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«Cambio di regime necessario a Cuba»

Publie le domenica 12 ottobre 2003 par Open-Publishing

George W. Bush usa toni inediti per minacciare il governo dell’Avana. E prepara un piano di emergenza per il dopo Castro
«Cuba sarà presto libera». Parola di George W Bush. Pesanti minacce sono piovute ieri sull’Avana dal Giardino delle Rose, con toni mai usati prima nelle pur non lievi invettive di George Bush contro il regime castrista.

«Il governo non cambierà di sua libera scelta, ma Cuba deve cambiare. Perciò ho preso iniziative per affrettare l’avvento di una nuova Cuba, libera e democratica» ha annunciato in lingua spagnola il presidente degli Stati Uniti davanti a una platea affollata di politici eletti dalla lobby anticastrista dei ricchi cubani di Miami.

Verità o propaganda? Di certo al momento si sa solo che una commissione presieduta dal segretario di Stato Colin Powell ha ricevuto l’incarico di «preparare i piani per il giorno felice in cui il regime di Castro non ci sarà più e la democrazia arriverà nell’isola». Secondo l’agenzia Reuters, che cita fonti della Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno pronto un piano per l’invio di aiuti di emergenza, dando evidentemente per scontata una guerra civile nel dopo Castro.

«Lavoriamo per accertarci che i cubani in fuga dalla dittatura non rischino la vita in mare. Li informeremo delle rotte da seguire per un arrivo sicuro e legale negli Stati Uniti, attraverso una campagna di annunci al pubblico in Florida e nella stessa Cuba» promette il presidente. In realtà ai cubani in fuga è da tempo riservato un trattamento di riguardo dalle autorità della Florida, nemmeno lontanamente paragonabile alla selva di divise e manette che aspetta sulle coste statunitensi i profughi di altra provenienza, haitiani innanzitutto.

Toni da Paese in guerra ha scelto Bush anche nei confronti del nemico interno, delle migliaia di cittadini statunitensi che ignorano i divieti della Casa Bianca e viaggiano verso Cuba passando, quando è necessario, per il Messico e per il Canada. Il dipartimento della sicurezza interna, costituito per prevenire il terrorismo negli Stati Uniti, avrebbe ricevuto ieri l’incarico di arrestarli. Verità o guerra di nervi? «Una parte crescente del turismo a Cuba è attirata da illeciti commerci sessuali, una moderna forma di schiavitù incoraggiata dal governo cubano». Così il presidente giustifica il suo editto.

«Ho offerto una via di uscita al dittatore - ha tuonato Bush - ma lui ha risposto alle nostre iniziative diplomatiche con una sfida sprezzante. Le elezioni a Cuba si svolgono ancora in modo vergognoso, gli oppositori si organizzano a loro rischio e pericolo».

Il discorso del presidente è stato pronunciato nel giorno in cui l’Avana festeggiava l’indipendenza dalla Spagna, ed era fitto di premurosi riferimenti ai cubani di Florida in attesa della rivincita. In luglio la folla di Little Habana, il quartiere cubano di Miami, scese in piazza contro la decisione del governo di rimpatriare quindici cubani che avevano dirottato una nave per fuggire dall’isola. Rimproveravano alla Casa Bianca di essersi limata a chiedere a Castro la garanzia che i quindici non sarebbero stati condannati a morte. Abituata a vedere soddisfatto ogni capriccio, compresa l’ospitalità cinque stelle garantita a qualsiasi bestione di estrema destra presentato come profugo di riguardo, la comunità temette per qualche ora che alla Casa Bianca stesse per tornare di moda la politica di dialogo con Cuba sperimentata nell’era Clinton. La protesta di Little Habana preoccupò tanto i politici di Florida che Jeb Bush, governatore dello Stato, se ne uscì pubblicamente con parole di rimprovero verso il fratello presidente.

Ora che le elezioni si avvicinano e che George Bush ha bisogno più che mai dei voti della Florida per essere confermato in carica nel novembre 2004, le minacce verso Castro - si può supporre - fioccheranno. Toni da crociata contro il governo cubano sono utili a mobilitare la destra senza bisogno di mobilitare le truppe, e tornano comodi anche per affossare le brutte notizie in arrivo dall’Iraq. Per non parlare della crisi economica.

La pesante uscita di Washington prevede anche un passaggio sulle armi proibite. La scorsa settimana Roger Noriega, sottosegretario di stato per l’America Latina, ha sostenuto davanti a una commissione del Congresso che Cuba «ha un programma per lo sviluppo di armi biologiche e fornisce ad altri stati avventuristi biotecnologie per un doppio uso, civile e militare». Castro ha risposto additando gli Stati uniti come il Paese della menzogna: vi comportate «come cow boys senza legge».

Per capire quanto di recitato e quanto di nuovo ci sia in questo copione vecchio di quarant’anni, sarà utile tenere d’occhio la reale vigilanza statunitense sui connazionali villeggianti in partenza per Cuba. All’aeroporto José Martì dell’Avana, comunque, l’area riservata agli scambi discreti quanto fitti tra l’isola e gli Stati Uniti non risulta in via di smantellamento.

Angela Nocioni