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Comunicato assemblea nazionale disobbedienti

Publie le martedì 7 ottobre 2003 par Open-Publishing

COMUNICATO DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEI/DELLE DISOBBEDIENTI
5 OTTOBRE ROMA

Il giorno dopo le grandi mobilitazioni contro il vertice dei capi di stato
e di governo europei svoltosi a Roma, è per noi importante fermarci e riflettere.
La nostra marcia nella moltitudine e come moltitudine di donne e uomini
che non si rassegnano allo stato di cose presenti, è fatta, da sempre, di
lunghi tragitti, corse, e anche momenti in cui ci fermiamo, per pensare,
per guardare indietro e scrutare avanti. Oggi intanto, mancano alcuni compagni
nella nostra comunità, e anche in quelle di altri. Sono coloro che hanno
pagato con l’arresto e le botte il desiderio collettivo di sfidare i potenti.

La prima riflessione è questa: li vogliamo subito liberi, tutti, come anche
vogliamo denunciare i pestaggi operati dalla polizia fin dal mattino del
4 ottobre, durante diverse azioni di lotta. Riflettiamo guardando ciò che
è accaduto nel modo che ci è proprio: i soldati, la polizia, le brutalità
e le violenze sono l’unica risposta che l’Europa dei potenti, che fa parte
del Mondo dei potenti, è capace di dare a chi protesta, sia che si tratti
delle leggi proibizioniste di Fini, sia che questo riguardi l’infame sistema
del lavoro in affitto. Chi si ribella, in mille modi diversi, a queste imposizioni,
alla fine trova una risposta uguale. La repressione, che serve a proteggere
le decisioni antidemocratiche di un potere sempre più sordo e dispotico.
Non dobbiamo mai scordare, che abitiamo un paese dove, oltre alle leggi
neoliberiste che vediamo approvare ogni giorno, oltre all’appoggio incondizionato
alla guerra globale di bush, oltre a tutto ciò che impoverisce milioni di
persone, i servizi segreti vengono utilizzati continuamente per costruire
provocazioni che servono a chi comanda, in un intreccio tra massoneria,
neofascisti e tangentari, di cui il massimo esponente siede alla presidenza
del consiglio. Continuiamo allora a riflettere: c’è forse da stupirsi a
leggere le cronache oggi dei giornali?

Da una parte crediamo di no. Crediamo
che faccia molto più comodo pensare a movimenti spenti e compatibili, buoni
ed ordinati, piuttosto che a un’insorgenza sociale che segnala la nascita
di un’altra Europa. L’altra Europa non era sul palco di Piazza del Popolo,
se a parlare potevano essere solo le burocrazie sindacali, con il loro equilibrismo
continuo che poco serve ( o molto nuoce ) a milioni di lavoratrici e lavoratori.
L’altra Europa non può nemmeno nascere se a parlare, anche all’Eur, fossero
state le compatibilità o la testimonianza. L’altra Europa esiste se esistono
coloro che sono disposti a costruirla, a conquistarla, anche scontrandosi
con l’arroganza dei sovrani.
Ci sono quindi, ci sembra, due tipologie di giornali: quelli che non hanno
capito, e quelli che hanno capito anche troppo bene, e quindi mentono. Ai
primi diciamo cose chiare: rivendichiamo fino in fondo la contestazione
del vertice, in tutte le sue articolazioni, dall’azione alla casa del despota
Berlusconi, all’iniziativa sotto i palazzi del governo, alla violazione
della zona rossa. Eravamo sempre noi, diversi ma uguali, donne e uomini.

Anche altre iniziative di lotta sono state prese dentro questa giornata:
ci sembra che segnalino con forza l’insofferenza contro le politiche di
chi comanda, questo abbiamo da dire, non altro. La storiella che ci sono
azioni buone o cattive è finita. Per noi, oltre al diritto dei movimenti
di autodeterminarsi e di non farsi utilizzare, anche in piazza, da nessuno,
ci sono azioni efficaci o meno, utili o meno, stupide o intelligenti, creative
o scontate, ma queste libere valutazioni vanno fatte fuori dalle logiche
manichee che dividono tutto in bene e male, in violenza e non violenza.
Che c’è di più violento di una guerra? Che c’è di più violento di chi ordina
a migliaia di celerini e carabinieri di usare la forza contro migliaia di
persone che protestano? Che c’è di più violento della morte decretata per
milioni per la fame, la sete, l’aids provocata dalle scelte di ben note
corporations?

Ai giornali che hanno capito anche troppo bene diciamo che non smetteremo
di batterci per l’autonomia sociale, insidiata dall’autonomia del politico.

