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All’indomani della riabilitazione di Benito Mussolini...
Publie le venerdì 19 settembre 2003 par Open-PublishingAll’indomani della riabilitazione di Benito Mussolini il gioco si fa duro
Puntuale come un orologio svizzero è arrivata la conferma. Per chi ancora non lo avesse capito, i
quattro di Lorenzago non erano andati a fare una scampagnata. Avevano una precisa consegna:
definire un insieme di proposte di modifica costituzionale che fornisse al governo la base per una
concreta iniziativa politica. Rincuorati da periodiche visite dei ministri dell’Economia e delle
Riforme, hanno sfornato in poche settimane idee capaci di sfigurare la seconda parte della Carta del
’47. Queste idee - con un superficiale maquillage rispetto alla versione originaria - sono state
subito tradotte in un disegno di legge che non più tardi di ieri il Consiglio dei ministri ha
approvato. Dal Cadore a Palazzo Chigi in poco meno di un mese, e già l’on. Berlusconi annuncia che il
primo voto parlamentare si avrà entro il 2003. Non è propriamente questa la procedura di revisione
costituzionale prevista dall’art. 138, ma pazienza.
Il merito delle proposte parla chiaro. Il primo fulcro è il forte aumento di potere del presidente
del Consiglio, prontamente ribattezzato Primo ministro. Non ci si lasci ingannare dall’apparente
scomparsa del potere di scioglimento delle Camere su cui i quattro «saggi» avevano inizialmente
puntato. In realtà questo potere gli verrebbe conferito, in quanto gli sarebbe attribuita la
prerogativa di richiedere in modo vincolante al presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera
dei Deputati. Si aggiungano a ciò il potere di nomina e revoca dei ministri e l’elezione diretta
del premier (un unicum al mondo, dopo che anche Israele se ne è sbarazzato), appena mascherata dal
collegamento della candidatura alle coalizioni che partecipano all’elezione della Camera, e si
otterrà un risultato molto netto: il capo del governo avrebbe non solo il potere di nominare e
licenziare i ministri, ma anche di decidere se e quando indire nuove elezioni, anche contro il parere
della propria maggioranza. In sostanza, ove approvata, questa riforma ridurrebbe di molto le funzioni
di equilibrio istituzionale e di garanzia oggi affidate alla Presidenza della Repubblica e
cancellerebbe qualsiasi residuo di autonomia del Parlamento, messa già oggi a dura prova dagli effetti
del maggioritario e dall’abuso dello strumento della delega. Il Primo ministro, eletto
plebiscitariamente, diverrebbe padrone del governo e della Camera e cumulerebbe una quantità di potere tale da
trasformarlo in un sovrano assoluto.
Il secondo asse intorno al quale ruota il progetto è lo smembramento dell’unità del Paese, con
buona pace per l’«interesse nazionale della Repubblica» fatto valere a parole per accontentare
centristi e nazional-alleati. Il punto non è tanto l’attribuzione di competenze regionali al Senato (che
anzi rischierebbe di restare disoccupato, dovendosi limitare alle norme d’indirizzo della
legislazione concorrente delle Regioni), quanto la miscela esplosiva di regionalizzazione della Consulta e
«devoluzione». Il ddl sancisce le «competenze esclusive» delle Regioni e prevede che il Senato
federale possa accogliere anche leggi regionali contrastanti con l’interesse nazionale. Riguardo alla
riforma della Corte costituzionale (19 membri di cui 9 nominati da Camera e Senato), essa mira a
imbrigliare il più importante organo costituzionale posto a limite dell’arbitrio dell’esecutivo e a
salvaguardia dello Stato di diritto.
Senza contare che, come ha di recente osservato Gianni
Ferrara, la rappresentatività di un organo giurisdizionale - autentico trionfo della tanto sbandierata
«politicizzazione della giurisdizione» - costituirebbe di per sé un’aberrazione giuridica e
politica.
Di fronte a tanto scempio, c’è solo da sperare che le opposizioni non si dividano tra quanti
lanceranno l’allarme per i rischi che corre la democrazia italiana e quanti invece pensano che questo è
solo un bluff, che stavolta il governo non oserà fare quel che promette. Con proposte del genere,
ufficializzate all’indomani della riabilitazione di Benito Mussolini, il gioco si fa davvero duro.
Non è difficile immaginare in quale Paese ci ritroveremmo se queste "riforme" costituzionali
venissero approvate insieme alla Frattini e alla Gasparri, dopo che sono diventati leggi dello Stato la
Bossi-Fini, la Moratti, il Libro Bianco, la Patrimonio Spa, la Cirami e il «lodo» Schifani.
È
dunque un bene che finalmente il dialogo a sinistra sia ripreso, rimettendo con forza la questione
democratica al centro dell’agenda politica dell’opposizione. A questo punto è urgente chiamare alla
mobilitazione tutti gli italiani ai quali sta a cuore la Repubblica nata dalla Resistenza
antifascista.
Davvero non è più esagerato dire che è in gioco la democrazia di questo Paese, e che per la
sua difesa non c’è più tempo da perdere.