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I signori della truffa. Barclays e le altre banche

par Contropiano

Publie le martedì 3 luglio 2012 par Contropiano - Open-Publishing
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La "spontaneità" del mercato è come quella delle rivoluzioni. Esiste fino ad un certo punto, poi c’è sempre bisogno di un "aiutino".

Lo scandalo che ha spazzato (momentaneamente) via i vertici della potente banca inglese Barclays è una radiografia in diretta di come "i mercati" siano manipolabili a piacimento da pochi, pochissimi, grandi manager delle grandi banche globali. Basti pensare che Barclays "rivede" e pubblica il tasso Libor, l’unità di misura di tutto il mercato interbancario a breve termine. La base anche per i mutui, i prestiti, insomma tutta l’attività creditizia. Basti pensare agli 800.000 miliardi di "prodotti finanziari derivati" (13-14 volte il Prodotto interno lordo mondiale) che girano come una mega-astronave aliena intorno al mondo, pronta ad azzerare qualsiasi paese prima di esplodere. La stessa cifra è incerta (fino a qualche settimana fa sembrava che fossero "soltanto" 650mila miliardi) perché questi titoli vengono scambiati over-the-counter; ovvero fuori dai mercati regolamentati. E vi sembra normale che un mercato "ombra" domini le dimaniche dei mercati "in chiaro"? Per Barclays, Goldman Sachs, Citigroup, JpMorgan, Ubs, ecc, è tutto normale. Un Libor in mano a un pool limitato di banche rientra nelle cose "normali".

E cos’ lo hanno manipolato per anni.

Barclays lo ha fatto per poter vendere i propri "prodotti finanziari" scrausi. Un "arbitro" che gioca anche in proprio, che nega un rigore contro di sé e se ne assegna quattro inesistenti. I bambini dei campetti di periferia caccerebbero per sempre uno così stronzo. Sui mercati finanziari, invece, è stato uno dei giocatori più importanti e rispettati. Finora.

E quindi anche Il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, si pone qualche domanda.

Non si gioca con la fiducia

di Alessandro Plateroti

Forse anche più dello scandalo dei mutui subprime, l’inchiesta internazionale sulla manipolazione dei tassi di interesse interbancari che ha travolto la Barclays e le più importanti banche americane ed europee è un colpo durissimo alla credibilità del sistema finanziario.

L’opinione pubblica, e con questa milioni di risparmiatori e di imprese, si sente oggi colpita nelle proprie tasche non solo dai comportamenti illeciti di banchieri spregiudicati che hanno evitato le bancarotte grazie all’aiuto dei contribuenti, ma si sente anche tradita nella fiducia dalle inefficienze dimostrate dai modelli di corporate governance e soprattutto dai gravi ritardi dalle autorità di vigilanza. La sensazione è che a 4 anni di distanza dallo scandalo dei mutui subprime, la promessa di nuove regole e più vigilanza sia stata in larga parte disattesa: i problemi dei mercati, dall’assenza di una vigilanza globale sugli intermediari alla costruzione di un nuovo quadro di rapporti finanziari e valutari mondiali, restano ancora gli stessi della rovente estate del 2008.
Come si può spiegare, del resto, che anche dopo il crack di Lehman Brothers un trader di Jp Morgan - cioè della più grande banca del mondo - possa bruciare 9 miliardi di dollari in scommesse sballate sui derivati senza che nessuno se ne accorga? O come si può accettare che anche dopo la lezione dei mutui subprime, nessuna delle due grandi agenzie di vigilanza sui mercati, la Sec americana e la Fsa inglese, si sia accorta che per ben quattro anni le più grandi banche mondiali hanno fissato arbitrariamente (e illegalmente) il costo del denaro per guadagnare più del dovuto sui mutui alle famiglie o sui prestiti alle imprese? Manipolare il Libor, significa alterare un mercato da 800mila miliardi di dollari tra titoli e prestiti.

In un’epoca in cui si hanno più remore a salvare gli Stati che a salvare le banche, l’opinione pubblica ha il diritto di avere risposte. I nemici del risparmio, come appare sempre più evidente, non sono solo gli speculatori che si accaniscono sui titoli di Stato, ma sono soprattutto le inefficienze nella vigilanza e il senso di impunità che sembra pervadere troppi santuari della finanza. Al risparmiatore non tornano più i conti: dopo quattro anni, lo scandalo dei subprime resta senza colpevoli. Nella peggiore delle ipotesi, trader e banchieri accusati di truffa hanno pagato una multa senza ammettere una colpa.

