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Daniel, storia di un clandestino sbarcato in Sicilia
Publie le domenica 22 giugno 2003 par Open-PublishingLa testimonianza (da brividi) raccolta da Medici senza frontiere
"La storia che vorrei raccontare comincia nel settembre del 2002. Vivevo nel
sud della Liberia. I ribelli reclutavano nei villaggi gente da mandare a
combattere contro l’esercito. Io rifiutai. In quel momento cominciò il mio
dramma.
Dal dicembre 2002 a circa due mesi fa, i ribelli hanno ammazzato mia moglie,
le mie due bambine, mio fratello, mio padre. Quando ho perso le tracce di
mia madre e della mia sorellina di 10 anni, sono fuggito. Ho cercato scampo
in Sierra Leone prima, poi in Guinea, ma i confini erano chiusi. Allora,
circa un mese e mezzo fa, ho preso la prima barca disponibile e, con altri
compagni di fuga, mi sono recato al largo, dove siamo stati fatti salire su
un peschereccio turco. Non so quanto abbiamo navigato. Quello che so è che
la mia era una delle quattro o cinque barche sulle quali ci eravamo
imbarcati in molti. Navigavamo a vista. Ma siamo arrivati solo noi, solo la
mia barca. Non so che cosa sia stato degli altri. So solo che, nel
Mediterraneo, a un certo punto abbiamo visto tanti cadaveri in mare. Poi non
abbiamo visto neanche più loro. Siamo arrivati in Turchia, e da lì ci siamo
imbarcati di nuovo su piccole barche, poi su un mezzo più grande che ci ha
raccolti e ci ha portati in Italia. Solo quest’ultimo viaggio è durato più
giorni, almeno dieci".
La testimonianza di Daniel (non è il suo vero nome), un gigante d’ebano di
26 anni, è stata raccolta ieri a Pozzallo (RG), dove sono sbarcate 100
persone in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni. Con Daniel sono arrivati
a Pozzallo, intorno alle 12,40 di ieri, provenienti dall,ormai oberato
Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Lampedusa, altri 74 liberiani oltre
a 13 iracheni, sei ghanesi, cinque nigeriani, più un ragazzo proveniente
dalla Costa d,Avorio. Dei 100 sbarcati, 17 erano donne. Quattro i minori: un
ragazzo nato nel luglio 1985 (dunque, quasi maggiorenne), una ragazza del
1987, una bimba di cinque e un,altra di sette mesi. Tutti sono richiedenti
asilo politico.
Sono arrivati trasportati dalla Guardia Costiera e sono stati ospitati nei
magazzini della Dogana del porto di Pozzallo, come sempre dotati di pochi
bagni e di materassi non puliti. Lo staff di Medici Senza Frontiere li ha
visitati e assistiti mentre le forze dell,ordine li identificavano uno ad
uno prendendo le impronte digitali. Alcuni sono stati curati.
Tutte e 97 le persone giunte oggi a Pozzallo fuggono da Paesi in guerra o
nei quali è facile rimanere vittime di persecuzioni per ragioni di
religione, schieramento politico, appartenenza etnica.
Colpisce, però, soprattutto il dato relativo ai cittadini liberiani, tutti
giovani e tutti in fuga da un Paese instabile, in preda a una spaventosa
anarchia, uscito solo la scorsa settimana da uno dei momenti più tragici
della sua storia recente, comunque di sangue, con centinaia di migliaia di
persone asserragliate nel centro della capitale Monrovia, senza acqua né
cibo, sotto l,assedio dei ribelli del Lurd e della pioggia battente.
Se lo Stato italiano decidesse, in virtù del regolamento attuativo della
legge Bossi-Fini, dato per imminente, di respingere esseri umani come Daniel
prima del loro ingresso nelle acque territoriali italiane, non solo
commetterebbe un crimine contro l’umanità non riconoscendo aiuto a chi, in
mare, si trova ormai alla deriva, stipato in barconi che imbarcano acqua,
sotto il sole cocente, ma costringerebbe bambini, donne e uomini in fuga dal
massacro della guerra e dalle persecuzioni a tornare laddove li aspettano
morte e sofferenza.
Medici Senza Frontiere non vuole che questo possa accadere e chiede al
governo di ponderare con coscienza il contenuto del regolamento di prossima
uscita, onde non condannare chi fugge dalla guerra a morte sicura e il
popolo italiano a guadagnarsi la fama di popolo inospitale e chiuso alle
istanze umanitarie.
Medici Senza Frontiere si augura che il governo italiano, da subito, cambi
orientamento ed investa più fondi nell,accoglienza di persone che, dipinte
come barbari all’assalto del nostro Paese, altro non sono che esseri umani
alla ricerca di una protezione che il loro Paese non vuole riconoscere o
che, addirittura, contribuisce attivamente e tragicamente a erodere e
negare.