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Una fuoriuscita non dall’euro, ma dal capitalismo
par Lucio Garofalo
Publie le giovedì 1 dicembre 2011 par Lucio Garofalo - Open-Publishing3 commenti
I mezzi di comunicazione ufficiali e la stragrande maggioranza dei partiti politici si mostrano asserviti ai poteri forti ed insistono nel raccontarci una moltitudine di ipocrisie e luoghi comuni (oltretutto banali) sulla crisi, sulle cause, sugli effetti e sui presunti rimedi, spacciati come “riforme”, ma che sono controriforme reazionarie che tendono ad abolire le più avanzate conquiste di civiltà e di progresso ottenute dai popoli europei, un bagaglio di preziosi successi storici conseguiti grazie alle lotte dei movimenti di massa sorti nel ‘68: stato sociale, diritti e tutele a beneficio del mondo del lavoro, ecc.
Questi servi prezzolati professano (a chiacchiere) il nobile intento di scongiurare un duro “scontro generazionale” tra padri e figli, ma nei fatti agiscono per aizzare l’odio sociale attraverso drastiche controriforme che hanno precarizzato il mercato del lavoro ed hanno impoverito notevolmente le condizioni di lavoro e di vita di intere generazioni. Mi riferisco a quegli interventi legislativi assolutamente iniqui e devastanti (cito il pacchetto Treu e la Legge 30, meglio nota come “Legge Biagi”) rispetto ai quali le responsabilità dei governi succedutisi negli ultimi 15 anni, di centro-destra e “centro-sinistra”, sono praticamente trasversali agli schieramenti parlamentari. Gli stessi organi di informazione che ieri hanno preparato il terreno ideologico per promuovere le suddette controriforme, oggi agitano lo spauracchio propagandistico dello spread per esigere ulteriori sacrifici dei padri a favore dei figli, in nome di un presunto “patto generazionale” che è l’ennesimo raggiro istituzionale contro le famiglie dei lavoratori.
Un’altra menzogna propinata dai mezzi di comunicazione, è lo stereotipo secondo cui la crisi finanziaria sarebbe esplosa in quanto “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. In realtà, le famiglie dei lavoratori, sia i padri che a maggior ragione i figli, negli ultimi 15 anni hanno visto ridursi drammaticamente il proprio reddito e il proprio tenore di vita, per cui la percentuale di chi ha effettivamente vissuto al di sopra delle proprie possibilità si riferisce a ristrette élite che fanno capo alle rendite e ai profitti capitalistici che hanno origine nell’alta finanza, ovvero nei giochi virtuali delle borse.
A coronamento di queste bugie si propone la classica ciliegina sulla torta, cioè la persuasione comune che solo il governo Monti “può salvarci dalla catastrofe”. In che modo? Si pretende di curare il malato (nella fattispecie l’economia italiana, ma il discorso vale per altri Paesi) prescrivendo lo stesso trattamento applicato finora, che si traduce in politiche basate sulle liberalizzazioni, sulla restrizione dei diritti, sull’abbattimento dei salari e del potere d’acquisto dei lavoratori in seguito a scelte politiche (non “tecniche”) che produrranno una spirale inarrestabile di rincari dei prezzi e delle imposte indirette, cioè le “terapie ultraliberiste” che hanno causato la malattia.
Si esigeranno sacrifici crescenti da parte delle masse popolari su cui si scaricheranno gli effetti dolorosi della crisi, inasprendo la pressione fiscale tramite l’aumento dell’IVA, la reintroduzione dell’ICI, il balzo dei prezzi dei generi di prima necessità ed altre misure di austerità che deprimeranno ulteriormente i consumi e serviranno solo ad acuire e accelerare la recessione, le cui radici affondano nelle contraddizioni strutturali insite nel sistema stesso, riconducibili a fenomeni ciclici di sovrapproduzione e sottoconsumo.
Al punto in cui siamo, urge una fuoriuscita non dall’euro, ma dal capitalismo stesso. Il superamento di un sistema fallito come il capitalismo, non potrà avvenire solo con l’indignazione, ma serve una lotta cosciente e volontaria per eliminarlo. Servono l’azione e la creatività dell’odierno proletariato per elaborare la coscienza comune di questa necessità ed immaginare uno sbocco rivoluzionario in un’altra formazione storica.
