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A PROPOSITO DELLE NOSTRE PRATICHE

Publie le giovedì 9 ottobre 2003 par Open-Publishing

DISOBBEDIENZA CIVILE

Parto dalla mia esperienza. Molte volte ho partecipato a pratiche di disobbedienza civile.
Occupazioni di case e facoltà universitarie. Catene umane e blocchi stradali. Più di recente, col gruppo
di lavoro Bastaguerra, ho rischiato varie volte l’arresto e altre seccature con la "giustizia".
Dalla contestazione del Ministro Frattini dentro la seduta del Senato, ai blocchi stradali davanti
all’ambasciata USA e a palazzo Chigi, alla contestazione della parata militare del 2 giugno, alle
azioni di disturbo al cambio della guardia al Quirinale. Con le compagne di Ya Basta e del Forum
delle donne abbiamo fatto una bella azione di occupazione e blocco del Ministero della Difesa.

Insomma disobbedire mi piace, però non mi piace lo stile militare. Dal punto di vista culturale ed
estetico disapprovo il fronteggiamento e lo scontro organizzato più o meno soft con le forze
dell’ordine. Si può dire che l’estetica è un fatto personale, tuttavia credo che i gusti siano
influenzati da una cultura lungamente introiettata. La mia cultura è femminista e pacifista, mi viene
dall’esperienza delle Donne in Nero a Messina, dalle manifestazioni a Comiso e dalla Lega per il Disarmo
unilaterale, poi dalle esperienze romane, dal Forum delle donne del PRC, dalla Convenzione
permanente di donne contro le guerre, dal gruppo di lavoro che ho contribuito a costruire (Bastaguerra
del Fse). Mi sono fatta l’idea che bisogna smilitarizzare le menti e le pratiche di piazza, come il
linguaggio e i territori, così qualunque mimesi della forza, anche simbolica, mi sembra sgradevole
e vecchia.

REGOLE

Un movimento plurale fatto di tante anime diverse deve necessariamente seguire delle regole di
convivenza se vuole evitare il verificarsi di eccessi di competizione o di predominio di un pezzo
rispetto ad altri pezzi.
Credo sia necessario richiamare due regole che oggi mi sembrano appannate dalla manifestazione del
4 ottobre.
I regola: le pratiche di movimento seguono il metodo della nonviolenza ed escludono il
danneggiamento a persone e cose (Carta di Porto Alegre I).
II regola: quando si producono iniziative unitarie di massa, alle quali partecipano tutte le anime
del movimento ed a cui si chiama a partecipare tutta la società civile, bisogna evitare ogni
forzatura, stimolare il massimo coinvolgimento e la piena condivisione del programma. Ciò perché
l’obiettivo del movimento è allargare la partecipazione e dunque bisogna evitare accuratamente di
coinvolgere in pratiche non pienamente condivise masse di persone, esponendole a rischi e conseguenze
che non hanno deciso di affrontare.

Perciò credo che le azioni di disobbedienza civile che comportano rischi personali non siano
opportune, parlando in generale, nei cortei unitari di massa oppure debbano avvenire in un modo
lungamente concordato e in condizioni di sicurezza per la maggioranza dei partecipanti al corteo (la
quale maggioranza non partecipa direttamente all’azione - innanzi tutto per motivi logistici - ma è
esposta alle conseguenze generali dell’azione di pochi).

VIOLENZA E NONVIOLENZA

La cosa peggiore che ci può accadere è assomigliare al nostro avversario. Le forze dell’ordine ci
minacciano con la loro violenza: ultimo anello di una lunghissima catena di VIOLENZA del potere
che si fonda sugli interessi e le strategie dei signori della guerra e del capitale che hanno potere
di vita e di morte su milioni di esseri umani. I celerini e i carabinieri sono la più piccola
materializzazione di questa violenza, i cagnolini al servizio dei giganti, non sono loro il vero
nemico. Banale. Ma non sarà banale assumere il punto di vista che se rispondiamo alla violenza con la
violenza non facciamo che alimentare lo stesso mito della forza che da millenni abita il mondo e
che è stato alimentato dal patriarcato e dal capitalismo.

