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I pm del G8 «Dall’estero nessun aiuto sui black bloc»
Publie le martedì 12 agosto 2003 par Open-PublishingGenova La prima tranche dell’inchiesta è chiusa. Gli scontri, le
devastazioni, i saccheggi del G8 non sono più frutto di un’entità
incorporea chiamata black bloc, il blocco nero. Nelle carte della procura
ci sono i nomi di ventisei persone, per le quali si avvicina ora il
processo per il reato, gravissimo, di devastazione e saccheggio. Ma non c’è
soddisfazione tra gli inquirenti. Quei nomi sono tutti italiani.
E
rappresentano solo una minima parte di coloro che, in quei giorni di
violenza e di follia, devastarono la città, assaltarono le forze
dell’ordine, ferirono poliziotti e carabinieri, appiccarono roghi,
distrussero auto. Così se nessuno lo dichiara esplicitamente, la polemica
cova sotto la cenere. La collaborazione delle polizie europee è stata
scarsa, per non dire inesistente. Gratta gratta, nelle stanze della
questura, le conferme arrivano: «Migliaia di foto e di filmati sono stati
inviati in tutte le nazioni dalle quali provenivano i black-bloc.
Le
risposte sono state pressocché nulle». Eppure si sa che gran parte del
blocco nero ha la sua base operativa nelle città della Germania. Ma, così
come era accaduto prima del G8 (quando alla polizia e al ministero
dell’Interno non furono comunicati gli spostamenti e l’arrivo dei gruppi
più violenti e facinorosi), anche nella fase delle indagini le risposte non
sono arrivate. Un esempio, forse il più clamoroso? Il pm Andrea Canciani ha
risolto l’enigma dei tamburini del blocco nero. Quell’insolito gruppo di
giovani dal viso mascherato, che hanno accompagnato gli episodi più gravi
di devastazione marciando con gli stendardi neri. L’ha risolto nel senso
che, attraverso il confronto di migliaia di immagini e di documenti,
conosce il volto di ognuno dei tamburini.
Anche in questo caso le foto
segnaletiche sono state trasmesse alle polizie d’oltreconfine. E anche in
questo caso non è mai giunta alcuna risposta. Così questo aspetto
dell’inchiesta è destinato a rappresentare l’ennesimo mistero del G8 di
Genova. Città umiliata per due giorni da migliaia di manifestanti violenti,
che trasformarono le sue strade in campi di battaglia. Per quale motivo una
rete di polizia europea che viene sovente sbandierata come un fiore
all’occhiello dell’Unione ha fatto clamorosamente flop? Perché la polizia
italiana è rimasta da sola in una difficile opera di identificazione dei
devastatori? E’ un quesito al quale gli investigatori genovesi non sanno
ancor oggi dare una risposta.
Negli archivi della procura (il pool
cordinato dal procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino ha lavorato per due
anni su migliaia di immagini) ci sono ormai tutti gli episodi di violenza
che avvennero al di fuori della barriera invalicabile, quella che cingeva
la zona rossa. Così come ci sono i nomi di altre sessanta-settanta persone
alle quali verranno contestate, nelle fasi successive dell’inchiesta,
singoli reati di resistenza, lesioni, danneggiamenti. Anche questi tutti
italiani. Ma i gruppi che giunsero dall’estero, per trasformare il G8 di
Genova in una sorta di insurrezione, sembrano destinati a rimanere
impuniti.
M. Men.