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Prosegue su "Liberazione" il dibattito riguardo alla nuova fase politica
E’ tempo di un confronto pubblico e di massa
di Giorgio Cremaschi
Questo intervento di Giorgio Cremaschi è apparso su "Liberazione" sabato 11 ottobre, ed ha
suscitato subito molto interesse (e una pronta risposta negativa di Roberto Musacchio). Riteniamo di fare
cosa utile ai lettori di Bandiera Rossa News ripubblicandolo, sia per chi non avesse trovato quel
numero del quotidiano, sia per chi volesse riprodurlo in un formato più facilmente fotocopiabile.
Finora le principali opzioni che hanno guidato il Prc mi sono sembrate giuste e verificate dai
fatti. Così è stato per la scelta di "investire" sul movimento dei movimenti, sulla crisi della
concertazione e sulla ripresa del conflitto sociale. Così pure si è rivelato giusto non farsi
affascinare dal mito del partito del lavoro e della nuova sinistra guidata da Sergio Cofferati.
Anche oggi la decisione di aprire un confronto con il centro-sinistra e la proposta di una
manifestazione nazionale contro Berlusconi, mi paiono giuste. Però c’è un "ma", un "ma" che può crescere
progressivamente fino a mettere in crisi i risultati sinora conseguiti. Sempre più nettamente vedo
il rischio di finire sotto la doppia pressione di una tenaglia, che potrebbe farci molto male.
C’è un’evidente radicalizzazione del conflitto con Berlusconi e con le spinte autoritarie del suo
governo, ma ad essa non corrisponde affatto, almeno in ciò che si capisce, uno spostamento a
sinistra negli equilibri del centro-sinistra. Anzi, le difficoltà e le contraddizioni del governo
stanno facendo riemergere una vocazione centrista non solo nella Margherita, ma, quasi in una gara a
scavalco, nei Ds. Riacquista fascino la scena nella quale il senatore Gianni Agnelli metteva una
mano sulla spalla a Massimo D’Alema, spiegando che solo la sinistra al governo poteva fare certe
operazioni difficili sul piano sociale.
Questo non avviene solo da noi. Nonostante la catastrofe dell’Iraq, Blair è saldo in sella nel suo
partito e, anzi, comincia a riconquistare consenso all’interno dell’Internazionale socialista. Il
cancelliere tedesco sceglie una politica esattamente uguale a quella del governo francese di
centro-destra. L’unione europea, al di là di tutte le retoriche, chiede dai suoi centri economici e di
potere di tagliare le pensioni e di aumentare la flessibilità del lavoro, mentre prepara una
costituzione dove burocrazia e mercato la fanno da padrone.
In questo contesto nasce la proposta del partito riformista, preceduta da una lista per le
europee. Non nascondiamoci dietro le schermaglie mediatiche. Nei contenuti, nell’ispirazione e nella
stessa parola che la definisce (riformista), la formazione che si costruisce ha il compito di
presentare alle attuali classi dirigenti del paese un’alternativa al berlusconismo per esse accettabile e
compatibile. Del resto questo è da noi oggi il significato politico della parola riformista.
Essa
non individua più, da almeno vent’anni, dall’epoca del governo Craxi oggi non casualmente
rivalutato, una posizione di attenuazione e compromesso rispetto alle rivendicazioni più radicali del
movimento operaio. Il riformismo oggi è semplicemente l’atteggiamento di quelle forze di
centro-sinistra (e anche di centro-destra) che pensano di temperare con scambi politici un liberismo accettato
e condiviso. Il riformismo oggi non ha il compito di rendere più "ragionevoli" e compatibili le
rivendicazioni del lavoro, ma quelle dell’impresa. Il riformismo oggi rovescia il senso della sua
antica rappresentanza.
La situazione è cambiata, ma finora non risulta che l’asse politico-ideologico che governa il
centro-sinistra lo sia. Persino Eugenio Scalfari ha dovuto ammettere che il black-out del 27 settembre
è dovuto a una cattiva privatizzazione, ma importanti ministri economici ombra del centro-sinistra
hanno invece detto che bisogna liberalizzare di più. Così, sul patto di stabilità, sulla politica
della Banca europea, sulle questioni sociali e del lavoro, non abbiamo sentito non dico
espressioni autocritiche, che non si chiedono mai, ma accenti diversi rispetto al passato.
Il
centro-sinistra dice no alla controriforma delle pensioni, ma fa capire che qualcosa bisognerà pur fare. Nulla
si dice sulle tasse, la contrapposizione alla devolution è fatta sul terreno della campagna contro
la Lega, sacrosanta, ma non su quello sulla difesa e dello sviluppo dello stato sociale. La Legge
30 viene contestata, ma anche qui non si capisce se un futuro governo di centro-sinistra sarebbe
intenzionato a sopprimerla o solo ad emendarla. Quando Fim, Fiom e Uilm chiesero l’intervento
pubblico nella crisi Fiat, Ds e Margherita dissero di no prima del Governo.
