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MANIFESTO 20-9
Cambiate la Carta
ROSSANA ROSSANDA
Vengono al pettine i nodi della Carta predisposta dalla Convenzione europea. Finora si era
discusso fra i maggiori intellettuali soltanto del preambolo: è vero che a dar sale a quelle insulse
pagine ci si è messo il Vaticano, fra Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger, e dietro a loro i
cattolici doc come Casini, i quali al fine di assicurare i privilegi della loro religione
curiosamente insistono perché siano dichiarate cristiane le radici del libero mercato, vera spina dorsale
dello storico testo. Ad ogni modo la prima questione che esplode fra i suoi stessi sostenitori è chi
deciderà in ultima istanza: tutti gli stati che fanno parte della Ue o una loro maggioranza? Il
presidente della Convenzione, il francese Giscard d’Estaing, sostiene che ogni singolo paese può
opporsi al passaggio di questa o quella misura. Il leader della Commissione, Romano Prodi, obietta
che così non si riuscirebbe a decidere mai nulla. Sotto la veste alquanto ipocrita - «chi è
veramente europeo e chi finge di esserlo» - viene fuori la difficoltà di fare dell’Europa monetaria
un’Europa politica, i 25 paesi che ne faranno parte essendo assai diversi per grandezza, superficie,
storia, identità, lingua e per l’interesse stesso che li porta a farne parte.
Soprattutto, alla luce dell’intervento in Iraq e della «guerra infinita» di Bush, non si capisce
come potrebbe l’Europa parlare in politica estera con una voce unica: se si andasse a maggioranza
dopo l’ingresso dei paesi dell’Est, tanto varrebbe mettere agli esteri europei un funzionario del
Dipartimento di Stato. Ma, obietta nuovamente Prodi a Francia e Germania, si potrebbero imporre
maggioranze molto qualificate attraverso un incrocio fra soggetti statuali e numero di abitanti -
tanto qualificate da garantire i paesi maggiori di non essere trascinati per i capelli in avventure
non condivise (i minori non sarebbero garantiti di nulla se non si accordano con un grande).
Sarebbe una versione un po’ sorniona del Consiglio di sicurezza.
Insomma, quel che emerge sono gli scogli, aggirati finora dai sostenitori dell’Europa monetaria,
del transito da uno spazio di libero scambio e moneta unica a una entità politica comune. E questo
anche perché, non a caso, nessuna delle popolazioni è stata coinvolta nella costruzione
dell’edificio. Mai una unità politica è nata in modo così manifestamente antidemocratico, su semplice
indicazione dei costituenti da parte dei governi che fra l’altro cambiano. E sarebbe assai poco decente
cercar di sanare il difetto d’origine sottoponendo a referendum un malloppo enorme, causidico e
illeggibile quale la Carta finora partorita.
La seconda questione bollente è stata sollevata finalmente dai sindacati: la normalmente
prudentissima Ces ha indetto una giornata di manifestazione di protesta il 4 ottobre perché si è accorta,
sia pur tardivamente, che la Carta è poco più di un assemblaggio dei trattati di Maastricht e di
Amsterdam, con quello di Nizza aggiunta a mo’ di coda. I quali trattati non si pongono l’obiettivo
del pieno impiego e sottopongono tutti i diritti sociali al principio del pareggio tendenziale dei
bilanci imposto dal Patto di stabilità. Non è certo ricorrendo alla Carta europea che potremmo
difendere l’articolo 18 né un immigrato potrebbe entrare nei sacri confini del nostro continente
senza essere preliminarmente in possesso di un contratto di lavoro. Per istruzione e sanità vale il
principio di sussidiarietà, secondo il quale il pubblico può arrivare soltanto dove il privato non
arriva. Leggere per credere.
Questa Carta s’ha da emendare. E non poco. Berlusconi dice di no, la vuole sancita entro il 2003,
cioè sotto il suo semestre di presidenza europea. E il popolo di sinistra? Salvo i no global tutto
il resto dorme? Qualcuno suoni la sveglia.