Home > E’ morta la rivoluzione sionista
Il sionismo è morto, e i suoi aggressori sono seduti sulle poltrone del governo a Gerusalemme.
Non perdono un’occasione per far scomparire tutto ciò che c’era di bello nella rinascita
nazionale.
La rivoluzione sionista poggiava su due pilastri: la sete di giustizia e una
leadership sottomessa alla morale civica. L’una e l’altra sono scomparse. La nazione israeliana
ormai non è altro che un ammasso informe di corruzione, oppressione e ingiustizia.
La fine
dell’avventura sionista è vicina. Sì, è ormai probabile che la nostra generazione sia l’ultima
del sionismo. Quello che resterà dopo sarà uno stato ebraico irriconoscibile e detestabile. Chi
di noi vorrà essere patriota di tale stato? L’opposizione è scomparsa, la coalizione resta muta,
Ariel Sharon si è trincerato dietro un muro di silenzio. Questa società di instancabili
chiacchieroni è diventata afona. Semplicemente non c’è più nulla da dire: i nostri fallimenti
sono evidenti.
Certo, abbiamo resuscitato la lingua ebraica, il nostro teatro è eccellente, la
nostra moneta abbastanza stabile, nel nostro popolo ci sono talenti stupefacenti e siamo quotati
al Nasdaq. Ma è per questo che abbiamo creato uno stato? No, non è per inventare armi
sofisticate, strumenti di irrigazione efficacissimi, programmi di sicurezza informatica o
missili antimissile che il popolo ebraico è sopravvissuto. La nostra vocazione è diventare un
modello, la «luce delle nazioni», e abbiamo fallito.
La realtà, dopo duemila anni di lotte per la sopravvivenza, è uno stato che sviluppa delle
colonie guidato da una cricca di corrotti incuranti della morale civica e della legge. Ma uno
stato amministrato nel disprezzo della giustizia perde la sua forza di sopravvivenza. Chiedete
ai vostri figli se sono sicuri di essere ancora in vita fra venticinque anni. Le risposte più
lungimiranti rischiano di scioccarvi, perché il conto alla rovescia della società israeliana è
già cominciato.
Non c’è nulla di più affascinante che essere sionista a Beth El o Ofra. Il paesaggio biblico è
incantevole. Dalla finestra ornata di gerani e bougainville, non si vede l’occupazione. Sulla
nuova strada che costeggia Gerusalemme da nord a sud, ad appena un chilometro dagli sbarramenti,
si circola velocemente e senza problemi.
Chi si preoccupa di ciò che subiscono gli arabi
umiliati e disprezzati, obbligati a trascinarsi per ore su strade dissestate e continuamente
interrotte da check point? Una strada per l’occupante, una strada per l’occupato. Per il
sionista, il tempo è rapido, efficiente, moderno. Per l’arabo «primitivo», manodopera senza
permesso in Israele, il tempo è di una lentezza esasperante.
Ma così non può durare. Anche se gli arabi piegassero la testa e ingoiassero la loro
umiliazione, verrà un momento in cui nulla funzionerà più. Ogni edificio costruito
sull’insensibilità alla sofferenza altrui è destinato a crollare fragorosamente. Attenti a voi!
State ballando su un tetto che poggia su fondamenta barcollanti!
Israele, la rivoluzione sionista è morta
Poiché siamo indifferenti alla sofferenza delle donne arabe bloccate ai check point, non
percepiamo più i lamenti delle donne picchiate dietro la porta dei nostri vicini, né quelli
delle ragazze madri che lottano per la propria dignità. Abbiamo smesso di contare i cadaveri
delle donne assassinate dal loro marito. Indifferenti alla sorte dei bambini palestinesi, come
ci possiamo sorprendere quando, con un ghigno di odio sulla bocca, si fanno saltare per aria
come martiri di Allah nei luoghi del nostro svago perché la loro vita è un tormento; nei nostri
centri commerciali perché non hanno neanche la speranze di fare, come noi, degli acquisti? Fanno
scorrere il sangue nei nostri ristoranti per farci passare l’appetito. A casa loro, figli e
genitori soffrono la fame e l’umiliazione.
Anche se uccidessimo 1000 terroristi al giorno, non
cambierebbe nulla. I loro leader e i loro istigatori sono generati dall’odio, dalla collera e
dalle misure insensate prese dalle nostre istituzioni moralmente corrotte. Fintanto che un
Israele arrogante, terrorizzato e insensibile a se stesso e agli altri si troverà di fronte una
Palestina umiliata e disperata, non potremo andare avanti. Se tutto ciò fosse inevitabile e
frutto dei disegni di una forza soprannaturale, anche io starei zitto. Ma c’è un’altra opzione.
Ed è per questo che bisogna urlare.
Ecco quello che il primo ministro deve dire al popolo: il tempo delle illusioni è finito. Non
possiamo più rimandare le decisioni. Sì, amiamo il paese dei nostri antenati nella sua totalità.
Sì, ci piacerebbe viverci da soli. Ma così non funziona, anche gli arabi hanno i loro sogni e le
loro esigenze. Tra il Giordano e il mare, gli ebrei non sono più maggioranza. Conservare tutto
gratuitamente, senza pagarne il prezzo, miei cari concittadini, è impossibile.
