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Tariq Shadid – Rimboccandosi le maniche: una terza Intifada?
Publie le martedì 27 aprile 2010 par Open-PublishingTraduzione di Daniela Filippin
Potrebbe anche essere che i cittadini del mondo, stanchi di sentir parlare di Israele e Palestina nei notiziari, ora non siano proprio dell’umore giusto per saperne ancora. Eppure, la tensione in Palestina si sta facendo sempre più forte, grazie a Israele che procede imperterrita sulla propria strada, in barba alle costanti richieste da tutto il mondo di bloccare l’espansione delle colonie nella Gerusalemme est e negli altri territori occupati. Al tempo stesso, si percepisce l’aumento dei richiami palestinesi a una terza intifada, che anzi potrebbe anche essere già in corso. Il fallimento da parte della comunità internazionale di premere su Israele per imporre il rispetto delle leggi internazionali, vista la stupefacente mancanza di rispetto nei confronti dei diritti umani, l’ininterrotta espansione territoriale e le flagranti violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra, svolte nei modi più impensabili, sta minacciando ancora una volta di far pagare le conseguenze al popolo palestinese.
America: lealtà o servilità?
Il 22 marzo, prima del suo viaggio a Washington, Netanyahu ha dichiarato: “Per quel che ci riguarda, costruire a Gerusalemme è uguale a costruire a Tel Aviv, e su questo siamo stati chiari con gli americani.” Vi è stato un gran trambusto sulla “crisi” nei rapporti fra USA e Israele, che nei media tende ad essere ritratta come una delle peggiori da decenni. Eppure, pare che la maggior parte dei contenziosi fra le due nazioni siano già stati risolti. C’è evidentemente più verità nelle ripetute dichiarazioni riguardo all’inamovibile lealtà dei politici americani nei confronti degli obiettivi israeliani, come ad esempio la famigerata dichiarazione di Obama, “Gerusalemme rimarrà la capitale d’Israele, e non verrà divisa”, dichiarazione che fece nel suo discorso all’AIPAC la stessa mattina in cui si assicurò la nomination democratica alle candidature presidenziali del 2008.
Questa dichiarazione fu sbrigativamente diluita nei giorni seguenti, quando fu messa severamente in discussione e denunciata dai palestinesi e dagli esperti di politica estera. Dopotutto, la legge internazionale prevede che Gerusalemme est sia un territorio illegalmente occupato. Nonostante ciò, rimane come dato di fatto che a Israele sia stata data mano libera nel processo di “ebraicizzazione” della Gerusalemme est araba, attraverso lo sfratto forzato dalle loro case dei residenti palestinesi della zona, i continui scavi sotto al quartiere di Silwan, la prosecuzione dell’isolamento della Gerusalemme est dall’hinterland palestinese circostante, e gli annunci di piani di un’estesa opera di costruzione di edifici coloniali abusivi nella Gerusalemme est.
Quando Joe Biden era in visita presso gli israeliani lo scorso 9 marzo, ha dichiarato: “Non c’è assolutamente nessuno strappo fra gli Stati Uniti e Israele in termini della sicurezza di Israele. Nessuno.” Se i nostri giudizi dovessero fondarsi sulle azioni e non le sole parole, avrebbe potuto sostituire la parola “sicurezza” con “politica” e non avrebbe fatto alcuna differenza.
Non v’è nulla di concreto che dimostri l’ipotetico rapporto di schiavo e padrone fra gli Stati Uniti e Israele. Tuttavia, esiste un diffuso teorizzare a riguardo, partendo da speculazioni che riguardano una presunta, sconfinata influenza della lobby ebraica e del totale controllo del regime israeliano sulla politica estera degli Stati Uniti. Ciò che continua ad apparire chiaro è che Israele ha sempre avuto il via libera per la sua gestione atrocemente razzista della popolazione palestinese e per il ruolo assunto nel forzare altri regimi della regione alla sottomissione, rafforzati dal “segreto” (pubblico!) del suo enorme arsenale di armi nucleari.
