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Venezia Film - Il cinema insegue il giornalismo: Good Night and Good Luck
Publie le martedì 6 settembre 2005 par Open-Publishing
Da Clooney al documentario Unicef, molti film alla Mostra segnano una nuova tendenza. Il cinema insegue il giornalismo il pubblico ha fame di storie vere. Quasi tutti i titoli del genere sono americani forse Michael Moore ha fatto scuola. Quasi sempre è un cinema vivo lontano da effetti speciali e intellettualismi .
di CURZIO MALTESE
da La Repubblica
VENEZIA - I film che hanno più emozionato il pubblico qui a Venezia hanno molte cose in comune. Sono quasi tutti inevitabilmente americani, anche se non della grande produzione hollywoodiana. Sono film sulla memoria, c’entrano molto con il giornalismo d’inchiesta e raccontano quasi sempre storie vere. Le spiegazioni possono essere diverse. Michael Moore ha fatto scuola, la fiction pura è in crisi di sovrapproduzione e il pubblico cerca il bollino della storia vera come l’etichetta doc sul vino o l’olio, oppure il giornalismo è diventato fiction e allora si va a cercare la cronaca al cinema. In ogni caso questi sono i fatti.
George Clooney s’è scrollato di dosso la fama di fatua star hollywoodiana con la regia di un film magari troppo televisivo ma interessante, Good Night and Good Luck, basato sulla vita di Ed Murrow, mito del giornalismo democratico che nel ‘53 smascherò le miserie del maccartismo. Ron Howard ha ridotto alle lacrime la smaliziata platea veneziana con Cinderella man, filmone sulla irresistibile caduta e poi risalita di un campione della boxe anni Trenta, l’irlandese James Braddock, passato in un anno dalla fila per i sussidi di disoccupazione nell’America della Grande Depressione alla gloria del titolo mondiale dei massimi, strappato al brutale Max Baer, il killer che aveva quasi ucciso Primo Carnera. Una vera sorpresa è stato l’esordio da regista di un altro attore, Liev Schreiber, l’anno scorso qui alla Mostra come protagonista di The Manchurian Candidate, che ha tratto un bellissimo film da un bellissimo romanzo, impresa assai rara, con Everything is illuminated, storia di un giovane alla ricerca della donna che salvò suo nonno in un villaggio ucraino annientato dai nazisti. Una quarta opera a metà fra l’inchiesta e il cinema, molto apprezzata al Lido, era il film collettivo sull’infanzia firmato da otto registi, da John Woo a Spike Lee, da Kusturica a Ridley Scott, All the invisibile children. Nella scia di questo ritorno al realismo cinematografico forse bisognerebbe inserire anche Brokeback mountain di Ang Lee, che narra di due cowboy omosessuali, finalmente dichiarati fra tanti eroi di western con chiare latenze.
Si tratta di film belli o meno belli, tutti amatissimi dal pubblico, con in qualche modo l’ambizione di raccontare una verità storica che la storia ufficiale dimentica e di riportare in vita i grandi generi epici del giornalismo. Il giornalismo sportivo epico di Cinderella man, perfetto nel filmare le scene di combattimento sul ring, anche grazie alla consulenza pignola di un ex campione come Angelo Dundee. Il giornalismo di denuncia sociale in All the invisible children. L’impegno democratico di un giornalismo televisivo lontano anni luce dal mediocre servilismo dell’attualità nel film di Clooney. I critici cinefili naturalmente non saranno contenti. E in effetti non si sono visti ancora capolavori alla Mostra e difficilmente se ne scopriranno negli ultimi giorni. Ma si dimostra che se il giornalismo insegue ogni giorno il modello del cattivo cinema, il buon cinema è sempre più sensibile al bisogno del pubblico di conoscere e capire il proprio tempo attraverso storie autentiche del presente e del passato. Non saranno opere immortali, ma si tratta almeno di un cinema vivo, in ogni caso più interessante della noiosissima sequenza di film da effetti speciali, con interminabili combattimenti di sciabole ritoccati al computer, o del cinema da festival, destinato alla celebrazione dei critici e alla subitanea morte nelle sale.
