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Gli Stati Uniti supportano la Convenzione di Ginevra o no?
Publie le mercoledì 5 maggio 2004 par Open-PublishingLa loro legge
di George Monbiot
All’improvviso, il governo degli Stati Uniti ha scoperto le virtu’ della legge internazionale. Puo’ anche stare combattendo una guerra illegale contro uno stato sovrano; puo’ anche cercare di distruggere qualsiasi trattato che gli impedisca di perseguire il dominio mondiale, ma quando cinque dei suoi soldati catturati vengono mostrati di fronte alle telecamere della TV irachena, Donald Rumsfeld, il ministro della Difesa, immediatamente si ricorda che "e’ contro le Convenzioni di Ginevra mostrare prigionieri di guerra in maniera umiliante per essi".
Naturalmente, ha ragione. L’articolo 13 della Terza Convenzione, concernente il trattamento dei prigionieri, stabilisce che essi devono "essere protetti ... dagli insulti e dalla curiosita’ del pubblico". Questa puo’ essere considerata la violazione meno grave delle leggi di guerra, ma le convenzioni, ratificate dall’Iraq nel 1956, sono non-negoziabili. Se le si viola, si puo’ essere processati per crimini di guerra.
Stando cosi’ le cose, Rumsfeld farebbe meglio ad essere piu’ cauto. Per la sua entusiastica conversione alla causa della guerra legale egli e’, come capo del Dipartimento della Difesa, responsabile di una serie di crimini sufficiente, se mai dovesse essere processato, a metterlo in prigione per il resto dei suoi giorni
Il suo campo di prigionia di Guantanamo Bay, Cuba, dove sono detenuti 641 uomini (nove dei quali sono cittadini britannici), viola non meno di 15 articoli della terza convenzione. Il governo USA ha violato il primo di questi articoli (articolo 13) non appena i detenuti arrivarono, mostrandoli, come hanno fatto gli iracheni, in televisione. In questo caso pero’, non furono incoraggiati a parlare di fronte alle telecamere. Erano inginocchiati a terra, mani legate dietro la schiena ed indossavano occhiali anneriti e cuffie insonorizzate. In violazione dell’articolo 18, erano stati privati dei loro abiti e dei loro effetti personali. Erano stati internati in un penitenziario (violazione dell’articolo 22) in cui erano loro negati gli accessi alla mensa (26), alle cucine (26), alle funzioni religiose (34), all’esercizio fisico (38), al testo delle Convenzioni (41), liberta’ di scrivere ai familiari (70 e 71) e alle distribuzioni di pacchi dono contenenti cibo e libri (72).
Essi non furono ne’ "rilasciati ne’ rimpatriati senza indugio dopo la cessazione delle ostilita’ attive" (118) perche’, dicono le autorita’ USA, i loro interrogatori potrebbero un giorno fornire interessanti informazioni su al-Qaida. L’articolo 17 stabilisce che i prigionieri siano obbligati a fornire solo nome, grado, numero di matricola e data di nascita. Nessuna "coercizione puo’ essere loro imposta affinche’ forniscano informazioni di qualsiasi genere". Nella speranza di piegarli, invece, le autorita’ USA hanno confinato i prigionieri di Guantanamo in celle d’isolamento, sottoposti a quella che viene definita "tortura moderata": privazione del sonno ed esposizione costante a luce violenta. Non deve sorprendere il fatto che diversi prigionieri abbiano tentato il suicidio, battendo la testa contro le mura delle celle o tagliandosi le vene dei polsi con posate di plastica.
Il governo USA sostiene che questi uomini non sono sottoposti alle Convenzioni di Ginevra, poiche’ non sono "prigionieri di guerra" ma "combattenti illegali". Lo stesso puo’ essere detto, con ancora maggiore giustizia, dei militari USA catturati dagli iracheni, i quali hanno illegalmente invaso il loro paese. Ma questa ri-definizione e’ essa stessa una violazione dell’articolo 4 della Terza Convenzione, secondo cui i detenuti che possano considerarsi membri di una milizia (come i Talebani) o volontaridevono essere considerati dei prigionieri di guerra a tutti gli effetti.
