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Intervista a Gelli

Publie le mercoledì 1 ottobre 2003 par Open-Publishing

"Guardo il Paese, leggo i giornali e dico: avevo già
scritto tutto trent’anni fa"

"Giustizia, tv, ordine pubblicoè finita proprio come dicevo io"

dal nostro inviato CONCITA DE GREGORIO

Licio Gelli

AREZZO - Son soddisfazioni, arrivare indenni a quell’età e godersi il
copyright. "Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci
della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il
Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a
poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La
giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa".
Tutto nel piano di Rinascita, che preveggenza. Tutto in quelle carte
sequestrate qui a villa Wanda ventidue anni fa: 962 affiliati alla Loggia.
C’erano militari, magistrati, politici, imprenditori, giornalisti. C’era
l’attuale presidente del Consiglio, il suo nuovo braccio destro al partito
Cicchitto: allora erano socialisti.

Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del paese. "Se le radici
sono buone la pianta germoglia. Ma questo è un fatto che non ha più niente
a che vedere con me". Niente, certo. Difatti quando parla
di Berlusconi e di Cicchitto, di Fini di Costanzo e di Cossiga lo fa con la
benevolenza lieve che si riserva ai ricordi di una stagione propizia.
Sempre con una frase, però, con una parola che li fissa
senza errore ad un’origine precisa della storia.

Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria. Lo
si capisce dopo la prima mezz’ora di conversazione, atterrisce dopo due. Il
Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è
in grado di ricordare l’indirizzo completo di numero civico della prima
casa romana di Giorgio Almirante, l’abito che indossava la sua prima moglie
quel giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre
figli di Attilio Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi
che vide coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui
fece quel certo bonifico un giorno di sessant’anni fa, la targa della
camionetta di quando era ufficiale di collegamento col comando nazista,
quante volte esattamente ha incontrato Silvio Berlusconi e in che anni in
che mesi in che giorni, come si chiamava il segretario di Giovanni Leone a
cui consegnò la cartella coi 58 punti del piano R, che macchina guidava, se
a Roma c’era il sole quella mattina e chi incontrò prima di arrivare a
destinazione, che cosa gli disse, cosa quello rispose.

Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata in
33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta invisibile a
scomparsa. "Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del
giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo tutto.
Però sono tranquillo, gli appunti sono lì".
Il potere della memoria, ecco. Il resto è coreografia: il parco della villa
che sembra il giardino di Bomarzo, con le statue le fontane i mostri, la
villa in fondo a un sentiero di ghiaia dietro a un convento, le stanze con
le pareti foderate di seta, i soffitti bassi di legno scuro, elefanti di
porcellana che reggono i telefoni rossi,
divani di cuoio da due da tre da sette posti, di velluto blu, di raso rosa,
a elle e a emiciclo, icone russe, madonne italiane, guerrieri d’argento,
pupi, porcellane danesi, un vittoriano buio con le imposte chiuse al sole
di settembre, scale, studi, studioli, sale d’attesa coi vassoi d’argento
pieni di caramelle al limone. Ma lei vive qui da solo?. "Sì certo solo". E
questi rumori, le ombre dietro le porte di vetro colorato? "La servitù".

Commendatore, gli sussurra una segretaria pallida porgendogli un biglietto:
una visita. "Mi scusi, mi consente di assentarmi un attimo? E’ un vecchio
amico".
Gelli è in piena attività. Riceve in tre uffici: a Pistoia, a Montecatini,
a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad Arezzo si spingono gli
intimi. Dedica ad ogni città un giorno della settimana. A Pistoia il
venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì, e scende ancora
all’Excelsior. Le liste d’attesa per incontrarlo sono
di circa dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato. Al
telefono coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo "lo zio": "La regola
numero uno è non fare mai nomi ? insiste l’ultimo di una serie di
intermediari ? Lei non dica niente, né chi la manda né perché. La
richiameranno. Quando poi lo incontra vedrà: è una persona squisita. Solo:
non gli parli di politica". Di poesia, vorrebbe si parlasse: perché Licio
Gelli da quando ha ufficialmente smesso di lavorare alla trasformazione
dell’Italia in un Paese "ordinato secondo i criteri del merito e della
gerarchia", come lui dice, "per l’esclusivo bene del popolo" ha preso a
scrivere libri di poesia, ovviamente premiati di norma con coppe e
medaglie, gli "amici" nel ’96 lo hanno anche candidato al Nobel.