http://www.articolo21.info/rassegna.php?id=2427
Venezia - Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
Cinema / Venezia 62. Good night, and good luck di George Clooney
George Clooney e un film in bianco e nero sul maccartismo: così, a prima vista, termini difficili da accostare anche solo in una stessa frase. In realtà Good night, and good luck, il film di Clooney sulla storia del giornalista televisivo Edward R. Murrow è la prima bella sorpresa del festival
Guerra fredda, caccia alle streghe, liste nere: temi resi familiari al grande pubblico da molti film e registi che in epoche diverse e con grande varietà di approcci hanno portato sullo schermo gli anni del maccartismo. Con il suo nuovo film, Gorge Clooney si aggiunge all’elenco degli autori che hanno messo in scena l’epoca in cui gli Stati Uniti d’America sono stati intossicati dalla follia paranoica del senatore Joseph McCarthy e dalla sua ossessiva crociata anticomunista. Good night, and good luck, scritto e diretto da Clooney (tra i produttori esecutivi figura Steven Soderbergh), è la storia vera di Edward R. Murrow, famoso giornalista americano che nel 1953, dal suo popolare programma televisivo in onda sulla CBS, lanciò una serie di coraggiosi attacchi ai metodi antidemocratici di McCarthy e del suo Comitato Parlamentare per le Attività Antiamericane, la Santa Inquisizione lanciata dal senatore contro le presunte attività sovversive di semplici cittadini americani sospettati di comunismo.
1953: la redazione della CBS è un vulcano in perenne attività, con segretarie che battono a macchina, giornalisti che fanno avanti e indietro e operatori continuamente al lavoro sulle macchine da presa. Edward R. Murrow (uno strepitoso David Strathairn), il produttore Fred Friendly (Gorge Clooney) e un’eccezionale e affiatata squadra di giovani giornalisti, lavorano quotidianamente fianco a fianco per esaminare gli argomenti e le notizie del giorno e scegliere le storie da raccontare nel loro programma. Un giorno - un giorno che segnerà la svolta del programma e delle vite di molti di loro - scelgono di raccontare la storia di Milo Radulovich, un pilota della marina sbattuto fuori dall’esercito di punto in bianco perché ritenuto un rischio per la sicurezza. Giudicato colpevole senza alcun processo e senza neanche essere messo al corrente delle prove contro di lui, Radulovich diventa protagonista di una puntata del programma di Murrow e Friendly: una puntata cruciale, che punta l’attenzione sull’antidemocraticità e sull’illegalità di metodi di indagine e di giudizio che erodono libertà e diritti civili della popolazione oltrepassando il limite che separa l’inchiesta dalla persecuzione. I metodi maccartisti. E’ l’inizio di un serratissimo braccio di ferro televisivo tra Edward R. Murrow e Joseph McCarthy, un confronto nel quale Murrow mette in gioco se stesso, la rete televisiva che lo appoggia, i suoi collaboratori. Ne nasce un capolavoro di giornalismo televisivo, destinato a entrare nella leggenda e a diventare una pietra miliare della storia della televisione e del giornalismo tout court.
A chi gli chiede perché abbia deciso di fare oggi un film sul maccartismo, Gorge Clooney risponde di essere stato ispirato dall’osservazione dell’attuale situazione americana: vedo molte somiglianze con gli errori che si commettono oggi, sfruttando la paura per limitare la nostra libertà. Cresciuto all’ombra del giornalismo televisivo (suo padre ha fatto il giornalista per 30 anni), Gorge Clooney ha realizzato un film solido e convincente, girato in un sobrio bianco e nero in armonia con i materiali d’archivio su Joseph McCarthy (volevo che fosse lui stesso, attraverso quei repertori, a interpretare il suo ruolo), interpretato benissimo e sostenuto da un’ottima tensione interna.
Sono cresciuto credendo nell’importanza per il giornalista di informare il pubblico e di incollare gli uomini di potere alle loro responsabilità. Mio padre ha basato la sua carriera su quello. Che è poi l’obiettivo del giornalismo televisivo. Io spero che con questo film abbiamo reso merito ai giornalisti coraggiosi.
http://www.lafeltrinelli.it/istituzionale/articolo/articolo.aspx?i=14725