I movimenti non sono comprimibili dentro le logiche ed i tempi della politica
istituzionale. I movimenti hanno una vita propria, un proprio percorso,
e non possono essere utilizzati solo quando fanno comodo ai partiti e poi,
quando aprono vere contraddizioni, allargando pratiche e comportamenti radicali,
essere tacciati di violenza o teppismo. Questo è ovvio che lo faccia il
ministro degli interni, ma è inaccettibile che lo facciano coloro che parlano
di un altro mondo possibile. Oltre a queste due tipologie di giornali ne
esiste una terza: quella dei falsari. L’Unità di oggi può iscriversi pienamente
a questo club, con il suo articolo completamente falso.
Questo lo diciamo consapevoli di due questioni: il ruolo determinate di
moltissimi operatori dell’informazione da Genova in poi, nel leggere e far
leggere la realtà anche contro chi comanda e anche contro le linee editoriali
dei proprietari dell’informazione; la necessità di attraversare la società
della comunicazione non rinunciando a nulla, dall’uso dei media, alla costruzione
autorganizzata della nostra indipendenza comunicativa.

Ma oggi ci sembra fondamentale parlare soprattutto da movimento a movimenti.
Abbiamo deciso come disobbedienti di praticare l’assedio e il tentativo
di forzare i limiti della zona rossa anche in questo appuntamento, come
a Riva del Garda, perché riteniamo fondamentale, in particolar modo oggi,riproporre
la pratica del conflitto come aspetto centrale della nostra azione politica
e sociale. E’ un conflitto che cerca in tutti i modi di guadagnare consenso
e comprensione attorno a sé, ma non è subordinato per questo, a rimanere
sempre nel terreno simbolico o di indicazione. E’ proprio da questa continua
ricerca, come riuscire ad esprimere ed allargare le pratiche di conflitto
dentro lo spazio politico culturale della disobbedienza e dentro il movimento
dei movimenti, che è nata anche la proposta delle modalità con cui compiere
l’azione dell’Eur, che ha visto promotrici e protagoniste, come sempre d’altro
canto, le compagne. La ricerca, teorica e pratica, di come stare in piazza
in una maniera che non sia né schiacciata sulla testimonianza passiva, né
isolata in forme autoreferenziali ed autistiche, è un lungo percorso, per
niente semplice. Quella dell’Eur è stata una sperimentazione che speriamo
possa contribuire a far discutere e a continuare a sperimentare.

Oggi ci siamo fermati e come abbiamo detto guardiamo indietro. Guardiamo
insieme anche a ciò che è accaduto in questi giorni a Marghera. Ci sono
due aspetti che crediamo vadano comunicati, nell’intento di aprire un confronto
serio ed onesto, sulla base di una condivisione reale di alcuni punti fermi.
Primo aspetto è quello che riguarda certamente il superamento di ideologie
assurde e totalitarie, ancorate ad una storia fatta di tragedie. Crediamo,
e la vicenda delle foibe non ammette giustificazioni di sorta, che sia parte
del nostro patrimonio culturale e politico batterci contro un giustificazionismo
assurdo che può lasciar spazio solo a coloro che non vogliono un altro mondo
possibile, o forse ne vogliono uno peggio di questo.

Secondo punto, per noi fondamentale: non diamo nessuna cittadinanza a pratiche
di criminalizzazione che usano categorie come violenti, squadristi o cose
simili sulla stampa e che contribuiscono a favorire le pericolose attenzioni
inquisitorie da parte di chi ci vorrebbe in galera. Possiamo parlare di
tutto, ma su questo non ci possono essere dubbi. Anche di fronte a scontri
interni al movimento o in questo caso tra movimenti e la federazione di
Venezia di Rifondazione, non possiamo tollerare che ciò venga affrontato
da qualcuno con la logica, già vista nel passato, della criminalizzazione
o peggio della delazione. Questo è il presupposto di partenza e che per
noi vale sempre, anche al futuro, che è indispensabile per continuare a
discutere, a fare pezzi di strada insieme, a confrontarsi. Se questo principio
non fosse comune, non inizieremmo nemmeno a parlare. I tribunali e le loro
logiche devono stare fuori dal movimento.

Guardiamo indietro, ma anche in avanti. Dopo le giornate di Roma torniamo
alle nostre comunità, in attesa di ritrovarci insieme per raggiungere il
Forum Europeo di Parigi. Come sempre non vediamo bene il futuro, non sappiamo
cosa incontreremo riprendendo a camminare. Di certo sappiamo solo che continueremo
ad andare avanti, pieni di difficoltà, di contraddizioni, ma anche felici
di essere ribelli.

5 OTTOBRE 2003 Roma Pianeta Terra