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Contro l’Europa liberale Gli Stati uniti socialisti d’Europa

Publie le martedì 25 maggio 2004 par Open-Publishing

Il movimento operaio europeo deve affrontare una sfida cruciale: quella di proporre un’alternativa anticapitalista ed emancipatrice alla costruzione dell’Europa liberale e alla politica neoconservatrice condotta dalla Unione europea, che punta a spazzare via l’insieme delle conquiste sociali.

La costruzione dell’Europa liberale ha fatto un nuovo passo in avanti con l’allargamento dell’Unione europea (UE). Nel mese di giugno, i capi di Stato della UE adotteranno quella che viene battezzata in modo fraudolento Costituzione, mentre si tratta in realtà di un supertrattato interstatale che sintetizza e legittima l’insieme dei trattati e dei regolamenti adottati negli ultimi anni nel quadro della UE. Di fronte alla nuova offensiva che punta ad eliminare qualsiasi ostacolo alla concorrenza nel quadro «di una economia sociale di mercato altamente competitiva» è necessario che si faccia sentire in queste elezioni una voce che si sforza di dare credibilità alla prospettiva di una Europa democratica al servizio dei lavoratori e dei popoli.
Per molti decenni, dalla vittoria della controrivoluzione staliniana alla caduta del muro di Berlino, l’internazionalismo è stato oscurato dalla divisione del mondo in due campi:
 quello cosiddetto delle democrazie occidentali sostenuto dalla socialdemocrazia e dalle organizzazioni sindacali che influenzava, e che hanno abbandonato qualsiasi prospettiva di rottura con il sistema capitalista;
 quello dell’URSS, dei paesi dell’Est, della Cina, qualificato abusivamente come socialista o comunista, sostenuto dai partiti comunisti e dalla parte del movimento sindacale controllata da questi ultimi, e che non rappresentava in alcun modo una prospettiva emancipatrice.

Socialismo o barbarie

Quel tempo è finito. Le burocrazie dei paesi dell’Est sono state spazzate via e l’imperialismo ha mostrato la sua incapacità di organizzare un mondo in cui regnino la pace, la democrazia e la giustizia. Mai ci sono state disuguaglianze tanto grandi, tra i paesi del Nord e i paesi del Sud, ma anche, all’interno di ogni paese, tra sfruttati e sfruttatori. Mai i diritti democratici sono stati così minacciati e mai la guerre sono state così numerose. L’alternativa «socialismo o barbarie» è più che mai di una bruciante attualità.
Non c’è da aspettarci niente dalla socialdemocrazia, che è stata un elemento attivo nella costruzione dell’Europa liberale. I governi socialdemocratici, anche quando erano ultramaggioritari nelle conferenze intergovernative dei capi di Stato della UE, hanno iniziato e applicato politiche contrarie agli interessi della grande maggioranza delle popolazioni, sia con la privatizzazione dei servizi pubblici o facendosi sostenitori della indipendenza della Banca centrale europea. La stessa considerazione vale per l’elaborazione della nuova Costituzione, per la quale alcuni dei suoi esponenti hanno avuto una parte di primo piano. I deputati europei del Partito socialista francese hanno sempre votato sulle questioni essenziali come i loro «compagni» della socialdemocrazia tedesca di Schröder o inglese di Blair, ma anche come i loro «avversari», e nondimeno «colleghi», dei partiti della destra liberale.

