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Renato

Publie le venerdì 1 settembre 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Manifestazioni-azioni Movimenti Estrema destra Haidi Gaggio Giuliani

di Haidi

Questa lettera parla di: territori, cultura, fascismi, la morte in una sera di festa. Questa lettera parla a tutti coloro che non riescono a chiudere un occhio.

Roma, come molti altri territori del nostro paese, è da qualche tempo e con una forza significativa, saccheggiata, preda di quelle proposte politiche che usano stereotipi, banalizzazioni, negazione della diversità, autoritarismo, che costruiscono valori e morali basati sulla supremazia. Che, nella fantasie di
onnipotenza definiscono nemici tutti quelli che stanno fuori da queste logiche.

La destra sociale e politica ha avuto per molto tempo uno spazio enorme per poter insinuarsi e attestarsi sul territorio romano, sostenuta nella sua avanzata da un’idea di normalizzazione che passa attraverso la riscrittura di una storia che vede i torturatori assomigliare sempre più ai torturati. Questo strano obiettivo della normalità, o piuttosto della normalizzazione, ha visto e vede alcuni attori protagonisti e altri spettatori.

I protagonisti sono tutti coloro che negli ultimi anni
hanno voluto riscrivere pezzi di storia, costruendo
nel presente giustificazioni ideologiche per la
rifioritura di tutti i fascismi; tutti quelli che
hanno alimentato il tessuto per le aggressioni,
intimidazioni, limitazioni della libertà di esprimere
creatività e opinioni sui corpi come nelle parole;
tutti quelli che hanno fatto alleanze con forze
politiche di estrema destra per candidarsi a governare
questa città.

Quelli che hanno fatto campagna elettorale viaggiando
su camionette di camicie nere in giro per la città.
Roma quindi, una città laboratorio di una destra
neofascista che qui ha costruito una strategia
chiara, decisa. Un laboratorio sociale e politico che
crea loghi, slogan, linguaggi e azioni ormai
"normalmente" inclusi e compresi nel suo
paesaggio.

Una città che vorremo riconoscere capace di rompere
questa normalità tornando a scandalizzarsi, a
rifiutare l’idea che è possibile far convivere
sullo stesso territorio il museo della Shoa, il
mausoleo alle fosse Ardeatine con i covi di
organizzazioni neonaziste.

Gli spettatori sono invece tutti quelli che di fronte
a questo processo non hanno saputo guardare con la
dovuta attenzione.

Agli spettatori si propone una storia, quella della
morte di Renato dopo una sera di festa. Un ragazzo di
26 anni aggredito e assassinato all’interno di
questo contesto, per mano di questa cultura. Una morte
che non ha più bisogno di individuare nel suo
assassino il militante neofascista per gridare a un
nuovo allarme.

Il silenzio prodotto da questa idea di normalità,
l’indifferenza che ha avvolto la città in un
clima in cui la diffusione della cultura della
sopraffazione emerge dal centro fino alla periferia,
ha prodotto morte.

Questa lettera aperta alla città di Roma vuole
cominciare ad essere uno spartiacque, una presa di
parola di tutti quelli a cui invece non appartiene il
silenzio. Che sentono l’urgenza di interpretare
questo fenomeno in una chiave sociale, culturale,
diversamente politica.

Questa lettera vuole affermare che
l’indifferenza non può essere la nostra, che la
voglia di vivere e cambiare il mondo significa
innanzitutto opporsi a qualsiasi forma di
sopraffazione, ai diversi modi in cui i fascismi si
esprimono.

Al primo cittadino di questa città, questa lettera
dice che non è possibile governare certe
contraddizioni assimilandole, perché 7 coltellate
hanno definitivamente seppellito la vostra artificiale normalità.

Messaggi

  • Commozione, musica, solidarietà, rabbia con Renato nel cuore

    di ELENA PANARELLA da "Il Messaggero" 2.9.06

    Le immagini scorrono veloci su uno schermo, nella vecchia sala ricevitorie dell’ex Cinodromo in via della Vasca Navale, non sono immagini qualsiasi sono le foto di Renato Biagetti, il giovane ingegnere ucciso domenica scorsa a Focene all’uscita dalla dance hall del chiosco «Buena Onda». E’ la prima volta che compare il suo volto da quando è accaduta la tragedia. E solo ieri, durante il suo funerale, nel vedere quel sorriso e quegli occhi azzurri si capiva chi era veramente Renato.

