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«Calci agli arrestati del G8» Le testimonianze dei "pentiti" sulla caserma di Bolzaneto.

Publie le giovedì 22 gennaio 2004 par Open-Publishing

I poliziotti: «I superiori ci dissero di stare zitti»

«Non potevo più tacere quelle violenze»
G8, botte ai no global. Sono già cinque i poliziotti che hanno deciso di
collaborare: «I capi ci dissero di vivere tranquilli»
Bolzaneto, un agente racconta il "pentimento" «Ho parlato solo adesso
perché ero a disagio»

Genova «Perché non ho detto subito queste cose, quando sono stato
interrogato la prima volta? Perché ero in difficoltà a raccontare cose che
avrebbero potuto mettere in difficoltà colleghi, amici. Anche adesso mi
sento a disagio. Ma non posso più stare zitto». E’ la storia di un
pentimento, giunto dopo quasi tre anni. E’ la storia vera dell’inchiesta
sulle violenze a Bolzaneto, la caserma-carcere del G8. L’inchiesta sulle
botte ai no global arrestati, che stava navigando verso una fine
ingloriosa, con una messe di richieste di archiviazione. Poi è arrivato il
racconto di due poliziotti e le indagini sono ripartite, coinvolgendo nomi
di spicco dell’amministrazione penitenziaria.

Sono un assistente alle scorte in servizio nel carcere di Marassi, a
Genova, e un sovrintendente di Savona, i due "pentiti" che hanno vuotato il
sacco davanti ai magistrati. Che hanno raccontato le violenze, le
prevaricazioni, gli atteggiamenti "da esaltati" che a Bolzaneto, nei giorni
del G8, erano divenuti regola. A loro si è poi aggiunto un altro
assistente, in servizio nel penitenziario di Imperia. E poi ci sono state
le ammissioni di altri due agenti, interrogati a Palermo, all’Ucciardone,
dai magistrati genovesi. Ma attenzione: già nell’ottobre dell’anno passato,
nel corso del drammatico interrogatorio di un ispettore superiore del
dipartimento penitenziario, il muro di silenzio si era incrinato.

I magistrati stavano indagando sui "fantasmi" di Bolzaneto. Così li avevano
definiti nelle loro riunioni. Agenti le cui fattezze, le cui divise
(diverse dagli altri poliziotti), i cui comportamenti erano stati descritti
dai manifestanti arrestati. Ma la loro presenza a Bolzaneto non era
attestata da alcun documento ufficiale, da nessuna lista. I sospetti degli
inquirenti erano concentrati sugli appartenenti al Sct, il Servizio
Centrale di Traduzioni. Ma, nelle relazioni consegnate alla magistratura da
Alfonso Sabella (oggi magistrato antimafia a Firenze, all’epoca ispettore
del dipartimento penitenziario) il ruolo del Sct è limitatissimo: nei
numeri e nei tempi di permanenza a Bolzaneto.

Per avere qualche spiegazione in più, i magistrati del pool G8 convocano
nuovamente i poliziotti "pentiti", già sentiti all’inizio dell’inchiesta.
Vogliono solo chiarire qualche dettaglio di un episodio specifico. Invece
la sorpresa: «Ora non possiamo più stare zitti».
Gli agenti del Sct entrano pesantemente nel campo dell’inchiesta. Per
questo, dopo l’ultima tranche di indagine, vengono indagati anche un
generale, Oronzo Doria e due capitani. Tutti fanno capo ai servizi di
traduzione. Ultimo della lista, lo stesso Sabella. Nei giorni successivi al
G8 il magistrato era stato intervistato dal Secolo XIX. Aveva spiegato: «A
Bolzaneto non è accaduto nulla di irregolare».

Ora, invece, si sottrae alle
domande: «Adesso tutto è diverso - spiega - adesso devo tutelare me stesso».
Che cosa raccontano i poliziotti "pentiti" ai magistrati? Alcuni passi dei
verbali. «In realtà ci eravamo già dissociati all’epoca dal comportamento
di altri colleghi. Avevamo notato che molti di loro erano degli esaltati,
volevamo prendere le distanze da quello che stavano combinando». Qualcun
altro segnala comportamenti violenti a un suo superiore. «Ma lui mi ha
risposto: impara l’undicesimo comandamento, fatti i c... tuoi». Ancora:
«C’era casino, tanto casino. Nel piazzale, nelle stanze». Casino fino a che
punto? «...arriva un cellulare, gli arrestati scendono, devono passare tra
due cordoni di poliziotti. C’è chi li prende a sberle, chi dà dei pugni,
calci, chi gli fa lo sgambetto».

Ancora: «Non andava bene, non andava bene
così. Abbiamo chiesto ai capi che cosa dovevamo fare, ci hanno risposto:
limitatevi a star lontano dagli esaltati».
Anche il "dopo Bolzaneto"è all’insegna dell’omertà. «Volevamo fare
qualcosa, ci hanno sempre consigliato di lasciar perdere, di vivere
tranquilli, di dire che non sapevamo nulla, che non avevamo visto nulla».
Così, per quasi tre anni, i magistrati genovesi raccolgono dichiarazioni
con lo stampino: «A Bolzaneto non è successo niente».

Poi, improvvise, le
nuove dichiarazioni. Commenta un magistrato del pool: «Ora il quadro è
finalmente più chiaro. Non tutti i poliziotti, a Bolzaneto, sono stati
colti dal delirio di violenza. Qualcuno, però, ha picchiato. E tutti
indistintamente, dopo, hanno fatto scattare un meccanismo di copertura,
senza isolare i violenti, senza denunciarli. Ripetendo all’ossessione la
stessa litania: non c’ero, non ho visto nulla, non è successo nulla».

dal secolo xix