"Vorrei scivolare dolcemente nell’oblio. Vedo che il mio nome compare anche
nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come Venerabile
maestro non si parlasse più. Siamo stati sottoposti a un
massacro. Pensi a Carmelo Spagnolo, procuratore generale di Roma, pensi a
Stammati che tentò di uccidersi. E’ stata una gogna in confronto alla quale
le conseguenze di Mani Pulite sono una sciocchezza. In fondo Mani pulite è
stata solo una faccenda di corna. Lei crede che la corruzione sia
scomparsa? Non vede che è ovunque, peggio di prima? Prima si prendeva
facciamo il 3 per cento, ora il 10. Io non ho mai fatto niente di illegale
né di illecito. Sono stato assolto da tutto. Le mie mani, eccole, sono
nette di oro e di sangue".

Assolto da tutto non è vero, dev’essere per questo che lo ripete tre volte
e s’indurisce. Indossa un abito principe di Galles, cravatta di seta,
catena d’oro al taschino, occhiali con montatura leggerissima,
all’anulare la fede e un grosso anello con stemma. Questo avrebbe detto
dunque a Montecatini, a quel convegno a cui l’hanno invitata e poi non è
andato? Dicono che Andreotti l’abbia chiamata per
dissuaderla. "E’ una sciocchezza. Andreotti non è uomo da fare un gesto
simile. Si vede che lei non lo conosce".
Senz’altro lei lo conosce meglio. "Se Andreotti fosse un’azione avrebbe sul
mercato mondiale centinaia di compratori. E’ un uomo di grandissimo valore
politico". Come molti della sua generazione. "Molti, non tutti. Cossiga
certamente. Non Forlani, non aveva spina dorsale. Naturalmente Almirante,
eravamo molto amici, siamo stati nella Repubblica sociale insieme. L’ho
finanziato due volte: la seconda per Fini. Prometteva molto, Fini. Da un
paio d’anni si è come appannato". Forse un po’ schiacciato dalla
personalità di Berlusconi.

"Può darsi. Berlusconi è un uomo fuori dal comune. Ricordo bene che già
allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva questa caratteristica:
sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del fare. Di questo c’è bisogno
in Italia: non di parole, di azioni".
Vi sentite ancora? "Che domanda impertinente. Piuttosto. L’editore Dino, lo
conosce?, ha appena ripubblicato il mio primo libro: Fuoco! E’ stata la mia
opera più sofferta, anche perché ha coinciso con la
morte di mio fratello nella nostra guerra di Spagna. E’ un edizione
pregiata a tiratura limitata, porta in copertina il mio bassorilievo in
argento. Ci sono due altri solo autori in questo catalogo: il Santo padre,
e Silvio Berlusconi". Anche Berlusconi col bassorilievo d’argento? "Certo,
guardi". Il titolo dell’opera è "Cultura e valori di una società
globalizzata". Pensa che Berlusconi abbia saputo scegliere con accortezza i
suoi collaboratori? "Credo che in questa ultima fase si senta assediato. E’
circondato da persone che pensano al "dopo". Non si fida, e fa bene.
E’ stato giusto bonificare il partito, affidarlo a un uomo come Cicchitto.

Cicchitto lo conosco bene: è bravo, preparato". Il coordinatore sarebbe
Bondi in realtà. "Sì, d’accordo. Credo che anche Bondi sia preparato. E’
uno che viene dalla disciplina di partito". Comunista. "Non importa. Quello
che conta è la disciplina e il
rispetto della gerarchia". Ha visto il progetto di riordino del sistema
televisivo? "Sì, buono". E la riforma della giustizia? "Ho sentito che quel
Cordova ha detto: ma questo è il piano di Gelli. E dunque?
L’avevo messo per scritto trent’anni fa cosa fosse necessario fare. Leone
mi chiese un parere, gli mandai uno schema in 58 punti per il tramite del
suo segretario Valentino. Pensa che chi voglia assaltare il comando
consegni il piano al generale nemico, o al ministro dell’Interno? Ma
comunque non è di questo che vogliamo parlare, no? Vuole anche lei avere i
materiali per scrivere una mia biografia? Arriva tardi: ho già completato
il lavoro con uno scrittore di gran fama". Su una poltrona è appoggiato
l’ultimo libro di Roberto Gervaso. La scrive con Gervaso? "Ma no, ci vuole
una persona estranea ai fatti. Se vuole le mostro lo scaffale con le opere
che mi riguardano, le ho catalogate: sono 344". Certo: il burattinaio è un
soggetto affascinante. "Andò così: venne Costanzo a intervistarmi per il
Corriere della sera. Dopo due ore di conversazione mi chiese: lei cosa
voleva fare da piccolo. E io: il burattinaio. Meglio fare il burattinaio
che il burattino, non le pare?".

