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Ciao Jacopo, piccolo martire di una società ipocrita, crudele, infame!
Publie le domenica 9 maggio 2004 par Open-PublishingLa normalità che uccide
Ora che tutto è finito, la tragedia conclusa, gli spettatori a casa davanti alla tv, rimani solo tu, Lella, mamma di Jacopo.
Io non so il tuo vero nome, per me sei Lella.
Di te so poco, quello che i giornali hanno riportato, ciò che tu avresti dichiarato.
Hai 18 anni, sei operaia, una donna proletaria, una di noi.
La tua è stata definita una famiglia "normale". Niente droga, nessun precedente penale, nessun problema, nessun disagio sociale. Come la maggior parte delle famiglie, persone normali. Normali in quanto vivono una vita ragionevolmente adattata all’interno del sistema: non si ribellano, non criticano le istituzioni, rispettano le leggi, lavorano sodo e sono soddisfatte del loro lavoro, sono leali verso la ditta, economicamente autosufficienti, non chiedono nulla di troppo agli enti assistenziali e i loro componenti vanno sempre d’accordo. Come la tua: padre, madre, fratelli.
In questa famiglia ’normale’, una brutta notte, hai dovuto partorire il tuo bimbo clandestinamente, sul divano del salotto. Non hai urlato di dolore, Jacopo non avrà, forse, nemmeno pianto quando gli hai tagliato il cordone ombelicale, perchè in quella tua casa di fantasmi, o meglio di zombi, nessuno sapeva.
Nessuno, per nove mesi, ha visto crescere il tuo pancione di mamma: come è possibile, che cosa hai dovuto fare al tuo povero corpo per nasconderlo?
Forse la tua famiglia ’normale’ è cattolica. Si sarà accalorata, quando il parlamento approvò la legge sulla procreazione assistita, a difendere i diritti dell’embrione, a rifiutarsi di ammettere che il feto appartiene alla madre che lo porta. Forse sostiene, come la Chiesa, che il feto ha un’anima a cui si chiudono le porte del paradiso sopprimendolo senza battesimo.
Se è così, l’aborto ti sarà sembrato un crimine, perchè ormai questa legge che abbiamo dovuto imporre con dure lotte, nell’Italia di oggi, è disprezzata, vilipesa, e l’aborto di fatto criminalizzato insieme alle donne che vi ricorrono.
Per nove mesi hai vissuto un incubo, combattuta e tormentata, tra il desiderio spontaneo di tenerti il tuo bimbo e un ambiente ostile, che gli impediva di nascere alla luce del sole.
Ti immagino in quella terribile notte del parto: hai fatto tutto da sola, in un lago di sangue, con terribili dolori, con l’angoscia di una ragazza sola, senza denaro, che si vede costretta ad un crimine per cancellare una ’colpa’ che il suo ambiente, la sua famiglia normale, non le perdonerebbe mai.
Con questa angoscia, in questo stato, sei corsa per la strada, e hai lasciato lì, nel prato, Jacopo, così come era nato ...
Quando ti penso in questa situazione, piango.
Tu vivi a Modena, una grassa, opulenta, città di provincia, terra di motori e di allevamenti ’Treblinka’.
Proprio nella tua città martedì 27 aprile, presso la Fondazione San Carlo, si è tenuto un convegno sul tema "Sviluppo, dieci anni di storia modenese ".
Si è detto in quel convegno che le donne sono le grandi protagoniste dei cambiamenti del decennio, con un aumento della occupazione femminile dal 52,1% al 59,7%. La disoccupazione femminile, mentre in tutto il paese cresce, nella tua città è scesa dal 9,6% al 3,9%.
Modena si vanta della sua Casa delle Donne, in via del Gambero, di prima classe: è ’abitata’: gruppo Donne e Giustizia, Forum Donne e lavoro, U.D.I., Centro per donne che hanno subito violenza.
Non ha avuto bisogno, la tua opulenta città, della proposta Associazione "Salva Bebè" che aiuta le partorienti in difficoltà economica o sociale, che non vogliono i bambini. Diverse ’eminenze’ della tua città hanno sostenuto che in provincia di Modena non vi erano problemi di questo tipo, visto la presenza di adeguati servizi sociali.
A Roma, questa associazione affigge diverse migliaia di manifesti in alcuni quartieri della Capitale e sui cassonetti per far sapere, anche in diverse lingue, alle partorienti in difficoltà l’esistenza di un numero verde a cui rivolgersi. Questo numero è collegato con il Policlinico che è dotato di una ambulanza pronta per casi simili. Le donne vengono raccolte, portate in sala parto dove hanno un percorso che garantisce l’anonimato.
La tua grassa città, ’in cui questi problemi non esistono’ in nome dei suoi servizi sociali, ha rifiutato, nel 2003, la collaborazione con questa Associazione, che, forse, ti avrebbe potuto concretamente aiutare.
Cara Lella, forse questa è la tua vera storia. Il finale della tua tragedia era già scritto nel prologo, nella tua famiglia ’normale’, senza problemi, nella tua città ’normale’, senza problemi.
Ti penso, ti voglio bene, odio profondamente tutta quella ’normalità’ che ha ucciso Jacopo e la tua giovinezza.