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Tutti culo e camicia e noi a guardare

Publie le venerdì 5 agosto 2005 par Open-Publishing

interessante analisi del direttore di Liberazione

Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti - dopo anni di caccia reciproca, che sembrava una caccia all’ultimo sangue - hanno siglato la pace sotto forma di accordo economico. E’ tornata l’unità nella borghesia italiana. Dicono gli esperti che quello tra De Benedetti e Berlusconi sia un buon accordo, e che porterà dei soldini nelle casse dell’uno e dell’altro... L’accordo consiste nella creazione di una società comune (della quale faranno parte anche Diego Della Valle e Cordero di Montezemolo, quindi, praticamente, tutte le correnti dell’impresa italiana) che avrà il compito di prendere aziende decotte, allo sbando, rimetterle in piedi e poi venderle. E’ un lavoro complicato e rischioso. Certamente la possibilità di condurre questo lavoro contando su forti amicizie politiche, magari nel governo, aiuta. Il fatto poi che uno dei soci di questa nuova impresa non solo disponga di buone amicizie nel governo, ma addirittura sia il capo del governo, aiuta moltissimo. E infatti la Borsa, che di queste cose se ne intende, ha scommesso ad occhi chiusi su questa società ed il titolo è schizzato in alto.

Possiamo parlare di conflitto di interessi, in questo caso? Ieri ho provato a usare queste parole, discutendo con Franco Debenedetti, fratello di Carlo, ma lui se l’è presa a male e mi ha detto che definire questo un conflitto di interessi è insensato, perché l’unico conflitto di interessi è quello che riguarda le Tv, e dunque se qualcuno parla di conflitto di interessi, in questo caso, confonde le acque e fa il gioco di Berlusconi. Chissà perché ciascuno vede i conflitti solo dove gli pare e piace e dove gli fa comodo, e poi accusa sempre noi di essere i "veri" amici di Berlusconi. Forse è umano che sia così...

Dobbiamo stupirci? Lasciamo stare. Abbiamo sempre pensato che il "conflitto di interessi" non sia una cosa che riguarda solo Berlusconi e le sue Tv, ma sia - e sia stato in passato - una condizione esistenziale del capitalismo italiano (forse si può anche omettere l’aggettivo "italiano"). Il quale non ha mai avuto una vocazione a farsi carico dell’interesse generale e si è invece sempre occupato dei suoi interessi e dei suoi profitti, che per loro natura sono in conflitto con gli interessi generali (e coi salari). In genere il capitalismo italiano, per affermare la supremazia dei suoi interessi su quelli generali, si è servito dell’appoggio della politica, cioè del governo, in varie forme. E’ così non solo da noi: più o meno è così in tutto l’occidente liberista (il liberismo non è mai liberissimo...). Il berlusconismo è la forma più spinta, sfacciata, di conflitto di interessi, perché sostituisce l’alleanza tra governo e capitale con una vera e propria forma di identificazione: il capitale, anzi "un" capitalista, si fa governo.

Questa situazione così speciale ed esagerata - il potere berlusconiano, lo "strapotere" - ha portato ad una rottura dentro la borghesia italiana: perché è saltato l’equilibrio che regolava in precedenza i rapporti tra i vari gruppi del capitale, che garantiva una equità nella distribuzione dei benefici, e manteneva la sua stabilità grazie alla leadership, da tutti riconosciuta, della Fiat e della famiglia Agnelli. Una delle conseguenze dell’ascesa di Berlusconi e della caduta di questo equilibrio, è stato l’inizio della guerra decennale tra il gruppo Fininvest e il gruppo di De Benedetti. Guerra che si è allargata su molti terreni: quello propriamente economico, quello giudiziario, quello politico.

Questa guerra ha condizionato in modo fortissimo la politica italiana. Anzi ne è diventata il centro. Di più: è diventata l’unico terreno riconosciuto e legittimo di battaglia e di confronto. Chi era fuori non contava niente.

De Benedetti è riuscito in vari modi ad esercitare una egemonia salda sulla sinistra riformista e su quel che restava della vecchia Democrazia cristiana di De Mita. E con questo esercito ha potuto contrapporsi a Berlusconi, che sul piano strettamente economico era più potente di lui. De Benedetti ha dimostrato grandi capacità sul terreno politico e nel rapporto con l’opinione pubblica progressista. Operando su tre piani: primo, dall’interno dei partiti, attraverso rapporti diretti con alcuni loro leader; secondo, usando nel modo giusto il suo grande potere mediatico, cioè il gruppo editoriale "L’Espresso-Repubblica", che è molto potente e di elevato livello culturale; terzo, assumendo un ruolo rilevante nella società civile, facendosi persino promotore di associazioni e movimenti, e proponendosi come eminenza grigia di una tendenza (potremmo dire, usando un termine politologico-giornalistico, il "girotondismo") che metteva in discussione i partiti e cercava con passione nella critica ai partiti una nuova linfa per la sinistra e per l’alternativa.

Quali sono ora le conseguenze della piroetta di De Benedetti? Sul piano delle relazioni sociali la conseguenza è quella di un rafforzamento del blocco della borghesia, che si ricompone e può tornare a pensare ad un suo rapporto con la politica, meno dialettico, meno pluralista, dunque più di tipo "proprietario". La ritirata di quella che si chiamava "La sinistra" borghese, e la fine della sua guerra a Berlusconi, anziché attenuare lo spirito vero del berlusconismo ne accentuano il suo aspetto più inquietante che è la aspirazione alla proprietà di tutto: beni, idee, comunicazioni, poteri, relazioni industriali e sociali.

La seconda conseguenza riguarda la modifica degli assetti politici. Il mondo riformista, orfano di De Benedetti "Cavaliere senza macchia", dovrà ripensarsi profondamente. Dovranno farlo sia le sue componenti più moderate sia quelle più sociali e ribelli (per intenderci facciamo un nome solo, quello più prestigioso e integerrimo: Sylos Labini). Le prime dovranno prendere atto che non hanno più un nume tutelare nel "potere borghese", le seconde che avevano sbagliato i conti sulla purezza della società civile. Per la sinistra riformista il ripensamento dovrà riguardare anche certe forme frettolose di liquidazione della democrazia "partitica" che si erano affermate negli anni scorsi.

La terza conseguenza investe le prospettive di governo. Il bipolarismo e l’alternanza tra centrodestra e centrosinistra erano una forma di governo che rispecchiava la condizione di classi dominanti che si erano lacerate e combattevano tra loro. La ricomposizione tra gli interessi di queste classi allude anche a una ricomposizione politica. La borghesia italiana, a questo punto, non è più interessata all’alternanza e si sente abbastanza forte per non dover cercare mediazioni con la sinistra, o almeno con la sua parte più radicale e ferma. Vuole il centrismo. Si batterà con tutte le sue forze per ottenerlo, perché è il modo più semplice per esprimere le sue necessità di governo. La lota tra chi vuole il centrismo e chi cercherà di mantenere aperta l’ipotesi di un governo di sinistra della società italiana, è la lotta dell’immediato futuro. E’ il terreno vero dello scontro politico: è una lotta di classi. Che impone scelte drastiche e complicate soprattutto alla componente riformista del centrosinistra.

Piero Sansonetti

4 agosto 2005

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