Insomma, a me pare che il
centro-sinistra, man mano che si radicalizza lo scontro con la destra, renda più moderate le sue
posizioni, al fine di rendere il più compatibile possibile l’alternanza.
E’ vero che Berlusconi inquieta, irrita, offende e angoscia e che c’è un’opinione di massa per
mandarlo a casa, che si esprime persino a "Domenica In". Le elezioni amministrative hanno raccolto
questo sentimento e hanno punito brutalmente il Prc ovunque si è presentato da solo.
La spinta verso
l’accordo per battere il centro-destra è quindi un altro elemento della realtà. Non siamo più al
2001, quando una parte rilevante degli elettori di sinistra o si astenne, o votò Rifondazione
proprio per esprimere il suo giudizio critico sul centro-sinistra. Oggi il rifiuto di Berlusconi fa
premio su tutto, anche il più moderato dei rappresentanti del centro-sinistra può fare il pieno dei
voti, purché si contrapponga alla destra. Da un lato c’è la spinta all’unità, dall’altro c’è un
centro-sinistra che la usa per spostare a destra il baricentro dei suoi programmi e anche dei suoi
valori.
In mezzo Rifondazione corre il rischio di restare schiacciata.
Nel frattempo l’offensiva della destra sul piano sociale continua. Berlusconi può essere più
debole sul piano politico, ma i guasti sociali del liberismo avanzano, rompendo forza, solidarietà,
speranza.
Anche i movimenti sentono questa difficoltà. La questione, più volte posta degli scarsi risultati
di tanta mobilitazione, rischia di produrre un alone di rassegnazione attorno ad aree e gruppi che
si ghettizzano in radicalizzazioni prive di consenso. La durezza dello scontro corre il rischio di
far prevalere un’idea di rottura nel pluralismo e nei valori unitari del movimento. Unità e
radicalità non coincidono sempre. Ci sono dei momenti nei quali questo avviene, e così è stato nei due o
tre anni passati.
Ora mi pare che stia avvenendo un fenomeno contrario. Cgil, Cisl, Uil scioperano
assieme il 24, e questo è un bene, ma questa è un’unità all’indietro, dovuta a Berlusconi che ha
preferito mediare con la Lega piuttosto che con la Cisl. E’ un’occasione per ripartire, ma non è la
ripresa. Non ci sono segnali di un avanzamento di una nuova politica unitaria, né sui contenuti né
sulle pratiche. Invece, se si cerca di avanzare su quel terreno, allora l’unità si rompe, come sa
bene la Fiom che da tempo sta cercando di ricostruire, da sola, rapporti di forza più favorevoli
nei luoghi di lavoro.
Questi mi paiono tutti dati della realtà e ci si deve misurare con essi. Non possiamo ripetere
l’esperienza del 2001, ma rischiamo di non avere un potere contrattuale e una forza tali da spostare
su basi più accettabili l’asse programmatico del centro-sinistra. Che fare, allora? In casi come
questo la soluzione migliore è quella di ricorrere alla trasparenza democratica, al confronto di
massa e al rigore programmatico. Si è aperta una stagione di confronti e proposte tra tutte le forze
che rifiutano il progetto riformista. Ci sono precisi appuntamenti in calendario. Si definiscano
allora rivendicazioni e scelte programmatiche comuni. Conclusa questa prima fase di confronto
aperto, credo che il Prc dovrebbe definire la piattaforma programmatica per il confronto con il
centro-sinistra e sottoporla alla valutazione di una grande conferenza e poi di una consultazione degli
iscritti. Da questo percorso dovrebbero nascere sia le proposte di impianto sia anche le misure
concrete irrinunciabili che rivendichiamo.
Faccio due piccoli esempi: la legislazione berlusconiana, dal mercato del lavoro alle pensioni,
dalla tv alla tassa di successione, alla Cirami, alla devolution, verrà cancellata da un futuro
governo di centro-sinistra? E avremo finalmente il varo di una legge sulla democrazia sindacale? A me
paiono questioni preliminari per giudicare la bontà di un accordo. Si avvii un confronto pubblico
e di massa.
Alla fine di esso, un’altra consultazione del partito potrà valutare le condizioni
dell’accordo e decidere se esse siano accettabili. Non mi nascondo che a quel punto si porrà comunque
il problema del rapporto elettorale con il centro-sinistra, ma almeno avremo chiarito i nodi
concreti del contendere. Insomma, è giunto il momento di far sentire, con molto rigore e anche con una
certa brutalità, che battere Berlusconi è necessario, ma costruire un’alternativa al liberismo da
cui questo governo è nato, lo è altrettanto.
La redazione di Bandiera Rossa News