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FINI ? NO GRAZIE!

Publie le martedì 14 ottobre 2003 par Open-Publishing

Già dimenticata la Bossi-Fini? Verrebbe di fare questa amara considerazione
dopo laccoglienza riservata da molti settori del centrosinistra, politico
e sociale, alla mossa tutta interna al posizionamento nella lotta senza
confini nel centrodestra del leader di AN Gianfranco Fini. Nellarticolo che
segue il magistrato brindisino Michele DI SCHIENA prova a fare una lettura
critica della sortita del vicepremier, della sua effettiva portata e
rammenta le conseguenze nefaste della legge che porta il suo nome.

Una opinione questa non molto diffusa anche tra gli opinionisti ufficiali
della cosiddetta sinistra alternativa che facciamo circolare via e.mail non
avendo altre possibilità di circuiti informativi, occupati anche nella
sinistra alternativa dai soliti noti.

Chi la condivide e la ritiene utile la faccia circolare ulteriormente.

Giancarlo CANUTO Movimento A Sinistra Brindisi

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LA SORTITA DI FINI: SOLO UNA SCOSSA DI ASSESTAMENTO

Eun errore quello di dare grande rilievo alla sortita dellonorevole Fini
sullopportunità di concedere il voto amministrativo agli immigrati e di
mettere la sua mossaal centro di una ridda di attenzioni, commenti ed
apprezzamenti come se ci fosse stata in materia da parte del leader di AN
una vera e propria svolta foriera di chissà quali rivolgimenti nella
maggioranza berlusconiana. Niente di tutto questo. Si è trattato, a ben
guardare, non di un terremoto ma di una semplice scossa di assestamento,
con finalità di riequilibrio interno e di recupero esterno, che ha fatto
seguito ad un vero terremoto, quello delle iniquità, dei turbamenti e dei
danni cagionati dalla legge Bossi-Fini. Dovrebbe essere ormai chiaro che ad
ogni devastante sisma provocato, con provvedimenti legislativi o con atti
politici, da questa maggioranza e da questo governo, fa sempre seguito
qualche strumentale aggiustamento, qualche apparente apertura, qualche
ingannevole ritorno di fiamma che servono solo per regolare mediocri conti
interni e per consolidare le scelte operate anche con lintento di
disorientare e possibilmente dividere il fronte del dissenso e della protesta.

Appare dunque sbagliato dare tanto peso alle dichiarazioni di Fini per
diversi motivi. Ed invero il voto amministrativo che dovrebbe essere
concesso agli immigrati, sarebbe riservato solo come lo stesso Fini ha
subito precisato esclusivamente in favore degli stranieri muniti della
Carta di soggiorno (una autorizzazione permanente diversa dal permesso di
soggiorno) che può essere ottenuta dallimmigrato solo dopo sei anni (prima
della riforma berlusconiana erano cinque) di stabile permanenza in Italia,
autorizzazione questa che il Ministero dellInterno concede con criteri
assai rigorosi destinati a diventare ancora più restrittivi nellimprobabile
ipotesi che lesternazione di Fini finisca per avere qualche concreto
sviluppo. Ne consegue che se gli immigrati in possesso di Carta di
soggiorno venissero un domani chiamati a votare nelle elezioni
amministrative, gli ammessi al voto sarebbero un numero estremamente esiguo
rispetto a quello degli stranieri che vivono, lavorano e pagano le tasse
sul territorio nazionale.

Si tratterebbe insomma di un beneficio dalle dimensioni assai limitate, di
un atto di giustizia praticamente simbolico dentro un mare di incivili
pregiudizi, di condizionamenti umilianti ed onerosi, di lacci burocratici,
di interventi polizieschi, di improprie carcerazioni (quelle dei centri di
permanenza temporanea nella versione aggravata dalla recente riforma), di
sanzioni inflitte con procedure prive di efficaci garanzie difensive e di
sbrigativi ed inarrestabili meccanismi espulsivi: un malinconico coacervo
insomma di misure vessatorie che costituisce lossatura della legge
Bossi-Fini o, come dice lon.le Follini, della legge più Fini che Bossi. E
sì, perché questa legge è un provvedimento che risente di concezioni per le
quali la civiltà occidentale sarebbe superiore alle altre (torna alla mente
quelluber allesdi nefasta memoria), una legge dellegoismo e della paura che
disdegna laccoglienza e vede nello straniero solo un soggetto da cui
difendersi, una legge guidata da logiche per le quali limmigrato può venire
in Italia solo quando serve con il ritorno già pagato alla scadenza del
contratto, una normativa che pretende dagli stranieri quel posto
fissoindicato ogni giorno a noi italiani come una superata chimera da
cancellare per sempre, una legge miope che non riesce a vedere nei fenomeni
di immigrazione una grande sfida del nostro tempo e che perciò non può
misurarsi con essa per coglierne tutte le opportunità di incontro
culturale, dintegrazione sociale e di progresso civile.

Ma un atto simbolico, proprio perché tale, non potrebbe pur sempre aprire
la strada ad una radicale modificazione della legge Bossi-Fini? Pia
illusione questa da accantonare per due precise ragioni: innanzitutto
perché la sortita di Fini non è un attoma una semplice dichiarazione
seguita forse dalla presentazione di una proposta di legge destinata, con
ogni probabilità, a subire strumentali accantonamenti o ad essere bloccata
da quegli stessi ostacoli frapposti a suo tempo dalla Commissione Affari
Costituzionali della Camera per fermare unanaloga iniziativa dellon.le
Livia Turco. E poi perché lidea di estendere il voto amministrativo agli
immigrati è stata annunciata come naturale sviluppo della legge Bossi-Fini
insieme ad una orgogliosa rivendicazione della positività di questa legge
che avrebbe avuto il merito di creare le condizioni (i tempi sono maturi)
per il riconoscimento del diritto di voto in questione.

Ed allora gli apprezzamenti e le esultanze di tanta parte dellopposizione
per laperturadel leader di AN non hanno senso e denunciano inclinazioni
alla subalternità miste ad una malcelata speranza che la sortita del
vicepremier possa aggravare i contrasti e le lacerazioni allinterno dello
schieramento delle destre fino a provocare la caduta del governo. Speranza,
però, vana perché questo governo potrà cadere solo per lacuirsi della crisi
economica e lesplodere del conflitto sociale e non certo per contrasti
interni destinati prima o poi a trovare composizione nel superioreinteresse
di una gestione partigiana e pervasiva del potere. Ma anche una speranza
pericolosa perché a furia di considerare ora questo ora quellesponente
dello schieramento di destra un cavallo di troiautile per espugnare il
campo avverso, si finisce per rinunciare a condurre con forza propria e da
protagonisti battaglie civili e politiche di primaria importanza col
rischio di fare apparire le polemiche allinterno della maggioranza in grado
di assorbire ruoli ed istanze dellopposizione. Una trappola nella quale non
si dovrebbe cadere.

Brindisi, 10 ottobre 2003

Michele DI SCHIENA