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Milano, via Zuretti. Benvenuti in Europa

Publie le martedì 23 settembre 2008 par Open-Publishing

Milano, via Zuretti. Benvenuti in Europa

di Luca Fazio

15 mila antirazzisti in corteo guidati dagli stranieri

La testa del corteo è in via Zuretti. E’ sempre stata lì, dove la settimana scorsa due italiani bianchi (a proposito, qualche giornale ha forse avuto l’accortezza di farceli vedere in faccia come di solito si fa con gli assassini?) hanno ucciso un italiano nero. Abdul Guibre, 19 anni. «Negro di merda», e giù sprangate sulla testa. Una mortale sulla tempia, ma non razzista: secondo il pm, il prefetto, il questore, la stampa quasi tutta, le televisioni e il Pd, ma non per le quindicimila persone che sorprendendo tutti hanno marciato da Porta Venezia a piazza Duomo, senza farsi strumentalizzare da nessuno.

E chi non ha voluto esserci, ha deciso di collocarsi fuori dal mondo. E proprio qui, in via Zuretti, quelli che ancora non avevano capito - e nessuno ieri aveva capito - hanno assistito a un evento straordinario. Si chiama futuro, il nostro. E’ già qui e improvvisamente ha fatto irruzione a colpi di hip-hop, un suono rabbioso; può anche far paura a qualche brava persona ma forse è il caso di ragionarci sopra senza ipocrisie e meschini calcoli politici prima che la situazione possa ancora di più sfuggire di mano. E’ successo che per la prima volta, in Italia, gli immigrati buoni non si sono fatti trascinare come al solito in una doverosa manifestazione antirazzista, no.

Questa volta è successo che con rabbia e senza alcuna rassicurante ideologia i neri hanno preso il corteo e l’hanno portato dove hanno voluto loro. L’hanno fatto prima degli «scontri» - non è successo nulla ma i grandi giornali si esprimono così... - e soprattutto dopo, quando gli amici di Abba (un centinaio) hanno mollato tutti in piazza Duomo per tornare da lui, dove l’hanno ammazzato, in via Zuretti, per riportare ai baristi assassini un pacchettino di biscotti.

Di corsa, col cuore in gola, una marcia inarrestabile che è la perfetta fotografia di cosa sta succedendo anche nella nostra italietta meschina bonacciona e mai razzista, per carità... Qualcuno la descrive come una «scorribanda teppistica» per i quattro motorini rovesciati e per due spintoni alla polizia, invece è stato uno spettacolo inedito che dimostra quanto siamo rimasti indietro. Loro, gli stranieri, tutti italiani e tutti neri, bullissimi di seconda generazione, improvvisamente si sono messi a correre staccando tutti per quattro lunghissimi chilometri. Via Manzoni-piazza Cavourpiazza Repubblica-stazione Centrale...

Travolta la polizia (messa a sedere con una tecnica di fuga a zigzag che ha lasciato a bocca aperta gli esperti di piazza di una volta) e quasi seminati anche gli ex compagni della sinistra (alcuni nemmeno si parlano tra loro) che hanno rischiato l’infarto per cercare almeno di stargli dietro. Ma non era aria da atteggiamenti paternalistici per calmare gli animi, nessuna mediazione è stata possibile tra i nostri più sinceri antirazzisti e gli amici di Abba. «I neri davanti, i bianchi dietro!». Rabbia «prepolitica» - sia detto senza offesa, precisava un politico di sinistra - che per qualche momento ha fatto temere il peggio.

E se qualcuno storce il naso, ecco un vero movimento reale, senza mediazioni ideologiche, senza volere essere per forza rivoluzionari - come diceva Pasolini ne La Rabbia quando soffriva per l’incapacità degli italiani di arrabbiarsi sul serio. Nel bene e nel male. Correvano più veloci dei ragionamenti gli amici di Abba, con tutta la forza e il rischio che questo poteva comportare. In fondo alla via, gli avevano appena ammazzato un amico. E i poliziotti di fronte erano un muro (raramente così lucidi e accorti come ieri). Loro, per la prima volta bianchi e neri davvero insieme, incazzati, incontenibili, bottiglie in mano e voglia di spaccare tutto, ma anche di applaudire quando l’hip-hop si mescolava a parole che chiedevano giustizia e uguaglianza, «il nostro sangue è uguale a quello dei bianchi, saremmo qui anche se avessero ucciso un bianco». Benvenuti in Europa, e anche quelli che sono rimasti a casa prima o poi dovranno fare i conti con l’orizzonte che si è allargato a due passi dalla Stazione Centrale.

Ormai i nuovi italiani sono in piedi sulle automobili, a muso duro con la polizia, come a Parigi, lacrime e pugni chiusi, infagottati con le magliette di Abba - il suo viso incappucciato e sorridente, «riposati fratello» - o impettiti in un vestito nero elegante. Forse è presto per dire che Abba è davvero «uno di noi», come si affrettano a dire i ragazzini bianchi che corrono più veloce. Certo è che nessuno poteva immaginare una partecipazione così ampia, considerato che i partiti di sinistra temevano addirittura un flop e che mai nessuna manifestazione come questa è stata ostacolata e oscurata da chi prova imbarazzo a sentir parlare di razzismo. In buonissima fede o in malafede, ancora una volta, la politica ha dimostrato di brancolare nel buio. Fortunatamente, i quindicimila di ieri vedono più avanti anche se camminano da soli.

Il Manifesto