Dritto alla fonte…)
La pubblicazione nel 2007 da parte degli accademici di Harvard, Walt e Mearsheimer de “La lobby israeliana”, ha messo a nudo i meccanismi che agiscono dietro al dominio di Israele nella politica americana, attraverso campagne di donazioni e l’impatto dei media. Arrivando dritto alla fonte, tuttavia, la sottomissione americana sembra arrivare persino da più lontano. Il 3 ottobre, 2001, Ariel Sharon ha screditato le critiche di Shimon Peres nei confronti della sua politica durante la trasmissione radiofonica di Kol Yisrael, dicendo:
“Ogni volta che facciamo qualcosa mi dici che gli americani faranno questo o quello. Voglio dirti molto chiaramente, non preoccuparti delle pressioni americane su Israele; noi, il popolo ebraico, controlliamo l’America, e gli americani lo sanno.”
Un altro esempio: a Condoleezza Rice fu ordinato da George W. Bush di astenersi dal voto a favore di un cessate il fuoco durante la guerra a Gaza, proprio durante il Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 12 gennaio 2009. Il Primo Ministro Ehud Olmert, in un discorso ad Ashkelon in quei giorni, ne ha spiegato i retroscena:
“Ho detto: ”Chiamate il Presidente Bush al telefono”. Loro mi hanno risposto che era nel mezzo di un discorso a Philadelphia. Ho risposto che non me ne importava nulla. “Ho bisogno di parlargli ora!”. E’ sceso dal palco e mi ha parlato. Gli ho detto che gli Stati Uniti non potevano votare a favore,di una simile risoluzione. Lui ha immediatamente chiamato il Segretario di Stato e le ha ordinato di non votare a favore.”
L’America si è per lungo tempo atteggiata nel ruolo di mediatore neutrale del conflitto, nonostante sia risaputo che anche durante il corso di questa commedia durata decenni, abbia sempre vigorosamente e incessantemente favorito ogni singolo obiettivo militare, strategico ed economico di Israele. Tenendo questo in mente, difficilmente si può quindi sostenere che le cosiddette critiche nei confronti di Israele, recentemente pronunciate da Joe Biden e Hilary Clinton, abbiano un qualsiasi reale peso o contenuto. E’ considerato normale che una delle due squadre competenti nella finale della Coppa del Mondo porti uno dei propri giocatori come arbitro? Nel calcio chiaramente non si potrebbe fare questo, ma per qualche motivo, avere un arbitro di parte sembra essere un fatto ben accettato nella politica del medio oriente, come se fosse una cosa che tutti preferiscono non nominare e accettare come se fosse una legge della natura.
La regola della debolezza
Ecco perché almeno una parte della colpa è dei palestinesi, per il fatto che sia stato permesso di continuare per quasi due decenni questa partita così poco pulita . Il consenso nei confronti di tali politiche ha portato al risultato dell’acquisizione di migliaia di ettari di terra palestinese da parte degli israeliani, alla costruzione di un’infrastruttura razzista, di mura illegali, colonie e strade nei territori occupati, e alla quasi triplicazione della popolazione dei coloni ebrei nella Cisgiordania e Gerusalemme. Tutto ciò è poi avvenuto durante il periodo conosciuto come “il processo di pace di Oslo”.
Il miglior esempio di corresponsabilità palestinese: Mahmoud Abbas verrà probabilmente ricordato come il leader arabo più debole della storia moderna, dimostrando per l’ennesima volta e ad infinitum che qualsiasi cosa lui “pretenda” in realtà venga “chiesta pacatamente”. All’inizio, aveva concordato non ci sarebbero state altre negoziazioni a finché non sarebbe stata congelata l’avanzata delle colonie, ma gli israeliani hanno continuato con inalterata assiduità, persino aumentando i loro sforzi in questo senso. Abbas si è quindi piegato a un dialogo “indiretto”, perdendo ancora una volta la faccia presso i palestinesi e le masse arabe, ammesso che ci fosse ancora stata una faccia da perdere dopo la debacle Goldstone dell’ottobre 2009.
Se venisse chiesto a chiunque di nominare un singolo successo dell’Autorità Palestinese nel periodo successivo all’assassinio del leader palestinese Yasser Arafat, si avrebbero grosse difficoltà a menzionare anche un solo atto che dalla benché minima credibilità o significato. E’ come se l’Autorità Palestinese fosse stata mandata a vestire i panni del capitano su una nave che sta affondando, in cui si pretende che continui a far credere ai passeggeri che sono in arrivo i soccorsi per impedire che scoppi il panico e avvengano degli ammutinamenti. Intanto all’equipaggio è già stato detto via radio che il danno allo scafo è in realtà irreparabile. Tutto ciò fa sorgere spontaneamente il dubbio: l’accordo prevede anche qualche elicottero a disposizione dalle guardie costiere per il capitano e i membri più alti in grado dell’equipaggio, per poterli portare al sicuro prima che la nave affondi sotto le onde con tutti i passeggeri ancora a bordo?