Sembra che ce ne siano diversi di burattinai in giro ultimamente. "Il
burattinaio è sempre uno, non ce ne possono essere diversi". E adesso chi
è? "Adesso? Questa è una classe politica molto modesta, mediocre.
Sono tutti ricattabili". Tutti? Mettiamo: Bossi. "Bossi si è creato la sua
fortezza con la Padania, ha portato 80 parlamentari è stato bravo. Ma aveva
molti debiti... Per risollevare il Paese servono soldi, non proclami. Ho
sentito che Berlusconi ha invitato gli americani a investire in Italia: ha
fatto bene, se qualcuno abbocca?

Ma la situazione è molto seria. L’economia va malissimo, l’Europa è stata
una sventura. Non abolire le barriere, bisognava: moltiplicarle. Fare la
spesa è diventato un problema, il popolo è scontento. Serve un
progetto preciso". Per la Rinascita del Paese. "Certo". C’è il suo: certo
forse i 900 affiliati alla P2 erano pochi. "Ma cosa dice, novecento persone
sono anche troppe. Ne bastano molte meno". Allora quelle che ci sono ancora
bastano, tolti i pentiti. "Nessuno si è pentito. Pentiti? A chi si
riferisce? Costanzo, forse. L’unico. Con tutto quello che ho fatto per lui.
Guardi: io non devo niente a nessuno ma tutti quelli che ho incontrato
devono qualcosa a me. Ci sono dei ribelli a cui ho salvato la vita, ancora
oggi quando mi
incontrano mi abbracciano". Ribelli? "Sì, i ribelli che stavano sulle
montagne, in tempo di guerra. Io ero ufficiale di collegamento fra il
comando tedesco e quello italiano. Ne ho salvati tanti". Intende
partigiani. "Li chiami come crede. Eravamo su fronti opposti, ma quando sei
di fronte ad un amico non c’è divisa che conti.

L’amicizia, la fedeltà ad un amico viene prima di ogni cosa". L’amicizia,
sì. La rete. Cossiga l’ha citata giorni fa, in un’intervista. Ha detto:
chiedete a Gelli cosa pensava di Moro. "Da Moro andai a portare le
credenziali quando ero console per un paese sudamericano. Mi disse: lei
viene in nome di una dittatura, l’Italia è
una democrazia. Mi spiegò che la democrazia è come un piatto di fagioli:
per cucinarli bisogna avere molta pazienza, disse, e io gli risposi ?stia
attento che i suoi fagioli non restino senz’acqua, ministro’". Anche in
questo caso tragicamente profetico, per così dire. Lei cosa avrebbe fatto,
potendo, per salvare Moro? "Non avrei fatto niente. Era stato fascista in
gioventù, come Fanfani del resto, ma poi era diventato troppo diverso da
noi. Lei ha visto il film sul delitto Moro?" Quello di Bellocchio? "No,
l’altro. Quello tratto dal
libro di Flamigni.

Ma le pare che si possa immaginare un agente dei servizi segreti che con un
impermeabile bianco va a controllare sulla scena del delitto se è tutto
andato secondo i piani?". Gli agenti dei servizi sono più prudenti? "Lei
conosce Cossiga? Proprio una bravissima persona. E poi un uomo così colto,
uno capace di conversare in tedesco. Un uomo puro, un animo limpido. Dopo
la morte di mia moglie mi mandò un biglietto: "Ti sono vicino nel tuo primo
Natale senza di lei", capisce che pensiero? Vorrebbe farmi una cortesia? Se
lo incontra, vuole porgergli i miei ricordi, e i miei saluti?".