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2003-07-26 Il Manifesto
Il contratto rinasce in periferia
GABRIELE POLO
Primo bilancio dei pre-contratti della Fiom: in un mese decine di accordi per riconquistare in fabbrica ciò che è stato negato a livello centrale. Gli scioperi si diffondono, i padroni sono sempre più nervosi
Rianimare un contratto nazionale pugnalato da un accordo separato ricostruendone il valore azienda per azienda è una fatica di Sisifo.
La Fiom - dopo l’intesa tra Fim, Uilm e Federmeccanica del 7 maggio - ha deciso di provarci con lo strumento dei pre-accordi, una pratica inedita nella storia sindacale italiana: una stessa piattaforma - che ricalca quella respinta dalle imprese a licello nazionale - viene presentata in centinaia di aziende (dopo essere stata approvata dai lavoratori con un referendum) e su questa base si aprono tantissime vertenze per ottenere un obiettivo comune: la pratica è articolata, il fine lo stesso.
Il primo bilancio di quest’iniziativa è sorprendente: in un mese sono state discusse, votate e presentate 1.058 piattaforme (coinvolgendo 210.000 lavoratori), sono state effettuate 32 ore di sciopero (in alcune zone qualcuna in più), sono stati firmati 67 pre-contratti (10.000 lavoratori interessati), sostanzialmente identici tra loro (aumenti tra i 115 e i 120 euro uguali per tutti, conferma della parte normativa del contratto del 99 - cioè nessun recepimento delle nuove leggi sul mercato del lavoro e sull'orario -, conferme a tempo indeterminato degli assunti a termine).
I contratti già firmati sono in realtà molti di più, ma le notizie filtrano col contagocce perché gli imprenditori spesso chiedono «l'anonimato» o, almeno, la diffusione delle intese «a pacchetto». In sostanza molte imprese temono la furia dei loro vertici istituzionali (Federmeccanica e Confapi) il cui operato viene sconfessato nei fatti.
In sostanza i padroni stanno vivendo una crisi di rappresentanza: da un lato si scontrano con la materialità degli scioperi che bloccano la produzione (e i profitti) e firmano i pre-contratti, dall'altro sono pressati dalle loro stesse organizzazioni che chiedono di non sconfessare l'intesa separata del 7 maggio.
I pre-contratti ufficialmente firmati per ora si concrentrano al nord, in particolare in Emilia e Lombardia, mentre il centro-sud sembra segnare il passo. In provincia di Bologna ne sono stati siglati nove (le vertenze aperte sono 90), dalla Minarelli alla Caterpillar.
Ma, forse il caso più significativo si è verificato alla Nuova Renopress, il cui proprietario, Alberto Ponfellini, è il vice-presidente dell'Api locale, l'organizzazione padronale che nei giorni corsi si era appellata alle autorità locali per «riportare un clima di normalità nelle aziende coinvolte dalle pretese della Fiom». (Pensa che bello quando c'era un Bava Beccarsi pronto con i suoi cannoni a falciare i facinorosi)
L'Api bolognese si è persino rivolta al candidato sindaco Sergio Cofferati per ricondurre alla «ragione» i metalmeccanici.
Poi il suo vice-presidente ha firmato: «Sono stato costretto dagli scioperi a farlo», si è giustificato, non facendo altro che avallare la strategia della Fiom, visto che gli scioperi si fanno proprio per convincere la controparte a firmare.
Il «paradosso» della Renopress è paradigmatico: «Le imprese sono in difficoltà - dice Maurizio Landini, segretario bolognese della Fiom - il consenso alle nostre proposte aumenta anche nelle votazioni per le Rsu e gli scioperi funzionano, perché le persone vogliono reagire all'attacco al diritto di contrattare la propria condizione di lavoro».
Dopo questo incoraggiante esordio lo sforzo ora si sta concentrando sulle grandi imprese (Gd, Ima, Bonfiglioli, Lamborghini) dove si sono appena aperte le trattative.
In Emilia i pre-accordi resi noti sono 25, ma il numero è destinato a crescere rapidamente, anche perché ovunque gli scioperi funzionano e si articolano anche con una certa fantasia.
