Home > Volontarie italiane respinte all’aereoporto di Tel Aviv
Volontarie italiane respinte all’aereoporto di Tel Aviv
Publie le domenica 7 agosto 2005 par Open-PublishingQui di seguito un breve racconto delle tre volontarie italiane del
Presidio di nablus respinte all’aereoporto di Tel Aviv domenica scorsa.
Ne esiste anche una versione piu’ dettagliata,
se qualcuno e’ interessato puo’ chiederla a me a questo indirizzo da cui
vi scrivo.
buon lavoro
Nathan Never
Italia, 4 agosto 2004
Ci siamo conosciute pochi mesi fa, quando dei nostri amici comuni ci
hanno messo in contatto, sapendo del nostro desiderio di andare a
visitare i territori palestinesi occupati,per osservare,per capire come
si vive tutta una vita sotto assedio nella propria terra, per ascoltare
esperienze di vite distrutte da un conflitto che dura da troppo e
soprattutto per comprendere chi trova la forza di resistere a tutto
questo senza farsi saltare in aria. Siamo tre “normalissime”studentesse
universitarie con la forte speranza che un giorno le cose possano
cambiare e con la voglia di contribuire con piccoli gesti di concreta
solidarietà .
E così sabato 30 luglio partivamo per Tel Aviv e di lì con
l’intenzione di raggiungere il presidio di Assopace a Nablus in
Palestina. Sapevamo che all’aeroporto avremmo trovato un efficientissimo
apparato di sicurezza e che le domande e le ore d’attesa sarebbero
potute essere molte ma non immaginavamo neanche lontanamente quello che
ci stava aspettando. Siamo arrivate in aeroporto poco dopo le 4 e dopo
frettolosi controlli il nostro”caso” è passato subito al Ministero della
difesa israeliano. Siamo state prima portate in una gelida stanza dove
sono stati effettuati check-in dei nostri bagagli e perquisizioni molto
personali (ci hanno addirittura fatte spogliare).Quando dopo diverse ore
pensavamo che i controlli fossero finalmente finiti è cominciato il
peggio.
Siamo state separate e interrogate per ore da una funzionaria
del ministero una di noi è stata tenuta quattro ore sola in una stanza
senza mangiare né bere, impedendole di vedere le altre e di poter
contattare qualcuno che potesse aiutarla. All’inizio ci veniva chiesto
con insistenza il vero motivo della nostra visita facendoci intendere
che potevamo essere considerate pericolose per la sicurezza nazionale ma
poi sono passati a vere e proprie minacce e torture psicologiche usando
tecniche inquisitorie che si riservano ai criminali. Durante
l’interrogatorio informazioni molto personali e fondamentali per
l’attività dell’associazione ci sono state estorte per mezzo di ricatti
e coercizioni.
Quando ci siamo rese conto che la situazione si stava
aggravando abbiamo contattato l’ambasciata ma al funzionario non è stato
permesso di raggiungerci se non dopo aver concluso la “spremitura”, cioè
circa sedici ore dopo il nostro arrivo. Senza addurre motivazioni
ufficiali e senza rilasciarci alcun documento ci hanno comunicato che
saremmo state espulse dal paese, ma non prima del giorno seguente.
Avremmo dovuto passare prima una notte nelle celle dell’Immigration
Center, un centro di detenzione in cui sono rinchiuse le persone in
attesa di espulsione.
Il giorno seguente siamo state scortate fino
all’aereo dalla polizia che ha consegnato i nostri biglietti e
passaporti al personale di bordo. Del nostro rientro sono state
informate la polizia italiana e greca, dovendo effettuare un scalo ad Atene.
Ora siamo a casa, ma si fatica a tornare alla normalità. I nostri
pensieri sono rivolti non solo alla nostra sfortunata storia, ma anche e
soprattutto a chi è stato costretto ad abituarsi a questo tipo di
soprusi e a sopportarli quotidianamente. Abbiamo vissuto per un solo
giorno in quell’inferno in cui i diritti, la dignità e ogni logica sono
ignorati e calpestati. Portare aiuto ai palestinesi è un crimine per
Israele?
Oppure c’è qualche altra ragione per cui hanno temuto la
presenza di tre ragazze che volevano solo giocare con i bambini? Cosa
succede e cosa succederà nei Territori Occupati che non possa essere
raccontato in Italia?
S. C. e A.