Neanche c’è una maggiore opposizione coerente da parte dei partiti verdi e dei partiti comunisti. I primi non esitano (il partito verde tedesco di Cohn-Bendit e di Fischer è alla testa di questo orientamento) a difendere la nuova Costituzione con il pretesto che questa conterrebbe elementi progressisti, in particolare permettendo di contestare l’egemonia politica, economica e militare degli Stati uniti. Come se l’Europa stessa non fosse imperialista, non partecipasse al saccheggio economico dei paesi del Sud, e non fosse fonte di guerra nel mondo. Quanto ai partiti comunisti e alle loro diverse correnti, se il loro orientamento è eterogeneo, andando dall’accettazione del quadro istituzionale dell’Europa quale esiste attualmente a posizioni francamente nazionaliste e reazionarie, si trovano tutti d’accordo per concludere accordi di governo con la socialdemocrazia non appena ne hanno la possibilità, il che peraltro dà poca credibilità alle loro critiche sulla costruzione di una Europa liberale.
Sul versante delle grandi organizzazioni sindacali la constatazione è drammatica. La Confederazione sindacale europea (CES), che raggruppa le principali confederazioni dei paesi membri dell’Unione europea, non ha dato vita, a parte qualche iniziativa congiunturale e senza sbocchi, ad alcuna mobilitazione, alcuna lotta conseguente su scala europea né contro la privatizzazione dei servizi e delle imprese pubbliche, lo smantellamento delle pensioni, e della sanità pubblica, né contro i licenziamenti. I suoi dirigenti preferiscono la collaborazione quotidiana con la Commissione di Bruxelles e con le organizzazioni padronali europee, accontentandosi delle prebende che questi ultimi gli accordano per comperare la loro inazione e la loro accettazione dell’ordine stabilito.

Chiarificazione indispensabile

Questa campagna elettorale deve essere l’occasione per operare le chiarificazioni politiche necessarie per dare tutto il suo senso alla convinzione largamente condivisa che un’altra Europa è possibile e alla prospettiva di una Europa dei lavoratori.
La prima chiarificazione consiste nell’affermare senza ambiguità che ogni progresso in questo senso implica la rimessa in discussione dei trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza e il rifiuto della nuova Costituzione, totalmente inemendabile. Questa sistematizza In effetti la politica liberale di rimessa in discussione del diritto al lavoro, di smantellamento dei servizi pubblici della loro apertura alla concorrenza e della loro privatizzazione già realizzata o pianificata, della cancellazione dei diritti collettivi e, complemento indispensabile a tutto ciò, di ipertrofia dell’apparato di repressione legittimato in nome della lotta al terrorismo. Infine, essa iscrive la politica estera europea in modo assolutamente chiaro nel quadro dell’Alleanza atlantica e disegna i contorni di un’Europa potenza, basata sullo sviluppo delle sue capacità militari. E se a tutto ciò si aggiunge che l’elaborazione e la messa in funzione del trattato costituzionale sono state fatte in maniera totalmente antidemocratica, senza la possibilità di scelta tra diversi progetti discussi pubblicamente e sottomessi al voto popolare in ciascun paese della UE, ci sono tutti gli elementi per respingere il progetto di Costituzione che mette insieme liberalismo economico e militarismo imperialista.
Ma un «no» di sinistra non basta da solo a dare consistenza a un orientamento coerente rispetto ai partigiani del liberalismo. È altrettanto necessario definire un piano di rivendicazioni d’urgenza su scala europea che permetta la soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni di tutti gli sfruttati e di tutti gli oppressi e di determinare «i mezzi necessari alla loro applicazione effettiva, che si tratti del controllo dei mezzi necessari alla loro messa in opera, o delle definizione delle leve di potere che permettano la loro realizzazione». È un modo di ridare in qualche modo corpo a «un inizio di concretizzazione della prospettiva degli Stati uniti socialisti d’Europa nelle condizioni politiche ed economiche attuali. (François Chesnais, articolo per il prossimo numero della rivista Carré rouge: http://www.carre-rouge.org)
La logica che deve sostenere questo piano d’urgenza (leggere il riquadro che segue) è quella «del primato del diritto all’esistenza sul diritto di proprietà, del servizio pubblico e dell’appropriazione sociale sull’interesse egoistico e la proprietà privata, della solidarietà sulla guerra di tutti contro tutti.» (Introduzione del numero 9 di ContreTemps: "L’autre Europe, pour une refondation sociale et démocratique" - L’altra Europa, per una rifondazione sociale e democratica").

