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Inventare il pane e farsi pagare i diritti

Publie le martedì 4 maggio 2004 par Open-Publishing

Si possono brevettare le piante officinali? Le sementi del riso, oppure gli estratti di fiori che hanno una potente azione anticancro? O addirittura il pane? Certo che si può. Basta avere molti soldi, buoni avvocati in caso di ricorso, e soprattutto la copertura di un organismo come il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio: all’interno della quale tutto si può vendere e tutto si può comperare, comprese le conoscenze che i popoli si tramandano da secoli. Un caso esemplare che fa toccare con mano la potenza dei brevetti è quello rimbalzato su qualche sito Internet nel mese di febbraio (e puntualmente ignorato dai telegiornali), quando un’associazione agricola indiana, appoggiata da Greenpeace e dall’economista Vandana Shiva, ha presentato ricorso all’ufficio brevetti europeo contro la Monsanto. Oggetto del contendere il brevetto Ep445929, che protegge una specie di frumento chiamata Galatea e sviluppata alla fine degli anni Novanta dall’Unilever, società poi assorbita nella multinazionale agroalimentare di Saint Louis assieme ai diritti su Galatea.

Ma cos’è Galatea? Innanzitutto, non è una specie transgenica. E’ una semente del tutto naturale. Quindi il brevetto non riguarda interventi sul Dna del seme. Più semplicemente, si tratta del particolare processo di selezione al termine del quale si ottiene un frumento dalle caratteristiche uniche. Un frumento che viene definito "di colore giallo intenso, privo di alcune sequenze genomiche che ne determinano un’eccezionale capacità nei processi di panificazione", capace di offrire un pane saporito, nutriente e croccante. Peccato che le stesse identiche caratteristiche si trovino nel Nap Hal, un frumento risultato da una secolare selezione delle sementi che è antica tradizione de i contadini dell’India del Nord, e che serve a produrre il loro caratteristico pane, il "Chapati". In altre parole, è come se la Monsanto avesse brevettato il gemello (quasi nel senso genetico del termine) del riso Arborio o del pecorino sardo.

Da qui l’accusa dei contadini: la Monsanto vuole farsi pagare i diritti (le cosiddette royalties) su un’invenzione che non solo è già stata inventata, ma che soprattutto non è un prodotto dell’ingegno umano, bensì il risultato di una miscela dove entrano natura, cultura, bisogno, saggezza, pazienza, tradizione. E tanti altri elementi difficilmente riconducibili a un vero brevetto. Non solo: è la prima volta che l’European Patent Office mette il proprio timbro su una specie vegetale che, di fatto, è una pianta coltivabile normalmente, senza interventi genetici. Una prassi che invece è diffusa negli Stati Uniti e che ha già prodotto sostanziosi contraccolpi economici a tutte quelle produzioni locali e tradizionali che da un giorno all’altro sono finite sotto la giurisdizione esclusiva di qualche grosso gruppo alimentare che ne le ha "inventate" e fatte brevettare.

Di fronte al ricorso degli agricoltori indiani, la replica ufficiale della Monsanto è quella di Thomas McDermott, direttore delle relazioni esterne della Monsanto Europa-Africa: «Quello che raccontano queste persone è una favoletta. Non abbiamo rubato nulla a nessuno e siamo decisi a difendere i nostri brevetti in ogni sede opportuna. Galatea ha meno glutine delle altre varietà di frumento e questa ridotta viscoelasticità ne determina una minore espansione durante la panificazione. E comunque è assolutamente ridicolo ipotizzare che i coltivatori indiani debbano pagare royalties per le sementi di Nap Hal. Monsanto non intende commercializzare Galatea e ha deciso di uscire dal business del frumento in Europa». Si vedrà. Per intanto, la causa legale ha tutta l’aria di voler andare per le lunghe: pazienza, il colosso statunitense può permetterselo.

Ma il caso legale suggerisce comunque diversi spunti di riflessione sugli effetti concreti che le regole del Wto stanno avendo sulle economie deboli. Dice Vandana Shiva: «La globalizzazione non è un processo naturale che produce inclusione. È un progetto pianificato di esclusione che risucchia le risorse e le economie dei poveri del sud attraverso il mercato globale e le grandi corporations transnazionali. Della distruzione delle economie e dei modelli di vita locali non si tiene conto. Di fatto, la distruzione delle vite e delle culture viene definita crescita dell’economia globale. La crescita attraverso la globalizzazione è basata sul furto delle risorse, delle conoscenze ed delle economie dei popoli. Le regole del commercio globale sono previste nell’accordo dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) e negli accordi sui diritti d’autore sulle proprietà intellettuali legate al commercio (Trip’s, monopoli dei diritti di proprietà intellettuale). Questi accordi sono regolamentati da una vera e propria rapina economica camuffata da statistiche e formule legali».