Vogliamo resistere, disobbedire, confliggere. Eppure dobbiamo controllare "la parte oscura della
forza" che è in noi, così come la nostra creatività controlla e frena la nostra distruttività.
Perché dobbiamo? Perché il messaggio di vita che è nel nostro movimento, può sommergere e fermare il
messaggio di morte che il capitalismo globalizzato ci lancia ogni momento.
E’ possibile alzare il livello di conflitto senza ricorrere alla violenza? Secondo me si. Dobbiamo
ancora cercare. Ribellarsi può significare anche sottrarsi allo scontro fisico per cercare forme
più efficaci. Più efficaci, sì. Infatti personalmente non credo che violare una zona rossa o
sfondare un cordone di polizia sia efficace.

Il prezzo che si paga in termini di cariche, scontri, scompaginamento di un corteo di massa,
tensione, cupezza e alla fine sfiducia è troppo alto. Il risultato viene presto deformato
mediaticamente dall’avversario che ti assimila ai teppisti dello stadio. Il messaggio di ribellione e
cambiamento non raggiunge il grosso della società che vogliamo raggiungere. Per questo credo che non sia
efficace. O forse per efficacia si intende la nostra capacità di condizionare le scelte dei potenti.
Ma si pensa davvero che il vertice del WTO a Cancun sia saltato perché le donne hanno tagliato le
reti? Io credo che il movimento nostro in tutto il mondo, con la capacità che ha avuto di
influenzare la vita e il pensiero di milioni di persone, ha modificato i rapporti di forza, fino a dare ad
alcuni paesi sfruttati dall’Occidente il coraggio, attraverso i loro rappresentanti, di puntare i
piedi, di coalizzarsi, di dire NO. Credo che sarebbe avvenuto lo stesso con altre forme di
protesta e di contestazione visibile. Continuo a ritenere che i cortei unitari di massa, pacifici e
oceanici come il 15 febbraio siano la forma più efficace, proprio per condizionare i potenti delle
cosiddette democrazie occidentali. Non è stato ancora sufficiente a fermare la guerra permanente
globale, ma, come dice Arundhatj Roi, ha reso l’impero nudo. Adesso si tratta di diffondere in modo
capillare la disubbidienza civile al mercato attraverso il boicottaggio economico e le pratiche
quotidiane di ribellione e contestazione. L’impero non si può contrastare con la forza ma con la
determinazione di miliardi di deboli che lo dissolvono dall’interno, obiettando, disobbedendo, cambiando
consumi e modelli di vita.

FIRENZE E NOI.

Ieri ho pensato che Firenze è stato il nostro trionfo (e poi il 15 febbraio il nostro miracolo).
Non il gesto esemplare di poche avanguardie (che pure serve anche quello per lanciare messaggi) ma
l’occasione di partecipare per un milione di persone. Abbiamo dimostrato la forza immensa
dell’unione del popolo della pace e la bellezza di una protesta democratica, pacifica, sicura, gioiosa.

Da Firenze a Roma del 4 ottobre è successo qualcosa che ci ha fatto perdere: siamo come pesci che
hanno perso il contatto con l’acqua in cui devono nuotare. E sono terrorizzata all’idea che le
persone che hanno visto le immagini sugli scontri all’EUR possano aver cambiato idea su di noi. Non
avevamo dimostrato al mondo ed ai razzisti come Oriana Fallaci che siamo l’esatto contrario dei
teppisti, dei devastatori, dei violenti? Non avevamo dimostrato col nostro corteo di 1 milione di
persone che il massacro di Genova era stato provocato dallo Stato e dalle sue forze del disordine? Che
gioia far vedere il nostro amore per Firenze, il nostro amore per la pace, per la libertà dei
popoli, per la giustizia. Ambasciatori di un altro mondo possibile.

Che pena vedere alcuni di noi usare metodi simili a quelli dei nostri avversari! Pensiamo di usare
come leva del nostro successo politico e mediatico la rabbia metropolitana dei ragazzetti di
periferia? Dovrebbe farci paura quella distruttività, dovremmo saperla volgere in nuovo amore. Se non
siamo capaci di produrre subito un messaggio di creatività saremo travolti. Che bel regalo a Oriana
Fallaci e a tutti i razzisti del mondo!!!

Nella Ginatempo