Questo implica non solo una (ri)appropriazione dei servizi pubblici che devono essere estesi ed organizzati su scala del continente, ma anche dei grandi gruppi industriali e finanziari, onnipotenti in settori decisivi come l’energia, l’armamento, la salute, i trasporti o il credito. Una tale appropriazione, senza la quale è illusorio credere che sia possibile porre dine allo sfruttamento, alla concorrenza reciproca tra i lavoratori, ai disastri ecologici, alle guerre, implica l’esproprio senza indennità dei detentori dei grossi pacchetti azionari e delle grandi fortune familiari che decidono la sorte degli abitanti del pianeta. Cosa che poi non sarebbe altro che un atto di giustizia, dato che, come cantiamo nelle piazze, «tutto quello che hanno lo hanno rubato».

Rottura necessaria

Una simile operazione di rottura con il quadro delle istituzioni e dei trattati europei, e di rimessa in discussione del sacro diritto di proprietà privata, potrà essere attuata solo se i lavoratori salariati prenderanno realmente in mano i loro affari, si impadroniranno dei luoghi di potere e di decisione e istituiranno un governo al loro servizio. Una simile prospettiva può apparire illusoria o fuori portata nell’immediato, però è la sola realistica, e sarebbe la peggiore illusione credere che il ritorno di governi socialdemocratici, aperti o meno ad altre componenti della sinistra, permetterebbe di porre un freno alla politica di regressione sociale che si aggrava di giorno in giorno.
Da qualche anno cominciano a emergere embrioni di alternativa. I Forum sociali europei hanno permesso la costituzione di un quadro di discussione, di confronto ma anche di azione su scala europea. Si sono costituite reti come le marce europee, i «senza voce» (sans-papiers /immigrati clandestini - lett. senza documenti), senza casa, senza lavoro), la Marcia mondiale delle donne, coordinamenti di organizzazioni sindacali in settori come i trasporti, l’energia o la sanità, spesso per iniziativa di sindacati come SUD in Francia o i Cobas in Italia. Si sono fatti i primi euroscioperi. Sul piano politico, le riunioni della sinistra anticapitalista che si tengono regolarmente da ormai tre anni, testimoniano non solo di una comprensione comune dell’importanza di dare vita a mobilitazioni europee ma anche di costruire a questa scala la necessaria alternativa anticapitalista.

Leonce Aguirre

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Un piano d’urgenza

Una Europa dei diritti sociali: convergenza e unificazione verso l’alto dei diritti sociali riguardanti i salari, le condizioni di lavoro, le pensioni e la legislazione sociale, sviluppo dei servizi pubblici europei, attuazione di un piano di grandi lavori pubblici, garanzia per tutte e tutti del diritto al lavoro, riduzione del tempo di lavoro, istituzione di una fiscalità fortemente ridistributiva. Una Europa democratica: cittadinanza basata sul solo criterio della residenza (ciò che significa in particolare, diritto di voto ed eleggibilità di tutti i residenti extracomunitari, uguaglianza dei diritti), libera circolazione e libero insediamento per tutti gli immigrati, rispetto del diritto di asilo, uguaglianza di diritti tra i sessi, (uguaglianza professionale e salariale, servizi pubblici per l’infanzia, diritto di aborto, legislazione repressiva contro la violenza alle donne, .), uguaglianza tra omosessuali ed eterosessuali.
Una Europa ecologista: sostiene all’agricoltura contadina e biologica, moratoria sugli OGM, arresto immediato del nucleare militare e organizzazione dell’uscita dal nucleare civile per una politica di diversificazione energetica, rifiuto di un mercato del diritto a inquinare, ratifica degli accordi di Rio e di Kyoto ed attuazione di un piano europeo di salvaguardia dei grandi equilibri ecologici, rifiuto della brevettabilità degli organismi viventi.
Una Europa solidale e pacifica: cancellazione del debito dei paesi del Sud, fine delle sovvenzioni alle esportazioni agricole, accesso dei paesi del Sud ai farmaci necessari per lottare contro le epidemie, distruzione unilaterale delle armi di distruzione di massa e riduzione drastica dei bilanci militari.

L. A.

Rouge