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SAVIANO STRUMENTALIZZA, IO STRUMENTALIZZO: VIVA LA STRUMENTALIZZAZIONE

Publie le domenica 21 novembre 2010 par Open-Publishing

COSA NOSTRA E ’NDRANGHETA A MILANO

DueMaroni: domani sera da Fazio non ne parlerà




Se un ragazzo cammina tranquillo per strada, arrivano all’improvviso dei tizi, lo ammazzano di botte, e tu fai notare che era uno straniero e mentre lo bastonavano urlavano "sporco negro crepa"; vi sentirete dire "non strumentalizzate".

Se non era nero, ma passeggiava mano nella mano con il suo ragazzo e da un bar escono e a calci, sputi, pugni li mandano tutti e due al CTO e tu hai sentito che mentre li pestavano gridavano "froci ai forni"… beh anche in questo caso non "devi strumentalizzare".

E’ la nuova frase magica che diventata parola d’ordine reggimentale, ormai tutti i gerarchi dell’esecutivo centrale e periferico te le dicono.

Se noi insegnati insieme al lavoratori della Cultura scendiamo in piazza per protestare contro i tagli mortali alla Scuola Pubblica e allo Spettacolo, Enti Lirici e Teatrali, Gestione dei Beni Artistici e Musei… la solita MariaStar dirà a cantilena memorizzata che "è indecente strumentalizzare i bambini a fine politico", BadessaBondi lo dirà poco dopo ad AnnoZero.

Hanno "salvato" Alitalia a scapito dei lavoratori e con danno del contribuente, cioè anche tuo, si protesta e "non strumentalizzate una vicenda economica".

C’è anche di peggio.

Da una parte i fatti dell’amore usano questa frase magica, dall’altra, ma quella altra? C’è un’altra parte?, se vai a contestare Schifani, Bonanni ti sentirai dire che sei uno "quadrista antidemocratico", un altro modo di tradurre "strumentalizzatori".

Che queste cose le dicano il discentente democristo di Gianni Lecca, Skeleton Fassino, Capitan Simpatia d’Umiltà D’Alema, Don Abbondio Bersani… o DueMaroni, Portinaio Al Fano, Ripetina Santadeché, Capezzolone, Ciqui Cappuccetto Azzurro Chiccitto… poco cambia. Sono tutti nell’impasto.

Ma sai, cerca di capirli, povera gente, lo fanno per l’unità nazionale. Quando c’è qualcosa che imbrazza le maschere sono tutto uno stare insieme e solidarizzare tra loro.

Noi siamo solo strumentalizzatori.



Non ve lo diranno più durante i comizi elettorali prossimi, se ne guarderanno bene: per un voto vendono il culo pure a Robocop.

La cosa più grave che puoi dire come "strumentalizzatore", in questo ultimo periodo, è che la mafia sia al Nord, radicata a Milano, disseminata in Brianza interessata ad investire soldi in tutti gli appalti pubblici possibili.

Insomma: devi per forza dire che Cosa Nostra sta solo al Sud, il nord padano verde ha un imene impenetrabile. E’ tutto pulito, virginale e santo.

Prova a dire il contrario e vedrai la rivolta dei morti senza verità. Usciranno tutti allo scoperto, i "giornalisti" fascisti ti raccoglieranno le firme contro e questa volta troverai pure i mussoliniani con la camicia rossa, quelli più terribili, che per solidarietà ai Fatti Antimafia dello Stato ti remeranno contro: sei un ipocrita, puzzi marcio, usi la Mafia per scrivere e farti i soldi, scrivi per Mondadori, rubi il materiale per Gomorra al Centro Documentazione Peppino Impastato… insomma sei uno "strumentalizzatore".

Perché è meglio tacere.

Non puoi permetterti di dire che prima degli anni ’80 a Milano di Mafia proprio non se ne parlava affatto. Era tabù anche usare il termine. Ergo: se non se ne parla è perché "quella cosa" non c’è sul territorio.

Non è proprio così. La Logica funziona in un altro modo.

Pillitteri, ex sindaco meneghino degli anni ’80, diceva "la Mafia qui da noi non c’è". Proprio in quel periodo Cosa Nostra aveva una sua base a Milano, mandava gli emissari suoi, Stefano Bontade, l’allora Capo Mafia, si recava spesso in città. Lo stesso faceva Tommaso Buscetta. A Milano vivevano Luciano Liggio, Gerlando Alberti, Tanino Fidanzati.

Luciano Liggio non fu arrestato a Paternò, ma a Milano, in via Ripamonti.

In Lombardia tra il 1974 e il 1983 ci furono 103 sequestri di persona e corrispettivi 103 richieste di riscatto.

103 cittadini lombardi sequestrati non solo da Cosa Nostra, ma anche dalla ’Ndrangheta.

La ’Ndragheta proprio in quel decennio si insedia in modo massiccio nell’hinterland milanese.