Insieme alla crisi del debito, è ora di affrontare la crisi della vigilanza e soprattutto la pericolosissima esplosione della crisi morale (e di legalità) che sta emergendo da troppe zone d’ombra del mercato. Basti pensare che sulla sola piazza di Londra, sono state segnalate in un solo anno ben 247.601 operazioni finanziarie illecite, di cui il 77% effettuate da banche inglesi regolate e vigilate. E in America la situazione non è migliore. Il 7 marzo scorso, in un’audizione parlamentare sulle priorità di spesa per il 2013, il direttore dell’Fbi Robert Mueller ha rivelato che nel solo 2011 sono state avviate contro le banche oltre 3mila inchieste per frode sui mutui: «Questa cifra - ha detto Muller - è quattro volte superiore al numero dei casi registrati nel 2005». L’allarme è talmente alto da aver spinto l’Fbi a chiedere risorse aggiuntive per 14 milioni di dollari e l’arruolamento di almeno 44 nuovi agenti specializzati in analisi di bilancio, mercati finanziari e tecniche bancarie. Ma l’esplosione dei casi di frode bancaria e manipolazione dei mercati sta mettendo in crisi soprattutto la Sec, a lungo considerata come la più efficente e temibile agenzia di vigilanza finanziaria del mondo: il direttore dell’Enforcement, Robert Khuzami, ha rivelato che la Sec è attualmente impegnata in oltre 90 cause per frode contro trader e banchieri, il 50% in più del 2011, ma che lo staff legale per i processi è di appena 36 persone. «In queste condizioni - ha ammesso il responsabile dell’area legale dell’agenzia - gli accusati hanno tutto l’interesse a prolungare le cause: se va bene, siamo costretti a transare invece di arrivare a vere e proprie condanne penali».

L’emergenza, insomma, è chiara: senza responsabilità accertate, il rischio è che si diffonda un pericoloso cinismo nei confronti della legge, non più percepita come uguale per tutti. Ma soprattutto, bisogna evitare che nel mondo del risparmio si radichi l’idea sbagliata che tutti i banchieri sono in malafede: la fiducia è il cardine dei mercati, il pilastro più importante delle economie e dei sistemi finanziari.

I signori che decidono il nostro Libor. Non solo Barclays, ecco le altre banche nel mirino. Contratti da 800mila miliardi di dollari

Barclays, la seconda banca inglese per asset, ha ammesso che dirigenti e operatori hanno cercato di manipolare il tasso Libor dal 2005 al 2009. Per questo l’istituto ha patteggiato il pagamento di una sanzione di 451 milioni di dollari commissionata dalla Fsa (Financial Services Authority), dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e dalla Commodity Futures Trading Commission degli Stati Uniti. Per questo motivo ieri il presidente di Barclays, Marcus Angius si è dimesso dalla guida della banca inglese e dalla guida della British Banker Association (Bba), il gruppo che supervisiona e pubblica quotidianamente le quotazioni degli indici Libor. E per questo motivo si è dimesso stamani anche Bob Diamond il ceo dall’eterno sorriso.

Le altre banche nel mirino

Barclays non è l’unica banca nel mirino nel cosidetto "scandalo Libor", la Financial Services Authority ha accusato il sistema bancario di vendite truccate di prodotti finanziari a migliaia di piccole e medie aziende e annunciando un accordo riparatorio con la Royal Bank of Scotland, Lloyds Tsb, Hsbc.

Secondo l’agenzia Bloomberg i regolatori starebbero indagando, tra i nomi più importanti, anche su Citigroup, Ubs, Icap, e Deutsche Bank.

Come si calcola l’indice Libor

Gli indici Libor sintetizzano la media dei tassi a cui un panel di banche dichiara di prendere in prestito fondi non garantiti sulla base di 15 scadenze diverse, fino a un massimo di 12 mesi. Nel complesso, il panel di banche utilizzato per il calcolo degli indici Libor da parte della Bba oscilla tra 6 e 18, a seconda della valuta di riferimento. Gli indici Libor , infatti, vengono espressi in 10 valute differenti (dollaro Usa, sterlina, euro, franco svizzero, yen, dollaro canadese, dollaro australiano, dollaro neozelandese, corona danese, corona svedese).