È impossibile che la maggioranza palestinese sia sottomessa al pugno di ferro dei militari
israeliani. È impossibile credere che siamo la sola democrazia del Medioriente, perché non lo
siamo. Senza l’uguaglianza completa degli arabi, non c’è democrazia. Conservare i territori e
una maggioranza di ebrei solo nello stato ebraico, ripettando i valori dell’umanesimo e della
morale ebraica, rappresenta un’equazione insolubile.
Volete la totalità del territorio del Grande Israele? Perfetto. Avete rinunciato alla
democrazia. Realizzeremo allora un sistema efficace di segregazione etnica, di campi di
internamento, di città-carceri: il ghetto Kalkilya e il gulag Jenin.
Volete una maggioranza ebraica? O ammasseremo tutti gli arabi in vagoni di treno, in autobus, su
cammelli o asini per espellerli. Oppure dobbiamo separarci da loro in modo radicale. Non ci sono
mezzi termini. Ciò implica lo smantellamento di tutti - dico bene: tutti - gli insediamenti e la
determinazione di una frontiera internazionale riconosciuta tra lo stato nazionale ebraico e lo
stato nazionale palestinese. La legge del ritorno ebraica sarà applicabile soltanto all’interno
dello stato nazionale ebraico. Il diritto al ritorno arabo sarà applicabile esclusivamente
all’interno dello stato nazionale arabo.
Se è la democrazia ciò che volete, avete due opzioni: o rinunciate al sogno del Grande Israele
nella sua totalità, alle colonie e ai loro abitanti, oppure concedete a tutti, compresi gli
arabi, la piena cittadinanza con diritto di voto alle elezioni politiche. In quest’ultimo caso,
coloro che non volevano gli arabi nello stato palestinese vicino li avranno alle urne, a casa
propria. E loro saranno maggioranza, noi minoranza.
Questo è il linguaggio che deve adottare il primo ministro. Spetta a lui presentare
coraggiosamente le alternative. Bisogna scegliere tra la discriminazione etnica praticata da
ebrei e la democrazia. Tra le colonie e la speranza per due popoli. Tra l’illusione di un muro
di filo spinato, dei check point e dei kamikaze e una frontiera internazionale accettata dalle
due parti con Gerusalemme capitale comune dei due stati.
Ma, purtroppo, non c’è alcun primo ministro a Gerusalemme. Il cancro che divora il corpo del
sionismo ha già raggiunto la testa. Le metastasi fatali sono lassù. È accaduto in passato che
Ben Gurion commettesse un errore, ma è rimasto comunque di una rettitudine irreprensibile.
Quando Begin sbagliava, nessuno metteva in discussione la sua buona fede. E lo stesso succedeva
quando Shamir non faceva nulla. Oggi, secondo un sondaggio recente, la maggioranza degli
israeliani non crede nella rettitudine del primo ministro, anche se continua ad accordargli la
propria fiducia sul piano politico.
Detto in altri termini, la personalità dell’attuale primo
ministro simboleggia le due facce della nostra disgrazia: un uomo di dubbia moralità, gaudente,
incurante della legge e modello negativo di indentificazione. Il tutto combinato con la sua
brutalità verso gli occupati, che rappresenta un ostacolo insuperabile alla pace. Da ciò deriva
una conclusione indiscutibile: la rivoluzione sionista è morta.
E l’opposizione? Perché mantiene il silenzio? Forse perché siamo in estate? O perché è stanca?
Perché, mi chiedo, una parte dei miei compagni vuole un governo a ogni costo, foss’anche quello
dell’identificazione con la malattia piuttosto che della solidarietà con le vittime della
malattia? Le forze del Bene perdono la speranza, fanno le valige e ci abbandonano, insieme al
sionismo. Uno stato sciovinista e crudele in cui imperversa la discriminazione; uno stato dove i
ricchi sono all’estero e i poveri deambulano nelle strade; uno stato in cui il potere è corrotto
e la politica corruttrice; uno stato di poveri e di generali; uno stato di razziatori e di
coloni: questo è in sunto il sionismo nella fase più critica della propria storia.
L’alternativa è una presa di posizione radicale: il bianco o il nero - tirarsi indietro
equivarrebbe a essere complici dell’abiezione. Queste sono le componenti dell’opzione sionista
autentica: una frontiera incontestata; un piano sociale globale per guarire la società
israeliana dalla sua insensibilità e dalla sua assenza di solidarietà; la messa al bando del
personale politico corrotto oggi al potere.
Non si tratta più di laburisti contro il Likud, di
destra contro sinistra. Al posto di tutto ciò, bisogna opporre ciò che è permesso a ciò che è
proibito; il rispetto della legge alla delinquenza. Non possiamo più accontentarci di
un’alternativa politica al governo Sharon. Ci vuole un’alternativa di speranza alla rovina del
sionismo e dei suoi valori da parte di demolitori muti, ciechi e privi di ogni sensiblità.
* Deputato del Partito laburista israeliano, ex presidente della Knesset (1999-2003), ex
presidente dell’Agenzia ebraica