In alcuni anni i morti ammazzati a Milano erano più che a Palermo.

Ma a Milano "la Mafia non esisteva".

Negli anni ’90 a Milano si sono celebrati 10 maxiprocessi. Non parlo di Milano quella sulle Code di Orione. Ma di Milano in Lombardia, Italia.

Però tutti ricordano solo il maxiprocesso alla Mafia a Palermo. Quello con Andreotti.

Di quei dieci maxiprocessi a Milano pare resti memoria nella fantascienza.

Eppure quei processi fatti nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi, con centinaia e centinaia di imputati ciascuno, con altrettante centinaia di condanne ed ergastoli, sembra ora che non si siano mai celebrati.

Erano tutti contro "famiglie" della ’Ndrina: la ’Ndrangheta.

A Milano operavano i due più grandi banchieri privati italiani di allora: Michele Sindona, Banca Privata Italiana, e Roberto Calvi, Banco Ambrosiano, che avevavo gli uffici e le sedi operative proprio in città.

Tutti e due furono accusati di riciclaggio del denaro di Cosa Nostra, quelli che arrivavano dal "monopolio" mafioso del narcotraffico d’eroina negli anni ’70/’80.

L’eroina che arrivava in Sicilia, poi mossa da lì sul mercato internazionale degli Stati Uniti.

Sindona e Calvi avevano a che fare con questa "storia", a Milano.

Sindona, intervistato da un giornalista Usa:

"Ma è vero che la sua banca è quella della Mafia?"

’Ma no, lo sanno tutti!, la banca della Mafia è una piccola banca che ha solo uno sportello in Piazza dei Mercanti’.

In Piazza dei Mercanti quella "piccola banca" non c’è più ora: era la Banca Rasini, lì lavorava il padre di Berlussonini e proprio quella banca fu la prima finanziatrice del giovane e "geniale" imprenditore milanese che ha fatto tutta la strada che conosciamo, in salita verso lo "splendore" tra gli uomini più ricchi del Mondo.

L’11 luglio 1979 muore Giorgio Ambrosoli, ucciso da un killer mandato da Sindona.

Ambrosoli era il commissario liquidatore delle banche di Sindona, si rifiutò di "aggiustare le cose all’italiana", non accettò di far pagare il crack Sindona ai contribuenti, insomma non fece come per Alitalia, e per questo fu ammazzato.

Ai suoi funerali non partecipò alcuno degli uomini del potere bancario e business milanesi: lo ricorda Marco Vitale che fu l’unico a presenziare alle esequie e scandalizzato racconto l’accaduto in un articolo al Giornale [il quotidiano di quegli anni non era una Feltranata].

Il 14 febbraio 1983 vennero arrestati i cosiddetti "colletti bianchi della Mafia", i processi a loro carico non sortirono effetti, ma servono a far comprendere da quanto e come la malavita organizzata sia permeata nel tessuto economico fatto di riciclaggio, appunto colletti bianchi e pezzi di controllo dei territori milanesi.

A Milano aveva il suo palazzo residenza e sede di rappresentanza, dove morì, uno venuto dal ravennate, allora ai vertici del primo gruppo industriale privato italiano: Raul Gardini.

Gardini era "socio" di Cosa Nostra.

La sua Calcestruzzi SpA di Ravenna si era fusa con la Calcestruzzi SpA Palermo di Nino Buscemi e Giovanni Bini, erano loro due a "rispondere" direttamente Totò Riina dell’andamento dell’Azienda tutta.

Il Gruppo Ferruzzi, in qualche modo, era diventato un prestanome di Cosa Nostra.

Questa è la storia recente dalla quale Milano economica arriva.

Eppure nessuno si pone la domanda di conoscere queste origini.

Nessun intellettuale italiano.

Se ne guardano bene.

Eh sì, non "strumentalizzano".

Ma DueMaroni se la prende con Saviano perché ha dato del mafioso ai mafiosi.

Non si può. Non si deve

La Lega e Feltri insorgono e raccolgono firme contro lo scrittore.

Il PDL fa quadrato intorno ai suoi "fatti antimafia".

Il tizio che impersona il ministro degli Interni, che dopo l’intervento di Saviano a "Vieni via con me" è stato già a strillare senza contraddittorio dappertutto, domani sera sarà da Fazio: non parlerà di Cosa Nostra e ’Ndrangheta a Milano.

Sarebbe una fottuta strumentalizzazione politica che manderebbe su tutte le furie Il Papino.

Neppure accennerà alle 650 pagine di motivazione di condanna per concorso esterno mafioso di Don Macello Dell’Utri, altrimenti il figlio di Vittorio Mangano magari mette qualche "superfischione" con forte botto, ma per "ischerzo"!, davanti al cancello di Arcore.


[grazie a Dario Fo, Rifondazione Comunista Milano, Gianni Barbacetto]



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