I contratti agganciati al Libor

Al pari degli indici Euribor, che sintetizzano i tassi interbancari dichiarati da un panel di 43 banche soprattuttuo europee e che lo scorso ottobre è finito nel mirino dell’Antitrust sul sospetto di manipolazioni degli Euribor, gli indici Libor sono utilizzati per calcolare i tassi applicati su prestiti a famiglie e su contratti derivati. Secondo la Commodity Futures Trading Commission sono legati al Libor più di 800mila miliardi di dollari in titoli e prestiti, compresi 350mila miliardi in contratti swaps e 10mila in prestiti, fra cui quelli per casa e auto.

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Messaggi

  • L’economia mondiale è ormai alla mercè di questi gangsters, che si comprano i politici e impongono le loro regole a tutti !!

    Il problema è che non si riesce ad intravedere chi e come possa opporsi a questa funesta egemonia e rompere questo monopolio della finanza sporca e distruttiva.

    Il sistema politico è quasi completamente a libro paga di questi signori ed il rischio è quello di una catastrofe economica planetaria più devastante di un conflitto termonucleare su scala mondiale.

    Nel secolo scorso il rimedio erano le guerre totali che, con un crudele lavacro di sangue, ristabilivano nuovi equilibri e fissavano nuove egemonie.

    Con la seconda guerra mondiale fu pagato un tributo di 50 milioni di morti : c’è oggi qualcuno che vuole di nuovo questo ??!!

    MaxVinella

    • Il mito delle "regole" in un sistema che produce follia

      Il fantasma di Barclays che manipola addirittura il Libor (tasso base intebancario, sottostante anche all’Euribor dei mutui) illumina la notte del "mercato dei derivati".

      Un mercato finto, pieno di soldi virtuali ma con effetti reali, sul mondo reale. Un articolo perfetto del Sole 24 Ore, organo di Confindustria, ma giornale "serio" quando decide di fare il giornale serio. E viene più facile quando c’è da picchiare sulla finanza. In fondo Confindustria rappresenta gli interessi delle imprese impegnate nella produzione "fisica". Per le banche c’è l’Abi. E le banche non hanno "un" giornale; li controllano quasi tutti.

      Un’annotazione che il Sole non può fare è però necessaria. Le cifre qui manipolate sono tali da rendere solare il fatto che qualsiasi taglio alla spesa pubblica, qualsiasi fiscal compact, qualunque "pareggio di bilancio" messo per obbligo in Costituzione, qualsiasi sacrificio umano è una goccia rispetto all’oceano di merda prodotta e maneggiata da questi bastardi.

      Detto in modo più sereno: non serve a nulla. Non "usciremo dalla crisi" con questa roba. Vi finiremo dentro, invece, nei modi peggiori e più sanguinosi che esistono.


      La finanza malata scuote i mercati

      LONDRA. Dal nostro corrispondente Morya Longo

      «Il volto inaccettabile del capitalismo» aveva i capelli d’argento e la mascella squadrata di Tiny Rowlands, signore di Lonrho, conglomerato che spaziava dalle miniere in Rhodesia fino al grande magazzino Harrods passando per una testata oggi liberal come l’Observer. «Il volto inaccettabile del banking», ha i lineamenti netti e l’eterno sorriso di Bob Diamond, 60 anni, ceo di Barclays, la banca salvata dal credit crunch grazie all’acrobatico intervento di investitori arabi giunti un attimo prima che toccasse allo Stato staccare il solito assegno. L’acida battuta di Lord Mandelson contro Bob Diamond echeggia quella, storica, che l’ex premier Edward Heath rivolse negli anni Settanta al tycoon in bilico fra Africa e Inghilterra.

      Altri tempi, simili dinamiche. Londra è ancora, saldamente, alla tesa del resto del mondo, negli eccessi di spavalderia oltre i limiti del lecito. E se ieri erano conglomerati di dubbia origine, oggi sono banche afflitte da garibaldine presenze. «Hey big boy, ti devo una bottiglia di champagne...!». La battuta che un trader di Barclays ha gettato fra le gambe del suo collega chiamato a fissare gli indici Libor (il tasso che regola i prestiti fra le banche, ma detta anche quello sui mutui di milioni di contribuenti) potrebbe essere un simpatico siparietto se non avesse contribuito a manipolare una fetta dei 350mila miliardi di dollari di prodotti finanziari regolati da London interbank offered rate. Parole pronunciate con il duplice obiettivo di salvare la reputazione della banca e il book del trader che evitava il rischio di restare scoperto. E magari su quel margine maturato fittiziamente consolidava anche una fetta del suo bonus personale. Ci penserà l’inchiesta parlamentare e forse anche quella penale a svelare i dettagli.