Quali palestinesi sostenere?
Il risultato di questa negoziazione politica, e il fatto che sia stata trascinata per anni ed anni finché ogni carta palestinese è stata giocata inutilmente da coloro ai quali fu affidato di sedersi al tavolo a nome del popolo, è che ha effettivamente paralizzato la comunità internazionale riducendola ad uno stato di apatia totale. Da quando Hamas fu ingiustamente etichettata come “organizzazione terroristica islamica” dagli Stati Uniti e dall’Europa, e da quando l’Autorità Palestinese non ha mostrato alcuna credibilità nelle proprie azioni o nei propri principi, la comunità internazionale si trova completamente indecisa su quali siano i palestinesi da sostenere.
La resistenza non-violenta, sotto forma del movimento BDS e di attivismo anti-Muro, sta avendo luogo quotidianamente in Palestina, mentre è stata largamente ignorata dai media e dai politici europei ed americani. Diventa sempre più difficile negare che l’unico modo di far finire sulle prime pagine dei giornali del mondo i palestinesi siano gli atti di resistenza militante, che al giorno d’oggi sono ricordate come azioni di un’altra epoca. I nomi di questi militanti continuano ad essere usati contro i palestinesi stessi ancora oggi, come se i loro fossero stati atti di totale e gratuita crudeltà, anziché atti disperati in risposta a tentativi israeliani di annichilimento e oppressione.
Eppure, nessun premio è stato mai consegnato sulla scena politica mondiale ai tanti coraggiosi palestinesi, per le loro giornaliere e pacifiche proteste, nonostante le cruente e mortali risposte dalle forze di occupazione israeliane. Quando i palestinesi hanno resistito con le armi contro le ingiustizie, sono stati criticati. Quando resistono in modo non violento, vengono ignorati.
Nonostante abbia vinto le elezioni nel 2006 con una certa maggioranza, sembra che quasi nessun governo del mondo si senta a suo agio ad esprimere sostegno ad Hamas, a giudicare da come l’organizzazione è stata etichettata. Ma c’è anche poca speranza per “l’altra parte”, sebbene da un punto di vista occidentale l’Autorità Palestinese dovrebbe essere senza il minimo dubbio il partner palestinese ideale con cui entrare in affari. La prova di questo sta nel fatto che abbia dimostrato una quasi totale mancanza di resistenza nei confronti dell’occupazione israeliana, e persino una volontà di collaborare con qualsiasi cosa suoni vagamente come una “soluzione”. Questo non è esattamente ciò che vorrebbe l’occidente?
Apparentemente, l’Autorità Palestinese ha dimostrato una tale mancanza di spina dorsale che persino i governi occidentali sembrano aver perso ogni interesse nel prestare un’attenzione politica significativa, per non parlare del fornire supporto morale. Dopotutto, è evidente che questa Autorità Palestinese non verrà sostenuta politicamente, ma solo finanziariamente solo per stabilire le istituzioni, e solo se in sintonia con i bisogni degli israeliani.
Risultato finale: se vorranno opporsi all’occupazione israeliana, i palestinesi dovranno fare tutto da soli.
Gerusalemme a rischio
I mass media mondiali hanno rivolto grandi attenzioni all’approvazione, da parte del governo israeliano, del piano di costruzione di 1600 edifici in Gerusalemme est. Questo ha provocato non poco imbarazzo negli americani quando Joe Biden aveva visitato la zona. Eppure, ben poche attenzioni sono state rivolte al quadro più generale delle politiche di espansione israeliane. L’11 marzo, Ha’aretz ha documentato che in effetti, queste palazzine erano solo una parte del piano che comprendeva la costruzione di circa 50.000 nuovi edifici nella Gerusalemme occupata.