Come in provincia di Reggio Emilia (9 intese firmate, 150 vertenze aperte su 200 aziende presenti sul territorio), alla Imergas di Brescello (600 addetti) dove l'articolazione è arrivata a scoprire lo «sciopero di genere»: si fermano per mezz'ora prima gli uomini, poi le donne (e la fabbrica si ferma per un'ora), mentre è in preparazione quello «di cartellino» (prima i numeri pari, poi i dispari). «In questo modo lo sciopero costa di meno e fa più male», spiega il segretario Guido Mora, rilanciando in forma moderna le antiche articolazioni degli anni
60, quelle che facevano impazzire le imprese.
Alla base delle lotte operaie c’è il nodo della democrazia e della partecipazione. I referendum che approvano le piattaforme da presentare alle imprese hanno un valore non solo di metodo ma anche di merito perché praticano la democrazia e questo ha un riscontro anche in termini «elettorali»: la Fiom aumenta i propri consensi ovunque e alla Berco di Ferrara (3.000 dipententi su tre stabilimenti) al 61% di partecipazione al voto nel referendum ha fatto riscontro un aumento del 10% dei voti alla Fiom nelle elezioni per le Rsu.
Naturalmente un simile livello di conflitto non è esente da ripercussioni.
Fioccano i provvedimenti disciplinari e le sospensioni, addirittura per motivi «ideologici», come alla Kone (ascensori, 1.800 dipedenti) di Milano dove i delegati sono stati convocati dalla direzione per chiedere se erano d’accordo con i contenuti di un volantino della Fiom sulla vertenza: chi rispondeva di sì è stato sospeso.
Maurizio Zipponi - segretario Fiom di Milano - descrive un quadro fiducioso: «Abbiamo firmato 10 pre- accordi (24 in Lombardia) e nessuno, tra i lavoratori, pensa che la partita finisca lì.
Anzi, dopo la firma gli operai sottoscrivono per la cassa di resistenza e si prenotano per la manifestazione nazionale del 17 ottobre. Perché questa forma di lotta tiene la concretezza di intese buone da incassare con la prospettiva della lotta generale sul contratto nazionale da riconquistare».
I 67 accordi «ufficiali» sono un buon viatico alla vigilia delle vacanze estive per allargare la partita ai grandi gruppi. A settembre partiranno Whirlpool, Candy, Zanussi, Piaggio, mentre alla Fiat i pre-contratti si misureranno con l’incubo della dismissione.
Alla Merloni si stanno svolgendo le assemblee (ieri si è votato nello stabilimento di None, in Piemonte, dove la piafforma Fiom è stata approvata dall’80% dei presenti), mentre chi ha già scioperato a lungo è Fincantieri.
«Anche qui l’azienda - ricorda Sandro Bianchi - è in difficoltà, ma continua a negare l’apertura del confronto» e nei corridoi della direzione si confida in un collasso della Fiom e nella giubilazione del suo gruppo dirigente (forse rifacendosi alle parole di Pezzotta nell’intervista rilasciata mercoledì all’Unità in cui chiedeva alla Cgil di tagliare le teste in Fiom).
Così il coordinamento nazionale della cantieristica ha deciso di riprendere gli scioperi dopo la pausa estiva, a partire dal 1 settembre, accentuandone la radicalità e coinvolgendo i dipendenti degli appalti e quelli della ex Grandi motori. Per il 26 settembre è previso uno sciopero di tutto il griuppo con manifestazione nazionale a Trieste.
E settembre sarà certamente un mese decisivo, in preprazione del corteo di tutti i metalmeccanici del 17 ottobre a Roma e in coincidenza con altri nodi che verranno al pettine, dalla Finanziaria alle pensioni all’entrata in vigore delle nuove norme che precarizzano ulteriormente il mercato del lavoro.
Forse allora anche i media si accorgeranno delle lotte della Fiom e i metalmeccanici torneranno a essere considerati «il cavallo da tiro» che gioca per tutti.