Messaggi
1. Una fuoriuscita non dall’euro, ma dal capitalismo, 2 dicembre 2011, 09:59, di Lucio
Sia chiaro una volta per tutte. Il sottoscritto (come tutti i proletari coscienti e incazzati) non è più disposto a sopportare alcun sacrificio per salvare gli interessi e le franchigie di banche, capitali finanziari, evasori fiscali e tutte le rendite delle caste privilegiate. Preferisco il crollo dell’euro e del capitalismo, piuttosto che pagare i debiti accumulati da un sistema di affaristi, parassiti, speculatori e delinquenti istituzionali. Monti ha annunciato provvedimenti di “equità”, ma simili promesse fanno solo ridere (o piangere) se pensiamo per un solo istante a come il nostro Paese sia scombinato, iniquo e corrotto. E non mi riferisco solo al ceto politico, bensì all’intera classe “digerente”...
1. Una fuoriuscita non dall’euro, ma dal capitalismo, 2 dicembre 2011, 10:11
Magari il capitalismo fosse in crisi !!
La crisi finanziaria mondiale è stata studiata e messa in piedi a tavolino per distruggere quel poco che era rimasto di welfare-state e affossare definitivamente i residui diritti dei lavoratori !!
In crisi siamo noi che non siamo stati capaci di opporsi validamente a quest’ultima offensiva capitalista, risucchiati nel vortice del consumismo e dei valori fasulli !!
MaxVinella
2. Una fuoriuscita non dall’euro, ma dal capitalismo, 2 dicembre 2011, 11:31, di Lucio
Scusa Max, ma se non si può considerare fallito o impazzito, dunque in profonda crisi, un sistema economico come il capitalismo, temo che si debbano rivedere concetti essenziali quali (appunto) "crisi", "fallimento" e così via. Negli ultimi anni si è assistito alla trasformazione delle società cosiddette "borghesi" in masse sempre più proletarizzate e precarizzate, con la liquidazione degli strati intermedi. In altre parole siamo giunti a quella situazione storica in cui la società si è polarizzata, come prevedeva Engels, tra proletari e "tagliatori di cedole", ossia il capitale finanziario. E poiché i proletari, per mancanza di reddito, non riescono ad acquistare tutte le merci che hanno prodotto, l’attuale risultato è semplicemente un misero (e, aggiungo, vano) tentativo di sopravvivenza del capitalismo sulla base delle diseguaglianze esistenti tra i vari Paesi nel mondo. Ma è una fase che durerà poco, basti pensare che oggi sono le ex colonie ad aiutare gli ex paesi colonialisti: ad esempio, l’Angola sta acquistando i grandi beni immobili di Lisbona e il Portogallo sta sopravvivendo grazie agli aiuti (in termini di risorse alimentari) forniti dal Brasile, opppure la Spagna viene soccorsa dall’Argentina. E’ evidente che le ex colonie dispongono di autentiche ricchezze materiali, infatti l’Angola possiede molte risorse minerali, mentre l’Argentina è ricca di prodotti alimentari. Nel contempo brucia un’enorme e inimmaginabile ricchezza virtuale giocata nelle borse, che ormai sono in preda agli andamenti schizofrenici degli indici, incluso lo "spread". Di passaggio rammento (con il vecchio barbuto di Treviri) che lo "spread", ossia il rendimento dei titoli di stato, è semplicemente il plusvalore che il capitale finanziario estrae da ogni Paese e l’assillo dei detentori del potere nell’alta finanza è conservare o addirittura accrescere questo plusvalore, dal momento che negli ultimi anni i profitti industriali sono calati del 40% in Europa a causa del trasferimento delle produzioni manifatturiere in Paesi come il Brasile, la Cina e l’India, dove il costo della manodopera è assolutamente irrisorio. Se queste ed altre disfunzioni chiaramente strutturali, nel senso che sono insite nella struttura e nella natura stessa del capitalismo, non ti fanno pensare ad un sistema che genera solo crisi, miseria e sottosviluppo, nonché guerra e violenza, dunque ad un sistema fallimentare e rovinoso, che va definitivamente cancellato dallo scenario della storia, non saprei più cosa dirti...