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In carcere le suore pacifiste

Publie le martedì 29 luglio 2003 par Open-Publishing

Avevano preso a martellate un silos in cemento armato che conteneva
missili, in una base Usa. Tre religiose, dai 55 ai 68 anni, condannate
per «attentato alla sicurezza nazionale»
FRANCO PANTARELLI
NEW YORK
Disegnare la croce con il proprio sangue sul cemento armato del silos
che contiene i missili e «assalire» quel cemento armato con un comune
martello è una cosa «pericolosamente irresponsabile» e così le pene
fissate per le tre suore che nell’ottobre fecero proprio questo nella
base missilistica di Greeley, in Colorado, sono state condannate a pene
che vanno da due anni e mezzo a tre anni e cinque mesi. La differente
lunghezza delle pene è data dal grado di «recidività» di ognuna di loro.
Queste tre intrepide domenicane, infatti, hanno alle spalle una lunga
storia di azioni dimostrative in nome della pace e prima del loro
«attacco» contro i missili Minuteman, quelli custoditi nei silos di
Greeley, sono state arrestate svariate volte. Il giudice del distretto
federale del Colorado che ha fissato le pene, Robert Blackburn, ha preso
carta e matita, ha fatto i conti di tutti gli arresti precedenti, ha
valutato le circostanze di ognuno di quegli arresti e ha deciso quale
suora dovesse stare in galera più a lungo e quale meno. Ardeth Platte,
66 anni a dieci arresti, ha avuto la condanna più lunga: tre anni e
cinque mesi; Carol Gilbert, 55 anni e tredici arresti (più di quelli
della sua sorella ma avvenuti in circostanze che il giudice ha
evidentemente ritenuto «meno gravi»), è stata condannata a due anni e
nove mesi e a Jackie Hudson, che di anni ne ha 68 e di arresti ne ha
subiti «solo» cinque, è toccata la condanna più breve: due anni e sei mesi.

Sono pene che gettano una luce allo stesso tempo sinistra e ridicola su
questo processo e non fanno fare una gran bella figura alla più grande
potenza del mondo che - nella sentenza di alcuni mesi fa in cui le tre
suore furono riconosciute colpevoli di avere «attentato alla sicurezza
nazionale» - in pratica dichiarò ufficialmente che la propria sicurezza
poteva essere messa a repentaglio da una croce dipinta col sangue e da
alcune martellate su un blocco di cemento armato, un gesto in cui
l’unico vero pericolo lo correva il povero martello. Il procuratore che
sostenne l’accusa, John Suthers, la vedeva ovviamente in modo diverso.
«Contrariamente a ciò che hanno sostenuto le tre imputate, i loro
avvocati e i loro sostenitori - disse all’epoca della sentenza - questo
non è mai stato un caso di soppressione della libertà di chi la pensa
diversamente dal governo. E’ stato semplicemente un caso di rispetto o
no della legge». Ma ieri, al momento di comunicare la sentenza, il
giudice Blackburn è sembrato rendersi conto che la pena prevista dalla
legge per chi «davvero» mette a repentaglio la sicurezza nazionale (e
cioè otto anni) sarebbe stata eccessiva ed ha deciso di soffermarsi più
sulla «pericolosa irresponsabilità» del gesto compiuto dalle suore,
riconoscendo che comunque loro «non hanno creato una vera situazione di
rischio di morte o di ferite per nessuno» e «non hanno costituito una
vera minaccia alla sicurezza nazionale». Il che in pratica coincideva
con quello che aveva sostenuto Walter Gerash, l’avvocato di Jackie
Hudson, con il suo «la mia cliente non ha fatto nulla capace di impedire
ai missili dal fare il loro infernale lavoro».

Le suore hanno ascoltato la lettura delle sentenze in assoluto silenzio
ma non nella terrea immobilità prevista in questi casi. Ogni tanto una
di loro si voltava indisciplinata verso il pubblico (c’erano alcune
decine di pacifisti, mentre altre centinaia erano fuori del tribunale,
agitando cartelli e scandendo slogan) e lanciava qualche sorriso. Il
solo momento in cui hanno parlato è stato quando il giudice, finita di
leggere la sentenza, ha proposto loro di andarsene libere con l’impegno
di presentarsi al penitenziario il prossimo 25 agosto. «No grazie»,
hanno risposto, preferendo cominciare subito. In compenso avevano
parlato prima che il giudice apparisse in aula. «Qualunque sia la
sentenza che riceverò - aveva detto Ardeth Platte - l’accetterò come un
mio contributo alla causa della pace e con l’aiuto di Dio spero che la
prigione non abbatta il mio spirito». Del quale spirito ha fornito un
altro piccolo esempio poco dopo, giusto in tempo prima che il giudice
entrasse in aula. «La speranza del mondo - ha detto rivolta al pubblico
 poggia sulle spalle di noi tutti. Noi la nostra parte la stiamo
facendo. E voi?».