano degli stipendiati del Cavaliere. Lo capisce bene Alemanno, il più amareggiato, che a Roma non avrebbe visto la vittoria della Polverini senza la "faccia" di Berlusconi.
Fini non avrà un futuro in quanto oppositore interno al Pdl. Per ora quello è il suo ruolo, anche perché la presidenza della Camera si giustifica solo se resta dentro al partito. Ma una minoranza non ha spazi, la gente di Berlusconi non ama la dialettica interna anzi non la contempla proprio. Il Pdl stringerà i suoi rapporti con la Lega e in quest’ottica la figura di Tremonti è quella più accreditata a succedere a Berlusconi. Ma Fini deve trovare altre sponde altrimenti può solo giocare di interdizione.
Le riforme per ora sono accantonate. Lo ha detto lo stesso Berlusconi all’inizio del suo intervento mattutino quando le ha subordinate a un rapporto con l’opposizione. Vedendosi chiuso dall’opposizione interna che lo bloccherà in Parlamento è normale provare il gioco di sponda con quelli dell’altra sponda. E chissà che a quei geni di D’Alema e Veltroni non venga in mente di dargli una mano.

Messaggi

  • Fini è perfettamente consapevole che attuare il federalismo fiscale nelle forme e nei modi voluti dalla Lega, danneggerebbe pesantemente il Sud, facendo perdere consensi al PDL in quelle regioni ed avvantaggiando la Lega nelle regioni del nord e favorendo oltretutto in Sicilia i disegni localistici ed autonomistici di Lombardo, che si sta sempre più avvicinando al PD.

    Berluskoni, nel suo delirio di onnipotenza e ormai ostaggio della Lega, che nel nord rischia di diventare il primo partito, non si rende viceversa conto che gli stanno preparando un "trappolone", per metterlo fuori gioco e concretizzare il progetto del partitone centrista naturale erede della "balena bianca" !!

    D’Alema e compari stanno per ora alla finestra , pronti a rendersi disponibili a partecipare alla grande ammucchiata !!!

    MaxVinella

    • Vista la campagna di insulti di Feltri contro Fini, quando Berlusconi e Fini erano soci, ci possiamo immaginare che campagna di insulti sarà scatenata su Fini ora che si è messo contro Berlusconi.
      Gli resta solo di querelare Il Giornale e di mettersi in coda con i tre volontari liberati di Emergency. Quando si dice le compagnie in cui uno finisce col trovarsi.

      viviana

    • Galeazzo Fini rifiutò la benda sugli occhi mentre il il plotone di esecuzione schierato nella piazza d’armi di Verona si preparava a spargli contro. Nulla era valso l’intervento della moglie e di alcune altre exdi AN che si erano recate in lacrime presso berlusconi.
      "- Glielo avevo detto nel 2010 che gli offrivo il governatorato della LIbia!"- aveva risposto in pieno delirio il Cavaliere, ornmai in piena crisi di identità.
      "-Ma guardi, signor presidente, Galeazzo lo avrebbe accettato ma noi la Libia non è una nostra colonia da oltre mezzo secolo!-"
      "-peggio per lui , non doveva fare poi la scissione e farmi cadere il governo ! il gran Consiglio glielo aveva detto chiaramente: farai una brutta fine , traditore!!!-"
      Galeazzo , qualche ora prima come un’ultimo gesto di sfida aveva rifiutato il frate e chiesto che fosse un religioso israelita a benedirlo...
      Mentre i fucili si puntarono contro di lui , alzò gli occhi al cielo, uno strano rumore si sentiva, non di jet ma di missili di droni israeliani in arrivo... forse qualcuno gli stava ripagando un debito dopo tanti pellegrinaggi con la chippa sulla testa a Gerusalemme...

      da un racconto che non esiste
      antonio camuso