    Il funerale si è svolto proprio lì, in forma laica, nella sede del centro sociale Acrobax, che frequentava da anni «è cosi che avrebbe voluto». Alle note dei suoi brani preferiti il compito di raccontarlo e dargli l’ultimo addio fino al cimitero di Trigoria in un momento in cui, come hanno detto alcuni amici, «siamo trafitti dal dolore, così come lui è stato trafitto dalla tristezza e dalla stupidità di idee mortifere che cancellano ogni diversità».

    Oltre cinquecento amici uniti nel dolore e nel ricordo di Renato con i genitori dello sfortunato ingegnere, con il fratello Dario, con la fidanzata Laura. Presenti anche l’assessore comunale alle Periferie, Dante Pomponi, il segretario romano di Rifondazione Comunista, Massimiliano Smeriglio, il presidente dell’XI Municipio Andrea Catarci, i consiglieri comunali Nando Bonessio (Verdi) e Fabio Nobile (Pdci). C’è anche il senatore Salvatore Bonadonna (Prc): «Questo assurdo delitto è il prodotto del degrado sociale e dell’ambiente culturale in cui viviamo. Le istituzioni devono intervenire con una campagna di bonifica sociale che preveda la lotta alla precarietà e la promozione di interventi culturali».
    La madre, stretta al figlio Dario, ha chiesto che tutti conservassero di Renato «un ricordo fatto d’amore, perché lui odiava ogni forma di sopraffazione, l’odio gli faceva schifo e considerava la violenza mostruosa, lui che aveva paura persino di un taglierino. Su Renato, sulla sua morte, non ci deve essere violenza, perché lui era pacifico, amava la vita».

    E poi con un sorriso, lo stesso dei suoi figli, ha aggiunto: «Aveva occhi come stelle e aveva una marcia in più, come ce l’ha suo fratello. Amava molto Dario, era stato la sua guida, il suo papà. E amava anche me. Un giorno mi ha detto che era stanco di lavorare come facchino con una laurea in ingegneria e che un giorno sarebbe riuscito a fare ciò che amava. Da piccolo gli avevamo insegnato a lavorare. Andava sempre in giro coi mezzi pubblici. L’unica automobile, una Panda, che usavamo a turno. Poi un giorno l’ho visto felice, mi aveva detto che aveva incontrato l’amore, una ragazza che come lui rideva sempre: Laura». E lei era lì accanto con gli occhi lucidi e con il cuore trafitto dal dolore.

    “Il Fannullone” e “Se ti tagliassero a pezzetti” di Fabrizio De Andrè, “Gianna” di Rino Gaetano, il “Bolero” di Ravel hanno scandito i ricordi di Laura, che lo ha visto morire davanti ai suoi occhi. «Il tuo sorriso - ha detto trattenendo a stento le lacrime - entra nella nostra vita, così lontana dalla violenza. Non a caso avevi scelto il suono per esprimerti, “Tum Tum”, vibrazione che ci accompagna per tutta la vita e che scorre in noi dandoci elettrica energia». Poi, con un filo di voce, ha letto i versi della “Fenice” di Leonardo da Vinci, «le parole di un genio per salutare un genio. Ringrazio la sua famiglia - ha aggiunto - per avermi dato un dono così grande e per avermi coccolata in questi giorni difficili senza farmi mai sentire sola».

    Sopra la bara uno striscione con la scritta «Con Renato nel cuore» e il disegno di due altoparlanti per ricordarne la passione per tutto ciò che aveva a che fare con la musica. Almeno in cinquecento gli amici, parenti, vicini di casa che si sono stretti attorno alla disperazione dei genitori. Sul feretro, davanti al quale erano state poste quattro coppe sportive che il giovane aveva vinto con la squadra degli All Reds di rugby, i ragazzi del centro sociale hanno deposto magliette e sciarpe. Sono le magliette della sua palestra di boxe, della sua squadra di rugby, e poi una bandiera della Roma, fiori, tanti fiori (un omaggio floreale anche da parte di Rifondazione Comunista e dell’XI Municipio), collane e bracciali. «Sei proprio bravo, Renato», recita una scritta su un cartellone con un grande cuore, e poi «Ciao Renà» su una bandiera rossa. «Questo saluto farà il paio con quel “Ciao, Anto” - dice uno degli amici - Una scritta che ormai campeggia per tutta Roma in ricordo di Antonio Salerno, il ragazzo morto in un incidente lo scorso inverno i cui funerali furono svolti qui».

