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4 giugno. Visita non gradita

Publie le lunedì 24 maggio 2004 par Open-Publishing

Si tratta di una visita non gradita, storicamente e politicamente inopportuna, che interferisce
con la fase conclusiva di una campagna elettorale. Affrontiamola con senso di responsabilità, ma
anche con la dovuta chiarezza.

di Gian Giacomo Migone

Chiunque ami l’America, la sua rivoluzione e le sue istituzioni libere e democratiche, non può
accogliere a Roma George W. Bush come se niente fosse. Come si trattasse di un degno successore di
Woodrow Wilson e Franklin Delano Roosevelt che per ben due volte in un secolo si sono assunti la
responsabilità di mandare a morire i soldati al loro comando, facendo dell’Europa e dell’Italia la
frontiera per la difesa della libertà di tutti.

A nessuno deve essere consentito, per servilismo o per estremo opportunismo, di considerare il
presidente in carica il rappresentante morale di coloro che, fianco a fianco degli uomini e delle
donne della Resistenza, hanno liberato Roma e l’Italia dal regime fascista che l’attuale governo di
Roma si ostina a considerare alla loro stregua, con l’argomento umanamente ovvio e storicamente
velenoso, secondo cui tutti i caduti meritano pietas. In un caso come questo, il nudo cerimoniale di
Stato suona offesa a un’America che, attraverso la guerra in Iraq e il regime di occupazione,
rischia di essere moralmente prima che politicamente sconfitta, come affermano media che godono di una
libertà di critica da noi ormai sconosciuta.

A nessuno può sfuggire che le leggi speciali approvate dopo l’11 settembre su iniziativa del
presidente Bush, la strutturazione fisica e giuridica del lager di Guantanamo - collocato all’estero
dal governo degli Stati Uniti per sfuggire alla propria giurisdizione e alle conseguenti garanzie:
fatto unico nella storia dell’umanità - e le sevizie perpetrate nelle carceri afghane e irachene,
dimostrino come l’amministrazione in carica abbia prodotto una frattura giuridica e morale nelle
istituzioni del proprio paese. È forse il caso di aggiungere che tale frattura, se non viene
prontamente sanata, costituisce il più importante successo finora conseguito da un terrorismo nichilista
che vuole ridurre il suo bersaglio a propria immagine e somiglianza. Episodi atroci, come quello
della decapitazione dell’ostaggio americano, tendono a consolidare questo risultato.

L’attentato dell’11 settembre 2001 forse non ha cambiato la storia del mondo, ma ha ferito
gravemente la democrazia americana che è patrimonio dell’umanità (esattamente come quello artistico
certificato dall’Unesco) e che è interesse di tutti preservare e, ove necessario, restaurare.
L’esperienza vietnamita, come le reazioni americane alle sevizie, dimostrano che l’antidoto esiste.

Non può meravigliare che un governo italiano come quello presieduto da Silvio Berlusconi utilizzi
la debolezza politica e morale del presidente degli Stati Uniti, per farsi pagare i propri
servizi, prestati con il sacrificio di militari e civili mandati allo sbaraglio sotto mentite spoglie,
con un’iniziativa pre-elettorale che suona offesa ai caduti americani, italiani e di ogni altro
paese, di cui si vorrebbe onorare il sacrificio. Non meraviglia per la natura del nostro governo, ma
soprattutto perché esso ha nulla a che vedere con l’impegno di costoro, con i valori che essi
rappresentarono, cui resta indifferente se non più o meno silenziosamente ostile.

È troppo pretendere che quelle forze civili e politiche italiane che storicamente si riconoscono
in quell’America e non in questa, come rappresentata da George W. Bush, trovino il modo di rendere
onore ai caduti di allora, in maniera tale da segnare il proprio distacco netto da chi
abusivamente, negli Stati Uniti come in Italia, ne usurpa i valori? Senza cedere alla strumentalità della
concorrenza politica e alla sua esasperata monotonia. Si tratta di una visita non gradita,
storicamente e politicamente inopportuna, che interferisce con la fase conclusiva di una campagna
elettorale. Affrontiamola con senso di responsabilità, ma anche con la dovuta chiarezza.

L’UNITA’