Home > Caro Sergio, perché non parli? di Cesare Salvi

Caro Sergio, perché non parli? di Cesare Salvi

Publie le lunedì 5 maggio 2003 par Open-Publishing

Caro Cofferati,
da quando è stata resa nota l’ammissibilità del referendum per
estendere
l’articolo 18, nei resoconti delle iniziative da te svolte compare
spesso
questa notizia: qualcuno dei presenti chiede la tua opinione, tu
rispondi
che il referendum è un errore politico e che i promotori dovrebbero
«fermarsi a riflettere». Ciò consente (legittimamente) ai quotidiani di
titolare «Cofferati contro il referendum» anche se non ti esprimi sul
voto.
Ne deriva qualche sconcerto tra chi si domanda se ciò preluda davvero a
una
«union sacrée» tra la destra e una parte della sinistra per invitare al
voto
negativo o ad andare al mare il giorno del referendum. Sono tra i
promotori
del referendum, insieme a numerosi compagni dei Ds - tra i quali cinque
componenti del Direttivo nazionale - ai Verdi, a settori consistenti
della
Cgil, a partire dalla Fiom.
Cito persone e movimenti molto vicini a te nell’ultimo biennio, e
quindi non
sospetti di aver voluto, tutti insieme, e magari d’intesa con
Berlusconi
(come ipotizzato da Eugenio Scalfari) organizzare un complotto contro
Cofferati. Per questo ti chiedo: quando domandi ai promotori di
«fermarsi un
momento a riflettere», che cosa ci chiedi esattamente?
A differenza di te, non credo affatto che promuovere il referendum sia
stato
un errore politico. Ma non è questo il punto, adesso. Adesso il
referendum
c’è. Ed anche nella scorsa primavera, del resto, era difficile
immaginare
che non ci sarebbe stato, vista la determinazione e il peso delle forze
allora favorevoli a raccogliere le firme.
Chiederti dunque che cosa intendi, quando inviti i promotori a
riflettere,
non è una domanda retorica. Ci interessa davvero saperlo. Sai bene che
non è
nella disponibilità giuridica (prima ancora che nella volontà politica)
dei
promotori revocare la richiesta, che è stata sottoscritta da 800 mila
cittadini. Ci si chiede l’impegno per una iniziativa legislativa?
Alcuni di
noi l’hanno da tempo avviata in Parlamento (con la presentazione di un
disegno di legge), altre se ne stanno aggiungendo. Il Comitato
promotore
nella sua conferenza stampa ha detto di non essere affatto contrario ad
una
legge che anticipi il referendum. Sappiamo tutti, però, che con questo
governo molto difficilmente vi sarà una qualsivoglia legge a favore dei
lavoratori. È quasi sicuro, insomma, che in una prossima domenica
primaverile il referendum ci sarà.
Permettimi, allora, di rivolgere a te (e a tutti coloro che, dalle
opposizioni, hanno fin qui espresso contrarietà o perplessità sul
referendum) la stessa richiesta che tu rivolgi ai promotori: fermarsi
un
momento a riflettere.
Oggi il tema non è più se dire sì o no alla decisione di promuovere il
referendum. Oggi si tratta di dire sì o no al quesito referendario. E
questo
quesito divide, solo se ci si vuole dividere.
Uno dei punti di forza della tua battaglia è sempre stato l’invito a
guardare al merito, prima di ogni considerazione tattica e calcolo di
convenienza politica. E proprio l’articolo 18 ha costituito il simbolo
del
peso decisivo da dare al merito delle questioni, ai principi.
Dopo anni nei quali dell’articolo 18 hanno discusso e trattato partiti,
sindacati, opinionisti, oggi la decisione è rimessa ai cittadini.
Saranno
loro a decidere se il diritto alla reintegra in caso di licenziamento
illegittimo è giusto, oppure no; e in caso positivo ad estenderlo ad
alcuni
milioni di lavoratori ai quali oggi non è riconosciuto.
Se si sta al merito, ai principi, non c’è ragione di dividersi a
sinistra,
dopo le grandi battaglie dell’ultimo anno. E c’è invece finalmente la
possibilità (non ne vedo altre in questa legislatura: se mi sbaglio, si
dica
quali sono) di battere Berlusconi su un punto che divide (e qui sì la
divisione è giusta!) destra e sinistra: i diritti del mondo del lavoro.