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Camilo Mejia, disertore americano

Publie le lunedì 24 maggio 2004 par Open-Publishing

La sentenza del «disertore» Mejia
Colpevole. La corte marziale condanna il sergente Camilo Mejia, che
aveva rifiutato di tornare in Iraq, per diserzione e «condotta
disonorevole».

E’ la stessa sentenza data a Sivitz, aguzzino di Abu
Ghreib. «Non ho trovato una sola ragione per continuare a uccidere in
Iraq», ci ha detto Mejia

PATRICIA LOMBROSO

NEW YORK

«Guilty», colpevole. L’accusa è quella di diserzione e «Absent for
omission of harassment», «assente per evitare i pericoli (della
guerra)». E’ stato questo il verdetto emesso ieri dai sei membri della
giuria della Corte marziale a Fort Stewart, in Georgia, nei confronti
del sergente Camilo Mejia. La sentenza è un anno di carcere e la
radiazione per «disonorable conduct». Il sergente Mejia aveva fatto
obiezione di coscienza e aveva rifiutato di «continuare a partecipare
alla serie di abusi da noi perpetrati nei confronti della popolazione
irachena», come ha detto al manifesto prima del processo.

Paradossalmente ha ricevuto la stessa sentenza valsa per l’aguzzino di
Abu Ghraib, in Iraq, Jeremy Sivitz. «Il processo al sergente Mejia è
riuscito a eliminare dalla corte marziale tutte le questioni più
scabrose della guerra in Iraq», ci ha detto da Fort Stewart Todd Ensign,
direttore dell’organizzazione Citizen Soldiers per la protezione degli
obiettori di coscienza sin dalla guerra in Vietnam. «La stampa è messa
sotto silenzio, allontanati i dimostranti, le famiglie dei 7.500 soldati
che non vogliono tornare in Iraq.

Per l’esercito americano, il sergente
Mejia è colpevole di non essere salito sull’aereo militare il 16 ottobre
scorso che lo riconduceva sul campo di battaglia».

«Non ci arrenderemo. Ricorreremo in appello», incalza fuori dal
tribunale Norma Montillo, zia di Mejia, tra la folla e gli striscioni
«Free Camilo».

Quale che sia la sentenza per il sergente Camilo Mejia - scriveva ieri
Bob Herbert in un editoriale sul New York Times - «le questioni che ha
sollevato vanno prese sul serio dall’intera nazione, che finalmente
comincia a emergere dalla nebbia della deliberata falsificazione su
questa guerra creata da Bush, Rumsfeld, Wolfowitz e altri».

«Qui a Fort Stewart si sta processando l’uomo sbagliato», ha tuonato in
aula il suo difensore Daniel Ellsberg, il vecchio leone che con la
pubblicazione dei Pentagon Papers nel 1971 aveva contribuito ad avviare
la fine della guerra del Vietnam. «Si deferisce alla corte marziale il
soldato Mejia per essersi rifiutato di commettere proprio i crimini che
violano le convenzioni di Ginevra e di Norimberga». Non Mejia, ha detto
Ellsberg, «ma Bush e Rumsfeld dovrebbero apparire davanti a un tribunale
internazionale per crimini di guerra; andrebbero soggetti,
costituzionalmente, all’impeachment per "alto tradimento" e violazione
dei principi dettati per la presidenza».

L’imputato Mejia, in aula, ha
ascoltato il giudice dell’accusa gridare: «Ogni soldato che abbandona il
campo di battaglia e diserta le sue responsabilità è un traditore». Ha
risposto: «Essere contrario alla guerra non significa essere
antiamericano. Sono stato costretto a bloccare, per sopravvivere,
emozioni di orrore, sangue, disgusto per quello che stavo facendo alla
popolazione irachena.

Abbiamo ucciso esseri umani. Il mio rifiuto a
tornare in Iraq con la mia unità è dovuto alla verità che non ho trovato
una sola motivazione ragionevole per continuare ad uccidere in Iraq. Non
va fatto pagare ai soldati l’onere di questa guerra illegale».