In effetti, le cosiddette regole del mercato riescono a trasformare tutti gli aspetti della vita in merci: comprese la cultura, la biodiversità, l’alimentazione, l’acqua. E pure i diritti. Le regole di ordine diverso (etica, ambiente, valore della persona) sono vincoli indesiderati. Ogni normativa che tutela le piccole economie collocate da secoli al di fuori del bazar mondiale stabilito dal Wto è considerata protezionistica. Anche nel caso delle conoscenze, come emerge dal caso Monsanto. Vale la pena ricordare, a margine, che nei paesi non industrializzati la produzione alimentare "al dettaglio" rappresenta una rete economica che offre milioni di posti di lavoro tra produzione, lavorazione e commercio; offre cibo fresco, integrale e a prezzi accessibili; offre una semplice e funzionale rete di salvaguardia ambientale.

Su questi argomenti vale la pena leggere ancora qualche passaggio di una recente intervista di Vandana Shiva.

«I brevetti si possono considerare sotto vari aspetti una replica della colonizzazione che ebbe luogo 500 anni fa. È interessante notare che anche a quel tempo, quando Colombo e altri avventurieri come lui salparono, portarono con sé dei documenti che venivano chiamati brevetti e che davano loro il potere di rivendicare la proprietà dei territori che scoprivano in qualunque parte del mondo che non fossero già sotto il dominio di governanti cristiani bianchi. Gli odierni brevetti sulla vita sembrano essere documenti dello stesso genere. Sono pezzi di carta emessi dagli uffici brevettuali che, in sostanza, dicono alle corporations che se ci sono conoscenze, materiale vivente, organismi vegetali, sementi, medicine ancora sconosciute ai bianchi, esse possono appropriarsene in via esclusiva e trarne il relativo profitto.

Questa è diventata la base di quella che noi chiamiamo biopirateria, per cui sementi come il Basmati, il riso aromatico indiano che abbiamo coltivato per secoli, proprio nella mia valle sono rivendicate come un’invenzione nuova dalla RiceTec. Il Neem, che utilizziamo da millenni per combattere gli animali nocivi e come medicinale, come è documentato in ogni nostro testo, e che mia nonna e mia madre hanno utilizzato per le faccende domestiche, come la conservazione dei cereali, o per proteggere i tessuti di seta e di lana, ora viene considerato un’invenzione di proprietà della Grace, una società chimica».

«Questa epidemia di pirateria assomiglia molto all’epidemia di pirateria che, 500 anni fa, venne chiamata colonialismo. Credo che presto dovremo ribattezzare questa serie di atti di pirateria attraverso i brevetti come "ricolonizzazione", una forma di colonizzazione che si distingue dalla precedente solo per un aspetto: la vecchia colonizzazione si appropriò solo di territori, la nuova colonizzazione si sta appropriando della stessa vita. La gente è sopravvissuta nel terzo mondo perché, nonostante le ricchezze che le sono state tolte, nonostante l’oro e la terra che le sono stati sottratti, ha ancora la biodiversità. Essa ha ancora quest’ultima ricchezza, consistente in sementi, piante medicinali, mangimi, che le ha permesso di produrre e di soddisfare il proprio fabbisogno di salute e di cibo. Ora, anche di questa ultima risorsa dei poveri, già depredati dall’ultima colonizzazione, viene acquisito il controllo attraverso il sistema dei brevetti. E le sementi che i contadini hanno liberamente conservato, scambiato, usato, vengono ora considerate come una proprietà delle corporations».

«Vengono concepite nuove forme legali di proprietà, come i trattati per i diritti di proprietà intellettuale, attraverso l’Organizzazione mondiale del commercio, nel tentativo di impedire ai contadini del terzo mondo di avere libero accesso alle loro stesse sementi e di scambiarsele. In questo modo, tutti i contadini e tutti gli agricoltori del mondo dovrebbero ogni anno acquistare le sementi, creando così un nuovo mercato per l’industria globale delle sementi. L’80% della popolazione in India si cura con le piante medicinali che crescono nei cortili, nei campi, nelle foreste, e che la gente coglie liberamente. Nessuno ha mai dovuto pagare un prezzo per questi doni della natura. Oggi, tutte queste medicine sono state brevettate e, nel giro di cinque o dieci anni, potremmo trovarci in una situazione per cui le stesse industrie farmaceutiche che hanno causato gravi danni alla salute e che ora si stanno indirizzando verso farmaci più sicuri basati sulle piante medicinali, sulla medicina cinese, sull’aromaterapia indiana, ne impediranno l’uso. Esse non hanno neppure bisogno di rendere questo uso illegale poiché, molto prima di questo, esse si sono appropriate delle risorse di base, si sono appropriate delle piante, delle riserve, dei mercati, rendendo assolutamente impossibile per la gente accedere a questi prodotti».

«Ciò a cui stiamo assistendo è il tentativo di trasformare il terzo mondo, che è stata la principale riserva di biodiversità e il principale produttore di cibo del pianeta, nel quale la maggior parte della gente è impiegata nella produzione di cibo, in una società di consumatori. Ma non può esistere una società di consumatori in cui la gente sia povera e dunque ciò che si otterrà è privazione, miseria, malattie, fame, epidemie, carestie e guerre civili. Il germe che si sta diffondendo è quello dell’avidità delle corporations che stanno rubando ai poveri le loro ultime risorse. Si tratta del germe di una violenza incontrollabile e del decadimento delle società su larghissima scala».

[Piercarlo, Redazione Cunegonda Italia]