      Le chiacchiere sul Libor massaggiato ad arte s’accavallano dal 2007, ma abbiamo dovuto attendere il 2012 per vedere esplodere uno scandalo che ha travolto il presidente della banca Marcus Agius e minaccia anche Bob Diamond. Da allora, quando la Commodity futures trading commission annusò odore di bruciato, ad oggi, non solo sono passati cinque anni, ma anche uno tsunami sul mondo finanziario che si sperava avesse indotto a mutare i comportamenti. La storia di Barclays ci dice una volta di più che non è così. Anzi la storia del Libor visto che le banche potenzialmente coinvolte sono una ventina, da Londra a New York fino a Zurigo e Tokio.

      Ma basta guardare i titoli dei giornali per leggere in rapida successione storie che si ripetono. Da quelle di Fred il dissipatore, ovvero sir Alfred Goodwin, il ceo che portò Royal Bank of Scotland al Tesoro di Sua Maestà oggi legittimo possessore di quel che resta di una banca, a quelle di oggi. Chasing Alpha, la caccia al massimo profitto magistralmente narrata da Philip Augar, banker pentito, resta sempre l’obiettivo ultimo, anche a costo di inaccettabili manipolazioni dei mercati. Prima di Lehman e dopo Lehman. Nei comportamenti delle grandi banche che spesso sono dettati da piccoli banchieri. O almeno così si vuol far credere. Chi è nella storia del credito the London Whale, al secolo Bruno Iksil, trader francese soprannominato la Balena di Londra per l’enorme esposizione sui derivati? Nessuno, eppure s’è giocato circa 9 miliardi di dollari di JP Morgan, se le indiscrezioni saranno confermate dai fatti. E chi è Kweku Adoboli trentunenne, ambiziosetto oltre il lecito, trader di Ubs? Conta molto meno di Iksil, ma s’è giocato 2 miliardi, ancora una volta su contratti derivati, facendo saltare il banco di un istituto che oggi ha cambiato tutta la squadra di vertice. E prima di loro? Non possiamo dimenticare SocGen e le magie di Jerome Kerviel che hanno volatilizzato 5 miliardi circa di euro. Fattucchiere del terzo millennio, con soldi (spesso) nostri. Abili talvolta anche nell’incantare gli inquirenti. Kweku Adoboli e Jerome Kerviel hanno conosciuto la galera, ma nel caso Libor fino ad ora è stato detto che «non è possibile individuare responsabili diretti». Li cercano e forse li troveranno, a guidare la caccia è lo stesso Bob Diamond che così si sfila dal ruolo di responsabile ultimo. Inchieste interne a Barclays, Lloyds, Rbs dovranno svelare se ci siano responsabilità in altri due scandali, considerati minori: polizze assicurative piazzate a clienti privati e a Pmi. In entrambi i casi prodotti di fatto inesigibili, affibbiati per incompetenza o, più probabilmente, per eccessi di avidità.

      Le storie di malafinanza, figlie di regole lasse nell’approccio dei regolatori, sono molto british. Non solo british. London Whale non avrebbe potuto fare quello che ha fatto se il desk americano non avesse chiuso un occhio. Insider trading, si narra nella City, era il bonus che i banchieri si davano quando il bonus - e la legge - non esisteva, ma Raj Rajaratnam fondatore dell’hedge fund Galleon ha pensato bene di continuare a darselo. Fino a quando, dopo aver accumulato 53,8 milioni di dollari illecitamente sfruttando informazioni riservate per investire in Borsa, Rajaratnam è stato condannato a 11 anni di reclusione. L’accusa, messa nero su bianco l’ottobre scorso, è appunto di insider trading.

      Ma di scandali sempre uguali, che ogni volta producono nuove regole e nuovi modi per aggirarle, se ne trovano a centinaia negli anni. La madre di tutte le inchieste fu, tra la fine degli anni ’90 e i primi del nuovo millennio, quella condotta a New York dalla Procura e dalla Sec di Arthur Levitt. Erano i tempi del boom della Borsa, quando qualunque società si quotasse a Wall Street veniva accolta con rialzi eclatanti. L’inchiesta scoprì che molte banche d’affari assegnavano le azioni "d’oro", prima del loro sbarco in Borsa, ai clienti che pagavano extra-commissioni. Insomma: chi pagava una sorta di "pizzo", sapeva di avere una priorità quando le banche d’affari decidevano a chi assegnare le azioni pronte a sbarcare a Wall Street. L’inchiesta coinvolse tutte le maggiori banche, molte delle quali chiusero le vertenze con transazioni milionarie.