Se anche vi fosse dubbio sullo status di questi detenuti, l’articolo 5 insiste che essi "debbano avvalersi della protezione della presente Convenzione fino a che il loro status non sia determinato da un tribunale competente". Ma quando, all’inizio di questo mese, i rappresentanti legali di 16 detenuti chiesero un’udienza in tribunale, la Corte d’Appello USA dichiaro’ che Guantanamo Bay non era territorio sotto sovranita’ USA e dunque quegli uomini non avevano diritti costituzionali. Molti di quei prigionieri lavoravano in Afghanistan come insegnanti, ingegneri o lavoratori umanitari. Se il governo USA dovesse processarli o liberarli, l’imbarazzante mancanza di prove contro di essi sarebbe portata alla luce.
Si esiterebbe a definire "fortunati" questi prigionieri a meno che non si pensi a cio’ che e’ capitato ad altri uomini catturati da americani e dai loro alleati in Afghanistan. Il 21 novembre 2001, circa 8.000 talebani e civili pashtun si arresero a Kunduz al comandante dell’Alleanza del Nord, generale Dostum. Molti di essi non sono piu’ stati visti. Come riporta il film di Jamie Doran "Il Massacro afghano - Convoglio della Morte", centinaia, se non migliaia, di essi furono stipati in containers a Qala-i-Zeini, presso la citta’ di Mazar-e-Sharif, tra il 26 ed il 27 novembre. Le porte furono sigillate ed i containers furono lasciati al sole per diversi giorni. Finalmente, furono spediti alla prigione di Sheberghan, 120 km di distanza. I prigionieri, molti dei quali erano gia’ morti di sete e di asfissia, cominciarono a picchiare sui lati dei containers. Gli uomini di Dostum fermarono il convoglio e spararono contro di esso. Quando arrivarono a Sheberghan, quasi tutti i prigionieri erano gia’ morti.
Le forze speciali USA che controllavano la prigione videro i cadaveri mentre venivano scaricati. Esse suggerirono agli uomini di Dostum di liberarsi di essi prima che potessero essere scattate delle fotografie satellitari. Doran intervisto’ un soldato dell’Alleanza del Nord di guardia alla prigione. "Ho visto un militare americano spezzare il collo ad un prigioniero. Gli americani facevano cio’ che volevano. Non avevamo nessun potere di fermarli". Un altro soldato dichiaro’: "Portavano i prigionieri fuori e li picchiavano e poi li rispedivano in prigione. A volte pero’ non ritornavano e sparivano nel nulla".
Molti dei sopravvissuti furono riportati indietro nei containers insieme ai cadaveri, poi scaricati in un luogo deserto chiamato Dasht-i-Leili. Alla presenza di 30-40 truppe delle forze speciali USA, sia i vivi che i morti furono gettati in fosse comuni. Chiunque si muoveva veniva sparato. Il giornale tedesco Die Zeit fece delle ndagini e concluse che "nessuno puo’ dubitare del fatto che gli americani vi presero parte. Anche ai livelli piu’ alti non c’e’ dubbio su questa questione". Il gruppo USA Medici per i Diritti Umani visito’ il luogo identificato dai testimoni di Doran e scopri’ che esso "conteneva resti umani abbastanza numerosi da poterlo denominare fossa comune".
Non e’ necessario sottolineare che un’ospitalita’ del genere viola anch’essa la Terza Convenzione di Ginevra, la quale proibisce "la violenza contro la vita e la persona, in particolare tutti i generi di assassinio, mutilazione, trattamento crudele e tortura", come anche le esecuzioni extra-giudiziarie. Il dipartimento di Donald Rumsfeld, assistito da una stampa docile, ha fatto tutto cio’ che era in suo potere per sopprimere il film di Jamie Doran mentre, in Afghanistan, il generale Dostum ha iniziato ad assassinare tutti i testimoni.
Non e’ difficile allora comprendere perche’ il governo USA abbia lottato per impedire la costituzione di una Corte Criminale Internazionale e per assicurarsi che nessuno dei suoi cittadini possa essere soggetto alla sua giurisdizione. I cinque soldati esibiti di fronte alle telecamere dovrebbero ringraziare la loro buona stella di essere prigionieri non delle forze americane in lotta per la "civilizzazione", ma dei "barbari e disumani" iracheni.