Home > Contro le celebrazione nazionaliste del 24 maggio. In memoria di Giuseppe Murru
Contro le celebrazione nazionaliste del 24 maggio. In memoria di Giuseppe Murru
par Marco
Publie le sabato 23 maggio 2015 par Marco - Open-PublishingQuesta è la storia di Giuseppe Murru, che nacque a Villacidro (Sardegna) nel 1896 o giù di lì. Il lettore perdonerà questa ed altre approssimazioni della vicenda che mi appresto a raccontare, ma molto tempo è passato da quando i fatti accaddero e la memoria di chi me li ha raccontati (sua nipote, cioè mia madre) è oramai un pò offuscata dal tempo che passa.
Bene, come dicevo, in questo racconto ci saranno diversi “probabilmente”, “sembrerebbe”, “forse”, ecc., ma questo non è importante perché la mia non è una ricerca storica, bensì il semplice desiderio di non far cadere nell’oblio la storia di Giuseppe Murru, un uomo che a causa della guerra visse tutta la vita da prigioniero.
Storia di Giuseppe Murru, un uomo che visse tutta la vita da prigioniero.
Giuseppe nacque e visse la sua infanzia in una modesta e numerosa famiglia contadina di Villacidro. Sembrerebbe che avesse una decina di sorelle e un fratello di due anni più giovane, Francesco, insieme al quale sin da giovane condivise le fatiche del lavoro nei campi ed il dramma della prima guerra mondiale.
Entrambi, seppur in tempi diversi, furono strappati ai loro affetti e alla loro terra per servire quella “patria” che si ricorda dei suoi figli solo quando c’è da sacrificarne l’esistenza di qualcuno di loro.
I due fratelli sopravvissero a quell’insensata carneficina, ma Giuseppe non si potè certo definire fortunato. Il racconto di mia madre si fa un pò confuso, lei dice che Giuseppe sarebbe stato catturato dagli austriaci, portato nel campo nemico e tenuto per gran parte del tempo legato ad un albero, in balìa degli aguzzini che frequentemente lo frustavano sadicamente. Poichè il racconto è un pò confuso, è più probabile che l’orrore della guerra lo portò ad avere segni di squilibrio mentale, ma per gli ufficiali questa malattia mentale (shock da combattimento) semplicemente non esisteva. Per gli ufficiali e i medici si trattava di semplice codardia (oppure, più crudelmente, venivano definiti “scemi di guerra” ) da curare con scariche elettirche, urla, intimidazioni e violenze di ogni genere (ecco, probabilmente Giuseppe Murru fu frequentemente legato ad un albero e frustato, ma non dagli austriaci, bensì dai medici e dagli ufficiali dell’esercito italiano) .
La violenza della guerra e le torture ricevute ebbero drammatiche conseguenze nella psiche di Giuseppe…
E’ risaputo che la sofferenza umana ha un limite di tolleranza e che quando questo viene raggiunto spesso la mente decide di staccare la spina, alla ricerca di una via di fuga da quell’insopportabile dolore. Quella via di fuga è comunemente chiamata pazzia.
A dire il vero, quantunque lo si definisse tale, Giuseppe non era affatto pazzo, per gran parte del tempo era lucido e consapevole della realtà che lo circondava. La notte però le sue ossessioni, figlie delle torture subite durante la prigionia, si impossessavano di lui e non lo lasciavano dormire: <
Tutto sommato i suoi compaesani si dimostrarono abbastanza comprensivi e solidali. Spesso alcuni vicini di casa si fermavano a parlare con lui per ore ed ore, anche se non era raro trovare qualcuno che lo schernisse. Allora Giuseppe perdeva il controllo ed urlava rabbioso, ma era un uomo buono e mai avrebbe fatto del male a qualcuno.
Altre volte, mentre si trovava nei campi del padre, lo si sentiva inveire contro i ricchi del paese, colpevoli di essere stati a suo tempo a favore della guerra e quindi anche delle sue disgrazie. Tutto però finiva lì e tutti erano consapevoli che non sarebbe mai andato oltre le ingiurie, peraltro non prive di fondamento.
Chi non lo capiva invece era il padre, Giovanni, per il quale il figlio non era altro che un fannullone senza voglia di lavorare: <
Incapace di mantenersi, abbandonato dalle istituzioni dopo le vane promesse precedenti la guerra, era la madre, Efisia, a sfamarlo di nascosto dal marito. Forse però Giuseppe ogni tanto faceva dei lavori saltuari perché qualche soldo in tasca per le sigarette l’aveva sempre.
E fu proprio un pacchetto di sigarette a cambiargli la vita un’altra volta: le cose andarono più o meno così…
Giuseppe s’era recato nel tabacchino del paese per acquistare il suo solito pacchetto di “nazionali”, solo che dall’altra parte del bancone, la commessa, Margherita, quel giorno era in vena di scherzi e poiché aveva confidenza s’era permessa di negargli le sigarette che pure Giuseppe aveva pagato.
Margherita era in buona fede, aveva solo voglia di giocare, ma tirò lo scherzo troppo per le lunghe. Alla fine Giuseppe si spazientì e preso dalla rabbia con un pugno mandò in frantumi il vetro del bancone. In un attimo arrivarono i solerti carabinieri del paese, fermarono l’uomo e dopo un breve consulto con una qualche autorità del paese decisero che il posto adatto fosse Villa Clara. Così si chiamava il famigerato manicomio di Cagliari.
Si dice che tutto sommato in quel luogo avesse trovato un po’ di serenità, che fosse ben voluto da medici e infermieri. Così dicevano gli amici e parenti che di tanto in tanto andavano a trovarlo. Chissà se ciò corrisponde al vero, la verità noi non la conosciamo. Quel che sappiamo è che Giuseppe è uscito dal manicomio solo da morto, quando ancora non aveva compiuto 60 anni.
Fu un infarto - così dissero i medici di Villa Clara - a porre fine all’esistenza di Giuseppe Murru, un uomo che ha vissuto da prigioniero tutta la sua vita: prigioniero di chi lo costrinse ad andare in guerra e degli aguzzini che lo torturarono, dei suoi ricordi che lo ossessionavano specialmente la notte ed infine delle istituzioni che lo internarono in un manicomio.