Dato che questi fatti risaputi non provocano veementi proteste di alcun segmento del cosiddetto “quartetto”, rende probabile che le parole pronunciate da Obama durante la sua campagna presidenziale, anziché essere solo uno sfortunato malinteso, fossero solenni promesse compiute per assicurarsi la candidatura. “Gerusalemme rimarrà la capitale di Israele, e dovrà rimanere unita,” aveva detto Obama. E la legge internazionale? Gerusalemme non è internazionalmente riconosciuta come la capitale d’Israele, e non si tratta di una questione di divisione, ma di appropriazione illegale – in fragrante violazione con i trattati internazionali, che non può essere accettato sotto nessuna condizione.
Ecco perché l’attuale situazione potrebbe essere vista come un banco di prova per la politica internazionale del medio oriente: se Israele riuscirà a farla franca facendo approvare questi 1600 edifici, non avrà il minimo problema a ottenere il consenso delle superpotenze per costruire le rimanenti migliaia di case per i coloni nella Gerusalemme est, consolidando ulteriormente l’ebraicizzazione della città. Questo è un motivo di grande allarme nel mondo arabo e mussulmano, soprattutto considerando gli scavi sottostanti le zone che circondano la Moschea di Al Aqsa, come le continuate e crescenti provocazioni: la costruzione di una sinagoga, e la prima pietra posata come simbolica “ricostruzione del tempio” da parte di ebrei ortodossi sionisti. Questi eventi hanno avuto luogo recentemente, questo scorso 16 marzo, con l’approvazione del governo israeliano, e rafforzano anche alcune voci su una distruzione pianificata e intenzionale della Moschea di Al Aqsa, in modo da costruire quel tempio. La risposta delle Autorità Palestinesi e del mondo arabo/mussulmano, che dovrebbe essere imponente e dovuta, è sbalorditivamente assente.
Una terza Intifada?
Alcune persone potrebbero scegliere di continuare a dare la colpa ai palestinesi: dopotutto, non tutti sostengono una “soluzione politica” del problema. Ma questo non è poi così assurdo, considerate le condizioni che vengono imposte ai palestinesi, e considerando che l’Autorità Palestinese in tutti questi anni ha fallito nell’intento di dare anche solo un unico motivo per sperare in un loro successo. Le persone possono anche essere biasimate per la mancata volontà di prendere il destino nelle proprie mani, quando sono quotidianamente terrorizzati da una spietata e genocida forza occupante israeliana? Intanto, nessuno sforzo convincente è stato compiuto da coloro che sono riconosciuti internazionalmente come rappresentanti della voce palestinese per contrastare questa forza. Il recente assassinio di quattro giovani civili nella zona del Nablus, Mohammad e Useid Qadus (entrambi di 16 anni), Muhammad Faysal e Salah Muhammad Qawariq (entrambi di 19 anni) da parte dell’esercito israeliano nel giro di 24 ore, ha provocato solo alcune timide condanne dai rappresentanti dell’Autorità Palestinese, ma potrebbe ben rappresentare l’inizio della Terza Intifada. Se la gente non vede alcuna significativa reazione da parte dei propri leader, staranno tutti fermi a guardare mentre i loro figli vengono uccisi a colpi di arma da fuoco?
Il capitano della nave sopra menzionato potrebbe anche sfoderare le sue più suadenti parole di speranza per mantenere il controllo e l’autorità sui passeggeri. Potrebbe fare delle promesse in cui anche volendo quasi nessuno crederebbe, se non nel caso in cui la paura di essere inghiottiti dalle onde condizioni ad afferrare qualsiasi pagliuzza galleggiante di passaggio. Tuttavia, rimane da vedere se questo è il modo in cui il popolo palestinese reagirà. La storia ha dimostrato che siamo capaci di organizzare rivolte terribilmente potenti, basandosi interamente sul potere della gente, la forza della loro coesione sociale e sulla lealtà alla propria fede.
Se nessun altro al mondo muoverà un dito per proteggere Al Aqsa e mettere fine all’inumana aggressione dell’occupazione ed espansione israeliane, il popolo palestinese certamente non afferrerà le pagliuzze, ma sarà destinato ad afferrare qualsiasi bastone a portata di mano, difendendosi contro la demolizione delle proprie case, l’assassinio dei propri figli, la distruzione dei propri siti sacri e, non ultimo, della propria identità nazionale.
In inglese qui http://palestinethinktank.com/2010/03/22/tariq-shadid-going-it-alone-a-third-intifada/