    Tanti applausi a sciogliere la grande commozione, fino all’intervento finale del fratello Dario, che gli ha dedicato l’ultimo brano suonato durante una festa prima dell’estate. Lui voleva smettere di suonare, ma Renato si era offerto di smontare al posto suo l’impianto di amplificazione, perché «l’importante è che tu continui a suonare». E allora si è continuato a suonare anche ieri mattina, fino al brindisi finale degli amici più intimi con un amaro, mentre tutti ballavano accanto alla salma di Renato, per sempre vivo nei loro cuori.

    • Acrobax, tensione al corteo per Renato

      da "Il Messaggero" 3.9.06

      Manifestazione dei centri sociali per il giovane di 26 anni ucciso a Focene dopo una festa sulla spiaggia. Campo de’ Fiori, rabbia e slogan: «Dieci, cento, mille Acca Larentia».

      I momenti di maggiore tensione arrivano in viale Trastevere, quando dagli altoparlanti viene annunciata una tentata aggressione ai danni del centro sociale “Pirateria” in viale Ostiense. Dal microfono sul furgone alla testa del corteo, organizzato ieri dal centro sociale Acrobax per ricordare Renato Biagetti, il giovane di 26 anni ucciso a coltellate domenica scorsa a Focene, parte l’annuncio: «Una decina di fascisti ha tentato di entrare nel centro sociale - dice lo speaker - In quel momento all’interno della struttura c’erano tre persone, che hanno avuto la prontezza di chiudere le porte. I dieci hanno distrutto un gazebo e lasciato scritte fasciste sui muri».

      La rabbia dei manifestanti è sfociata in slogan antifascisti, molto violenti nei toni: da «Dieci, cento, mille Acca Larentia» (riferito all’uccisione di due giovani militanti della sezione Msi del Tuscolano avvenuta il 7 gennaio 1978, ndr ) a «Piazzale Loreto l’ha insegnato, uccidere un fascista non è reato». D’altronde gli organizzatori del corteo (2-3 mila manifestanti secondo Acrobax, un migliaio per le forze dell’ordine) avevano fatto capire fin dal concentramento di piazzale Ostiense la loro opinione sul delitto di Focene, nel grande striscione che ha aperto il serpentone: «Venti mesi, 134 aggressioni fasciste. Stesse lame e stesse trame». Il passaggio dei manifestanti per le stradine di Trastevere, fino a piazza Trilussa, è diventato un rosario di recriminazioni e di timori di una possibile degenerazione.

      Per fortuna le cose sono invece filate lisce, e la rabbia di Acrobax è arrivata fino a Campo de’Fiori, senza incidenti, tra la curiosità dei tanti turisti già seduti ai tavolini per l’aperitivo o la cena intorno alla statua di Giordano Bruno. Per la manifestazione era stato scelto un basso profilo, con l’inusuale scelta di organizzare un servizio di sicurezza e la presenza di diversi esponenti politici della sinistra: dal sottosegretario all’Economia Paolo Cento al deputato di Rifondazione Vladimir Luxuria, dall’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, all’assessore capitolino alle Periferie Dante Pomponi, dal segretario romano del Prc Massimiliano Smeriglio al consigliere comunale Adriana Spera.

      Rosa e Dario, la madre e il fratello di Renato, per tutto il tempo del corteo sono stati a bordo del camioncino degli organizzatori: la donna era accanto al guidatore, mentre il figlio era sopra e sceglieva alcuni brani da far ascoltare ai manifestanti. A Campo de’Fiori è stato letto un messaggio della madre di Carlo Giuliani, Heidi, in cui era scritto tra l’altro: «È pericoloso essere antifascisti nel nostro democratico Paese. Renato non è un morto importante, è un morto scomodo, non ce l’ho fatta ad accompagnare un altro figlio al cimitero e a specchiarmi negli occhi di sua madre».