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Impressioni da Cancun

Publie le lunedì 22 settembre 2003 par Open-Publishing

Ciao a tutte e a tutti,

di ritorno da Cancun, piano piano mi si sistematizzano i ricordi e le
impressioni vissute in quelle magnifiche e tragiche giornate. Esiste
un mondo nel mondo, fatto di donne e uomini, diversissimi tra loro,
per formazione e vissuto, lingua e culture, che sente, sogna e lotta
per gli stessi obiettivi, per ottenere gli stessi risultati. A volte,
lavorando ognuno di noi nei nostri territori, si ha la sensazione di
essere isolati e il nostro agire inutile. Condividere insieme le
giornate a Cancun è stato un ripristinare una verità
oggettiva:

esiste veramente un mondo nel mondo, e noi ne facciamo parte,
profondamente.

La giornata del 10 settembre si è aperta alla Casa della Cultura
con
un’esplosione di colori, i colori delle contadine e contadini
maya,
arrivati a Cancun da lontano con grande sacrificio, anche economico,
con autobus vecchissimi. Molte donne e uomini segnati fisicamente da
una vita difficile, fieri, orgogliosi, con una grande dignità.
Splendida gente che ha riempito la sala di striscioni con
rivendicazioni e raffigurazioni di Zapata e Che Guevara. Una
realtà
viva e palpitante che strideva nettamente con il contesto della
città: Cancun è un luogo orribile, venticinque chilometri di
striscia
di terra che delimita una laguna dal mare, pieno di grattaceli-
alberghi degni solo di Holliwood, fast-food, insegne luminose,
spettacoli per i turisti. Cancun come simbolo delle contraddizioni
mondiali: un posto finto, di plastica, che vende illusioni senza
senso, costruito a tavolino negli anni ’70, inserito in un
contesto
molto povero.

La gente alla Casa della Cultura, quella mattina e i
giorni successivi, si è riappropriata di un luogo delirante,
transennato e inospitale. Dal palco si sono succeduti interventi di
vari rappresentanti di Via Campesina nel mondo, tra questi i coreani
che, con una nutrita delegazione, erano venuti in 300 da così
lontano, ci hanno raccontato in che situazione miserevole sono
costretti a vivere a causa delle politiche neoliberiste imposte dal
WTO. Ci si stava intanto preparando per la manifestazione. Obiettivo
dichiarato: lo sfondamento della zona rossa. Sarebbe stato il primo
contatto con le forze di polizia ed esercito messicane e ne si
attendeva la reazione. Il corteo si è mosso, coloratissimo e
festoso
sotto un caldo massacrante. I coreani avevano preparato una bara di
carta colorata che portavano in spalla a simboleggiare la morte del
WTO. Un grande Dio azteco dell’acqua, portato su ruote dai
ragazzi
messicani, chiedeva che non venisse privatizzata. E poi lo spezzone
delle lesbiche e gay, delle donne, tante, degli indigeni, e
striscioni, e rappresentazioni dei contadini messicani che offrivano
i loro tesori, mais, semi, terra, fiori, legumi, e musica, tamburi,
ritmi coinvolgenti.

Tutti insieme, tutti mescolati, indigeni,
europei, americani, asiatici. Arrivati alle transenne rosse, i
giovani, i contadini, i coreani iniziano a demolirla con grande
determinazione. Abbattere le zone rosse, ovunque siano, è giusto,
necessario, indispensabile. Si sentono dei colpi, lì per lì
sembrano
spari e ci si allarma molto. Pochissimi minuti dopo urlano dalla
calca che c’è necessità di un medico. Lì vicino dove mi
trovavo viene
portato a braccia un uomo immobile, pallidissimo. E’ un asiatico.
Sono infermiera e da Genova 2001in poi porto sempre nello zaino il
necessario per il primo soccorso. Mi precipito. Sta malissimo. Gli
occhi aperti ed immobili, la respirazione troppo superficiale per
essere efficace, ha una ferita al torace, a sinistra, che non
sanguina quasi, lunga 3-4 centimetri, si esclude il colpo d’arma
da
fuoco.

E’ il coreano che si è suicidato, ma noi soccorritori
non lo
sapevamo ancora. Gli alzo le gambe per recuperare pressione, si
aspetta con ansia l’ambulanza, ma quell’uomo sta morendo, e
noi
impotenti lì ad assistere alla sua agonia. E’ terribile, mi
ripetevo,
anche a Cancun è morto un uomo e non so ancora perché,
chissà cosa
pensa ora, cosa vede da quei suoi occhi vitrei, ma quando arriva
questa dannata ambulanza. Quando finalmente arriva, per me è
già
morto (il referto ufficiale dell’ospedale dice che è morto un
po’ di
tempo dopo). La notizia del suicidio si diffonde rapidamente per
tutto il corteo. Un grande turbamento collettivo, incredulità,
impotenza, rabbia e un grande rispetto verso il gesto di un uomo che
da anni, anche con digiuni prolungati, lotta contro le ingiustizie
dei potenti.

