Home > Ciampi stronca le parole di Berlusconi su Mussolini
Ciampi stronca le parole di Berlusconi su Mussolini
Publie le sabato 11 ottobre 2003 par Open-PublishingMANIFESTO 11-10
«Fascismo, il giudizio l’ha dato il popolo»
Ciampi stronca le parole di Berlusconi su Mussolini
COSIMO ROSSI
«Non tocca a me fare lo storico. Ma a me pare che il nostro popolo il giudizio sul fascismo l’ha
dato e lo ha vissuto». Dopo aver lasciato passare il ciclone delle polemiche, Carlo Azeglio Ciampi
interviene con la solennità che gli è consona a stroncare il giudizio «benevolo» su Mussolini
espresso dal premier Silvio Berlusconi nell’ormai celebre intervista allo Spectator che aveva dato
nuovo smalto alla prorompente smania revisionista. Il dittatore che per Berlusconi «non ha mai
ammazzato nessuno» e semplicemente «mandava la gente a fare vacanza al confino», per il capo dello stato
era invece l’uomo che ha rivendicato «politicamente» l’uccisione di Matteotti e che si è messo
così a capo di una dittatura assassina. «In particolare la mia generazione, che ha vissuto quella
stagione - ricorda Ciampi -, desidera che la memoria di quel che è accaduto sia presente ai giovani
perché non abbia a ripetersi. Perché questo è l’insegnamento che bisogna trarre, l’insegnamento che
bisogna trarre in positivo per il futuro». Anzi, «per sempre». Le parole di Ciampi suonano una
porta in faccia al revisionismo imperante che il Quirinale sembra aver studiato soppesato con cura.
E
lo conferma l’occasione scelta per pronunciarle: ovvero un solenne omaggio alla tomba di Giacomo
Matteotti, nel piccolo cimitero di Fratta Polesine, inserito nel programma della visita del capo
dello stato in Veneto. Proprio l’assassinio del leader socialista - rapito e pestato a morte da una
squadraccia fascista il 10 giugno 1924 sul lungotevere di Roma - insieme a «quello che accadde
politicamente, con l’assunzione delle responsabilità politiche da parte del capo del governo di
allora segna la fase conclusiva del passaggio dall’Italia liberale alla dittatura», ricorda il capo
dello stato a proposito delle responsabilità dirette di Benito Mussolini.
Nel Polesine Matteotti è stato amministratore di diversi comuni, dirigente di leghe socialiste e
lotte contadine. Qui era stato eletto deputato la prima volta nel 1919 e aveva visto e denunciato
le violenze e le minacce squadriste, di cui era stato lui stesso oggetto, tanto da dover disertare
il proprio collegio nel 1921. Rieletto nel 24 nella circoscrizione Padova-Rovigo, a maggio
pronunciò alla camera il celebre discorso in cui accusava i brogli, le violenze e le intimidazioni del
partito fascista. Un'orazione che gli costò il pestaggio a morte il 10 giugno dello stesso anno.
«Matteotti è un martire della libertà - ricorda Ciampi al termine della sua visita alla tomba -
perché aveva sempre combattuto, nelle piazze e in parlamento, con coraggio, per la libertà». Ma non
fu il solo. Perché «altri assassinii di avversari politici segnarono le varie tappe dell'avanzata
della dittatura fascista», insiste il capo dello ricordando la morte di don Giovanni Minzoni,
ucciso a bastonate nell'agosto del 1923, e i fratelli Carlo e Nello Roselli, assassinati in Francia
nel 1937.
Come dimenticare, chiede retoricamente il capo dello stato, quella violenza e «i terribili anni
della guerra e della dura lotta di liberazione?». Ciampi si risponde che non si può dimenticare
«tutto ciò che il nostro paese ha passato, tutto ciò che ha subito in termini di distruzioni, di danni
materiali e morali e che abbiamo ben presente». Si può dunque accettare un revisionismo che vuole
attenuare i giudizi sul fascismo giocando sui paragoni con altri totalitarismi, incalzano i
cronisti? «Non voglio parlare di revisionismo, ma di fatti - risponde Ciampi - Né tocca a me fare lo
storico. A me pare che il nostro popolo, che il fascismo l'ha vissuto, il giudizio l'ha dato e lo ha
vissuto». E Ciampi lo interpreta alla sua maniera, tessendo in ogni occasione un filo che lega il
Risorgimento alla lotta di Liberazione e alla Costituzione repubblicana all'insegna della
«libertà».
E il capo dello stato lo ripete anche al termine della sua visita alla tomba di Matteotti. «Non
dimentichiamo quelle che sono le scritte più grandi in vetta al Vittoriano - insiste fin troppo
solenne -
Alla libertà dei cittadini, all’unità della patria’».