      Ma l’inchiesta scoprì anche altro: che molte grandi società, tra cui la Worldcom di Bernie Ebbers, "barattavano" con le stesse banche d’affari generosi contratti in cambio di rating compiacenti sui loro titoli. Se una banca consigliava ai clienti di comprare le azioni di una società, questa era insomma disposta poi ad assicurare alla stessa banca d’affari contratti d’oro di consulenza. Un "baratto" che in fondo ricorda, pur con altre dinamiche, quello più recente che ha assicurato a molte banche d’affari dei rating compiacenti quando emettevano le obbligazioni sui mutui Usa. Cambiano i tempi, cambiano le bolle speculative, ma non le manipolazioni. E neppure i soggetti. «Il volto inaccettabile del banking» resta sempre lì: in Borsa.

      Mercati manipolati: i casi del passato

      LA BOLLA (E LA TRUFFA) DEL 2000

      Lo scandalo delle Ipo gonfiate
      Alla fine degli anni ’90 la Sec (nella foto l’allora presidente Arthur Levitt) scopre i meccanismi poco ortodossi con cui molte banche d’affari assegnano le azioni in fase di collocamento in Borsa. Quelli sono gli anni del boom della Borsa, in cui gli investitori si strappano di mano le azioni che, molto spesso, volano già nel primo giorno di quotazione. Le autorità scoprono che le banche d’affari spesso assegnano più azioni in fase di Ipo (Initial public offering) agli investitori che pagano delle sovra-commissioni. Insomma: molte banche d’affari avrebbero privilegiato alcuni clienti in cambio di commissioni gonfiate. Molte banche hanno poi chiuso transazioni milionarie per chiudere il caso.

      100 milioni

      DERIVATI AMARI

      La «Balena» di JP Morgan
      È un trader di JP Morgan con ufficio a Londra e si chiama Bruno Iksil. È lui la «balena di Londra», cioè l’operatore che ha preso posizioni così consistenti sui credit-default swap da causare perdite stimate a 9 miliardi di dollari a JP Morgan. Le ultime rivelazioni fanno sospettare che a Iksil fosse stata data carta bianca dalla banca: la sua divisione, incaricata di operazioni di protezione dai rischi, si era trasformata in un centro di profitto. Cioè di aggressive operazioni di trading capaci di rapidi profitti come di improvvise perdite. La divisione aveva generato in tre anni più del 10% dei profitti della banca, oltre 5 miliardi su 48. Ora, però, le perdite potrebbero arrivare a 9 miliardi.

      9 miliardi

      RISCHI COPERTI, MA PER FINTA

      Il trader ghanese
      Ha aperto nei conti della banca svizzera Ubs una falla da 2,3 miliardi di dollari. Il trentunenne trader ghanese Kweku Adoboli (nella foto), giovane responsabile del desk Delta One, l’anno scorso è stato al centro di uno scandalo finanziario. Il trader operava sugli Etf, facendo finta di "coprire" il rischio delle proprie posizioni con operazioni di hedging che in realtà non venivano realizzate. In questo modo, quando nel management dell’istituto si era già piantato un forte dubbio, il trader aveva accumulato posizioni enormi. Sollecitato dai supervisor a dare spiegazioni, Adoboli è poi crollato aprendo la via all’inchiesta e all’arresto.

      2,3 miliardi

      INFORMAZIONI RISERVATE, GUADAGNI SICURI

      L’insider trading di Galleon
      «I suoi reati e la loro portata sono lo specchio di un virus nella nostra cultura di business che deve essere sradicato». Il giudice federale Richard Holwell ha commentato così, lo scorso ottobre, la sentenza che ha inflitto 11 anni di carcere all’ex supermanager dell’hedge fund Galleon, Raj Rajaratnam.
      Rajaratnam – fondatore nel 1997 di un fondo cresciuto fino a 7 miliardi di dollari che aveva sempre dato soddisfazioni ai suoi investitori – era stato riconosciuto colpevole a maggio di insider trading: il suo fondo investiva grazie alle "soffiate" di molti top manager di società quotate a Wall Street. E sfruttava informazioni riservate.

      53 milioni