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«A Bolzaneto anche gas urticante nelle celle dei fermati»

Publie le domenica 14 settembre 2003 par Open-Publishing

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L’atto di accusa sulla notte delle violenze in caserma: trattamenti
degradanti, violati il codice e i diritti umani

«A Bolzaneto anche gas urticante nelle celle dei fermati»
Mantovano replica: «Un paradosso contro le forze dell’ordine»

DAL NOSTRO INVIATO

GENOVA - L’inferno di Bolzaneto lo raccontano i 43 avvisi di chiusura
indagine inviati a poliziotti, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria
e medici. Una lunga serie di reati contestati dai magistrati di Genova per
spiegare che là dentro, in quella caserma del reparto mobile alla periferia
della città, «sono stati violati i diritti umani fondamentali». La notte tra
il 20 e il 21 luglio 2001 almeno 500 manifestanti del G8 sono stati
scaricati dai cellulari di polizia e carabinieri, identificati e poi
trasferiti in carcere. Ma nelle stanze di quella fortezza, secondo l’accusa,
sono volati schiaffi e pugni, minacce e ingiurie. «Trattamenti inumani e
degradanti» che hanno spinto i pm a trasformare le denunce dei manifestanti
in un’inchiesta ora arrivata a un passo dalla richiesta di rinvio a
giudizio.

GLI INDAGATI - I sei pm genovesi hanno individuato una catena di comando che
quella notte ha operato all’interno della caserma. Il cosiddetto «livello
apicale» con i dirigenti Alessandro Perugini, all’epoca numero due della
Digos di Genova; Anna Poggi, funzionario di polizia in servizio a Torino, e
Antonio Gugliotta, ispettore di polizia penitenziaria; i quattro «preposti»:
due funzionari di polizia e due tenenti dei carabinieri, Gianmarco Braini e
Piermatteo Barucco; gli «intermedi», semplici agenti di polizia, guardie
penitenziarie e marescialli dell’Arma. Per loro l’accusa è aver «permesso e
tollerato» che gli «esecutori materiali», una decina in tutto, tra cui l’
assistente capo Massimo Pigozzi (accusato di aver rotto le dita di una mano
a un manifestante), trattassero in modo «indegno e inumano» le persone
fermate. Infine ci sono i quattro medici: Giacomo Toccafondi, coordinatore
dell’infermeria, Aldo Amenta e due donne.

LE ACCUSE - I reati contestati vanno dall’abuso d’ufficio alle ingiurie,
dall’abuso di autorità di persone detenute all’omissione di referto, dalle
lesioni alle minacce fino alle percosse. Decine gli episodi. Una ragazza che
aveva vomitato in cella non sarebbe stata assistita: dalle sbarre le avevano
solo gettato della carta, ordinandole di pulire.
Durante le visite mediche sarebbero state fatte «domande anche sulla vita
sessuale con evidente fine di scherno».
Alcuni manifestanti, dice l’accusa, «sono stati costretti a stare in piedi,
a gambe divaricate, braccia alzate, volto al muro», altri sono stati colpiti
«da un getto di gas urticante-asfissiante nelle loro celle». Una ragazza
sarebbe stata costretta a girare su se stessa oltre dieci volte, senza
nessun motivo, altre «sono rimaste nude durante la visita medica anche in
presenza di uomini». E poi ci sono le canzoncine fatte cantare sotto le
minacce: «Viva il Duce», «Faccetta nera» e gli insulti: «Alla Diaz vi
dovevano fucilare tutti», «siete pronti per la gabbia», «zecche comuniste»,
«te lo do io Che Guevara». Alcuni dei fermati darebbero rimasti fino a 15
ore senza acqua né cibo.

LE REAZIONI - Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno definisce gli
avvisi di chiusura indagine «un drammatico paradosso, black bloc vittime e
poliziotti aggressori». «Nel capoluogo ligure due anni fa - dice - si è
realizzato il più grosso tentativo organizzato e pianificato di aggressione
violenta nei confronti dei partecipanti a un vertice internazionale e di chi
era preposto alla loro tutela. Ancora una volta si rischia di identificare
gli aggressori nelle forze di polizia e gli aggrediti nei black bolc». Pochi
fra i diretti interessati dalle accuse scelgono di parlare. Aldo Tarascio,
segretario del Silp, la Cgil nella polizia, si ritrova ad essere accusato
delle violenze di Bolzaneto: «Abbiamo solo trasportato gli arrestati nella
caserma, li abbiamo tenuti in custodia per un’ora. Non è successo
assolutamente nulla, poi ce ne siamo andati. E mi ritrovo indagato». Nando
Dominici, all’epoca del G8 dirigente della squadra mobile di Genova e ora
questore vicario a Brescia, indagato per l’irruzione alla Diaz prende le
distanze: «Questa è l’accusa, bisogna fare una verifica. Sono amareggiato,
perché è assurdo solo pensare una cosa del genere. Non so ancora di cosa mi
accusano, ma so quello che non ho fatto».

Cristina Marrone