I coreani rivendicano subito il gesto del loro compagno,
dichiarano che è morto perchè altri possano andare avanti.
All’ospedale, e nei giorni successivi in vari punti della
città,
allestiscono degli altarini pieni di candele e con le foto di Lee.
Questo tragico episodio ha inevitabilmente cambiato un po’
l’agenda
delle giornate successive: alcuni forum e conferenze non si sono
svolte ed altre hanno cambiato all’improvviso sede di
svolgimento.
Non si sapeva ancora molto il 12/9 sulla manifestazione conclusiva
del giorno dopo se non l’ora e che avevano aderito i sindacati.
Si
temeva per sua la riuscita. Nel frattempo, venivano notizie
inquietanti dal palazzo della ministeriale del WTO: i G21
(all’inizio
erano 21) stavano subendo pressioni e ricatti tremendi da parte degli
Usa e UE per desistere dalle loro posizioni.

L’ansia per una
loro
tenuta era alta. Forse avrebbero prolungato la ministeriale di un
giorno. Forse avrebbero fatto un accordo cornice di facciata per
rimandare il tutto all’anno prossimo. Forse. Da palazzo
arrivavano
anche le notizie delle azioni delle ONG che si muovevano con grande
determinazione e con molti colpi di scena tant’è che si diceva
che
gli avessero proibito di assistere alle conferenze stampa ufficiali a
causa delle loro azioni di disturbo. In tutto il territorio di Cancun
intanto si moltiplicavano azioni di blocco. Nei pressi del palazzo
delle conferenze cinque ragazzini molto determinati hanno paralizzato
per quasi un’ora il traffico della zona degli hotels ed attirato
decine di soldati e giornalisti: fuori dalle transenne urlavano come
pazzi che volevano circolare liberamente nella loro città senza
quelle maledette gabbie rosse. Una bella ragazza, tolta la maglia e
rimasta in costume, urlava che voleva andare a casa sua oltre le
transenne perché quella era l’unica che aveva e voleva
cambiarsi.

Degli americani, entrati incredibilmente nella zona della
ministeriale si sono arrampicati e denudati su una gru di un hotel in
costruzione, e dopo aver svolto uno striscione, hanno dichiarato che
non sarebbero scesi se non al termine dell’incontro ufficiale. I
GC
con Via Campesina hanno compiuto un blitz nella zona delle
conferenze, dove sono stati ingabbiati con le transenne dalla
polizia, senza conseguenze ma paralizzando per molto il traffico
propio sotto le finestre dei delegati. Un vero fermento
generalizzato, fuori e dentro la ministeriale.
Malgrado i timori dei giorni precedenti, la manifestazione del 13 ha
visto una larga partecipazione, maggiore addirittura di quella del
10, più colorata e determinata. L’avanguardia era
rappresentata dalle
donne, indigene, europee, americane, militanti e non. Le indigene,
dopo un rito di preghiera immerse nelle acque di una grande fontana,
con petali di fiori e polvere rossa profumata, si sono unite alle
altre.

Le barriere erano state ulteriormente rafforzate
dall’esercito
e poste in posizione più arretrata rispetto il 10: doppia fila di
transenne, tra le due fila altre transenne poste in diagonale e il
tutto sostenuto da pesanti blocchi di cemento. Sembrava fosse
impossibile questa volta abbattere la zona rossa ma il lungo lavoro
certosino e coordinato di tutti è riuscito nell’intento. Le
donne, in
prima fila, hanno iniziato, con le cesoie e un paziente lavoro, a
tagliare la rete, Via Campesina e i coreani, con robuste funi
intrecciate, hanno divelto, in un grande gioco alla fune, transenna
per transenna. Il gruppo dei black-block, spontaneamente, faceva il
servizio d’ordine a Via Campesina, con i loro carrelli carichi di
tutto, massi, pietre, pali della luce, cartelli stradali. La
posizione arretrata delle transenne e il blocco da parte
dell’esercito di tutte le vie di fuga laterali, ha fatto temere
la
volontà di intrappolare tutti i manifestanti. La tensione era
alta.

La trappola era veramente pronta ma c’è stata la volontà da
parte
delle forze dell’ordine di non farla scattare, malgrado la
determinazione dei manifestanti. A Genova ci hanno massacrato solo
per esserci avvicinati alla zona rossa. Qui è stata divelta
completamente e non è successo nulla. Probabilmente, il governo
messicano che stava nel gruppo dei G21 non aveva nessun interesse a
scatenare una repressione, ma anzi, aveva bisogno di tutto il nostro
dissenso per trarre forza per le sue posizioni.

La notizia del fallimento totale del vertice del WTO, senza accordi
cornice di facciata, senza intese, senza condizioni, dopo tutto il
lavoro collettivo, mondiale, portato avanti in questi mesi e tra
mille difficoltà, è stato accolto con una grande gioia.

Il
Movimento,
a volte litigioso e inconcludente, diviso, settario e
autoreferenziale, ha vinto sul WTO! Si apre ora una stagione
importante, se la sappiamo cogliere.

Il 4 ottobre a Roma c’è da
dare
una forte spallata all’Europa che vorrebbero, figlia diretta
dello
spirito del WTO. Cancun insegna che diversi ma uniti, radicali e
determinati si vince.

A Cancun Davide ha vinto Golia, ma ora chi è
Davide e chi Golia?

Ne siamo consapevoli fino in fondo?

Un abbraccio a tutti